Alfredson presenta Lasciami entrare, horror romantico per baby vampiri

Con l'anno nuovo arriverà nelle nostre sale una meravigliosa storia d'amore a tinte horror, tra un bambino e una piccola vampira nella Svezia del 1982. Lasciami entrare, il film che ha già incantato il mondo, è stato presentato oggi a Roma dal regista Tomas Alfredson.

Sulla scia del fenomeno Twilight che in Italia, come nel resto del mondo, sta sbancando i botteghini, il cinema sembra aver riscoperto la sua vecchia passione per la figura del vampiro. Un fenomeno che ha contagiato anche il piccolo schermo che ha proposto negli scorsi mesi, negli Stati Uniti, una delle serie più interessanti del momento, True Blood, creata da Alan Ball e incentrata nuovamente sul rapporto tra umani e vampiri, in una società dove il dibattito per i diritti dei succhiasangue infiamma l'opinione pubblica. Il fascino del vampiro trova ora nuova linfa in un piccolo, meraviglioso film svedese in arrivo a gennaio nelle nostre sale.
Si tratta di Lasciami entrare, tratto dal romanzo omonimo di John Ajvide Lindqvist che del film è anche sceneggiatore. Ancora una volta è il rapporto tra un umano e un vampiro il fulcro della storia, ma stavolta si parla di bambini, con tutto il sadismo, l'orrore e anche la tenerezza che questo comporta. Perché il mondo dei più piccoli non è fatto di purezza, ma di crudeltà che fotocopiano quelle dei grandi, di emozioni forti che scuotono l'animo e fanno porre delicati interrogativi.

Sospeso tra favola e horror, Lasciami entrare nella sua semplicità può essere considerato senza dubbio un'opera folgorante da amore a prima vista, perché caratterizzata da quella genuinità assicurata da una grande storia e dal tocco magico di un bravo regista che ha saputo rendere al meglio la toccante storia d'amore tra un bambino solitario e una piccola vampira costretta a uccidere e cibarsi del sangue umano per sopravvivere. Dopo aver vinto numerosi premi in tutti i festival dov'è stato presentato, il film arriverà in Italia il prossimo 19 gennaio distribuito da Bolero Film. Intanto, il regista Tomas Alfredson è giunto a Roma per raccontare alla stampa la genesi di questa piccola gemma.

Tomas Alfredson, perché ha scelto di ambientare Lasciami entrare nel passato, nel 1982?

Tomas Alfredson: Il film è tratto da un romanzo per molti versi autobiografico, a parte naturalmente la presenza dei vampiri. L'autore, che è anche lo sceneggiatore del film, alla fine del libro scrive "Tutto ciò che è stato narrato in questo libro è accaduto realmente, anche se non in questo modo". La storia era ambientata nel 1982, quando Lindqvist aveva dodici anni, come Oskar, il piccolo protagonista. Credo sia più facile raccontare al cinema una storia così poco realistica se la si ambienta nel passato. Inoltre, la Svezia allora era un paese molto silenzioso e questo è ben trasposto nel film. Oggi la realtà è estremamente diversa e a me piaceva recuperare questo silenzio del passato.

Il film può essere quindi considerato una sorta di riflessione sulla società svedese?

La storia è sicuramente aperta a differenti interpretazioni e io sono ben disposto ad accettarle tutte. Per alcuni, Lasciami entrare è un film sulle auto d'epoca, per altri è un racconto di formazioni, per altri ancora è un film sul fenomeno del bullismo. Non spetta a me dare l'esatta interpretazione del film, ma mi interessa ascoltare tutte le differenti versioni.

Lei però ha parlato di una svedesità che assicurerebbe al film grandi opportunità di successo internazionale.

Sembra strano, ma più una cosa è specifica, più tende a diventare universale. Funziona così anche per la globalizzazione nelle varie forme d'arte. Gli svedesi sono specializzati nel comunicare attraverso il silenzio. Anche non risponde a una domanda, per esempio, può essere una risposta. Questo credo sia un fattore di grande fascino per il pubblico, così come i paesaggi invernali. In Svezia l'inverno è un periodo dell'anno che ci costringe a convivere con l'oscurità, col buio perenne, il che ci rende più forti. Ecco anche questo può essere un elemento di grande presa sul pubblico.

Nel film le figure parentali sono appena accennate. Penso ad esempio al tutore della piccola Eli, la bambina vampira, che non si sa bene che ruolo abbia nella sua esistenza, ma tra loro c'è un rapporto talmente profondo che lui non esita a sacrificarsi per salvarla.

Lo stile della sceneggiatura era piuttosto rigoroso e in essa erano presenti davvero pochi dialoghi, scritti prevedento un livello poetico dei dialoghi stessi. Eravamo convinti che il film avrebbe dovuto raccontarsi attraverso le immagini, quindi senza dialoghi. Il personaggio che lei ha definito "tutore" nel libro in realtà era dichiaratamente un pedofilo. Trovo però che oggi la pedofilia sia troppo usata per fornire alle storie una sorta di effetto speciale emotivo, senza che venga approfondito in maniera rigorosa. Visto l'argomento così complesso, forte e inquietante, non volevo avesse un effetto disturbante sulla storia d'amore tra i due protagonisti. Per gli spettatori quindi questo personaggio ha una sorta di misticità, è un po' un Oscar vecchio, potrebbe essere l'amante che Eli sceglie ogni duecento anni o semplicemente uno psicotico. Lo spazio per le interpretazioni è davvero vasto.

Nell'avvicinarsi al tema del vampirismo ha effettuato studi particolari?

Devo ammettere che prima di fare questo film non ero interessato affatto al mito del vampiro. In passato ho visto solo un paio di film sull'argomento e non mi avevano colpito in modo particolare. Quindi, mi sono trovato di fronte a qualcosa di totalmente nuovo per me e Lindqvist mi ha aiutato molto nello studio della mitologia dei vampiri. Abbiamo giocato con i luoghi comuni, per esempio con i riflessi dello specchio, non abbiamo usato l'espediente dell'aglio, ma abbiamo recuperato l'idea che un vampiro può entrare in casa altrui solo se invitato.

Come spiega lei il revival della figura del vampiro che sta contagiando cinema, tv e letteratura?

Abbiamo cominciato a lavorare a questo film quattro anni fa, quando non si parlava affatto di vampiro. Oggi, come per incanto, su entrambi i lati dell'oceano si fanno film sui vampiri, ma è una pura fatalità e non so spiegarne il perché.

Come avete lavorato sulla colonna sonora?

Pensavamo che sarebbe stato interessante esplorare il lato romantico, più delicato della storia, e non volevamo usare troppo la musica per creare suspense. Se avessimo fatto una colonna sonora in linea con l'aspetto più dark della storia, sarebbe risultato troppo inquietante. Volevo invece una colonna sonora molto romantica e, Johan Söderqvist, il musicista che ha creato le musiche, ha recuperato uno strumento particolare, il waterphone, che ricreava alla perfezione l'idea del ghiaccio, del freddo, dell'inverno. La musica è poi stata suonata da un'orchestra, quindi senza l'uso di sintetizzatori.