L'imperatore Bernardo Bertolucci a Cannes

Il Cannes Film Festival rimedia a una mancanza tributando una Palma d'Oro alla carriera al maestro Bertolucci, che gli viene consegnata dal 'suo' attore Robert De Niro, presidente della giuria internazionale.

Nonostante la malattia che da tempo lo costringe sulla sedia a rotelle, il maestro Bernardo Bertolucci non ha perso un briciolo della verve e dell'ironia che lo hanno sempre accompagnato nella sua lunga e straordinaria carriera, tanto da lasciarsi andare a una battuta piccante quando un giornalista spagnolo, nel corso della conferenza stampa durante la quale si è generosamente concesso ai media, gli ha posto una domanda sulla visione della sessualità nel suo cinema. Bertolucci non è mai stato uomo di mezze misure e lo ha dimostrato nel corso di una straordinaria carriera di cui ricorda volentieri alcuni picchi, l'epico Novecento, lo sconvolgente Ultimo tango a Parigi e il drammatico Il conformista, ispirato a Moravia. Proprio questa pellicola verrà presentata, in versione restaurata, in occasione della consegna della Palma d'Oro alla carriera fortemente voluta dall'organizzazione dle festival francese che colma una lacuna, visto che un Palma nella sezione competitiva, Bertolucci non l'ha mai vinta.

Bernardo Bertolucci: Prima di dire quasiasi altra cosa voglio ringraziare il festival che ha deciso di onorarmi con questa Palma d'Oro alla carriera. In questa occasione verrà presentato Il conformista in versione restaurata, un mio film del 1970. Non so chi ha scelto di presentare questo film per rappresentarmi, ma trovo la scelta di mostrare un'opera restaurata molto azzeccata.

Bernardo, hai potuto seguire personalmente il restauro?

Bernardo Bertolucci: Putroppo no. Ho dovuto fidarmi della Cineteca di Bologna che si è accollata il compito di restaurare il mio film e credo che abbia fatto un ottimo lavoro. Vorrei che potessero fare la stessa cosa anche con me. Molti, tra cui Martin Scorsese, si recano a Bologna alla Cineteca dove posseggono competenze uniche al mondo.

In passato sei stato a Cannes quattro volte. Dal momento, però, che la memoria funziona in modo selettivo quali sono le immagini delle precedenti visite che ricordi meglio?
Bernardo Bertolucci: La prima volta che sono venuto a Cannes era il 1964 con Prima della Rivoluzione. Il film, che era uno dei miei primi lavori, è stato presentato nella Settimana della Critica. La critica italiana ha attaccato ferocemente l'opera bollandola come eccessiva, ma alla critica francese è piaciuta. Per un po' ho desiderato diventare un regista francese. Poi sono tornato con Novecento, a cui è stata dedicata una giornata intera in cui il film è stato mostrato in versione integrale. Io pensavo che non fosse un film adatto al concorso, anche per via della lunga durata, perciò l'ho presentato fuori concorso. Il presidente della giuria di quell'anno, Costa-Gavras, mi ha fatto molti complimenti rimproverandomi, però, di non aver voluto gareggiare. E' stata comunque un'esperienza molto gratificante per me.

Il presidente di quest'anno, Robert De Niro, è proprio uno degli interpreti di Novecento.
Bernardo Bertolucci: Esatto, e se quello che scrivono i giornalisti è vero dovrebbe essere proprio lui a consegnarmi la Palma d'Oro alla carriera. Quando abbiamo collaborato per Novecento eravamo entrambi giovani. Bob è una persona molto laconica e parla poco. I giornalisti che hanno a che fare con lui lo sanno bene.

Un altro dei tuoi più celebri lavori ha fatto discutere non poco la critica. In Russia Ultimo tango a Parigi è stato addirittura vietato e chi lo visionava o lo proiettava finiva in carcere.
Bernardo Bertolucci: Si, quel film ha avuto uno strano destino.

Con L'ultimo imperatore sei stato uno dei primi registi occidentali a recarti in Oriente per raccontare una storia che affonda le sue radici nella cultura cinese. Cosa pensi del cinema cinese contemporaneo?

Bernardo Bertolucci: Quella che ho vissuto è stata una delle esperienze più incredibili della mia vita perché prima di partire non sapevo nulla della Cina. Mi sono recato in Cina intorno al 1994-96 e ho vissuto tutti i cambiamenti. Ho visto i sorrisi sbocciare sui volti dei cinesi che camminavano per la strada man mano che il paese si apriva alla libertà. Io ero un privilegiato perché mi è stato dato il permesso di entrare con le cineprese nella Città Proibita e visitare il padiglione dell'Imperatore. Credo che quella cinese sia una cultura straordinaria, antichissima. Quando parlo con un cinese dico sempre che è cinquemila anni più vecchio di me. Anche se io non fossi rimasto in contatto col la cultura cinese, la Cina sarebbe rimasta in contatto con me. Non si può ignorare, inoltre amo molto il cinema cinese. Quando giravo in Cina mi sono interessato alla Nouvelle Vague cinese e ho scoperto che è la scuola nata intorno agli Xian Studios, luogo in cui si sono formati Chen Kaige, Zhang Yimou e gli altri grandi registi cinesi.

Che cosa pensi dello sviluppo e della diffusione del 3D?
Bernardo Bertolucci: Negli ultimi cinque anni, a causa della malattia che mi ha colpito, ho pensato che non avrei più fatto film. Ma un anno fa ho iniziato a immaginare ai movimenti di macchina che potrei ancora realizzare con le nuove tecnologie. Nel frattempo ho letto il libro di Niccolò Ammaniti, Io e te, che si svolge in una cantina e vede protagonisti due giovani. Il libro mi è piaciuto molto e ho avuto un'idea. Anche Avatar mi è piaciuto molto, ma mi sono chiesto perché il 3D deve essere usato solo per la fantascienza. Persona di Bergman non sarebbe stupendo in 3D? Poi ho visto Pina di Wenders e ho sentito parlare dei documentari tridimensionali di Herzog. Loro due sono un po' più giovani di me, ma veniamo tutti dalla stessa scuola europea. Allora perché non applicare il 3D al mio nuovo progetto?

Ti piace vedere e rivedere i film che ti hanno influenzato nel passato?
Bernardo Bertolucci: Rivedere un film dopo tanti anni è un'esperienza diversa da quella vissuta in passato. Non sempre il tempo migliora i film, anzi, in alcuni casi il ricordo è migliore della realtà. Il cinema invecchia così come invecchia la realtà, anche se ci sono dei capolavori che non perdono mai la propria importanza.

Cosa pensi del cinema italiano contemporaneo?
Bernardo Bertolucci: Penso che tutto sommato sia un buon momento. Il cinema italiano ha sempre sofferto la pesante eredità del Neorealismo e ha sentito troppo spesso la necessità di ripetere una formula del passato. Artisti come Matteo Garrone, PAolo Sorrentino, Crialese, sono capaci di guardare oltre creando qualcosa di nuovo. Non si concentrano solo sulla storia, ma sul linguaggio, sullo stile. Io sono sempre felice quando trovo che un film si pone la vecchia domanda di Bazin, 'Che cos'è il cinema?' e mostra il desiderio di capire.

Poco fa hai parlato di film che invecchiano più o meno bene. Volevo sapere se di recente hai rivisto il tuo Ultimo tango a Parigi e che impressione ti ha fatto.

Bernardo Bertolucci: Quando ho girato quel film credo di aver perso la testa per un periodo perché è stato un tale successo in tutto il mondo da avermi sconvolto. Ho visto altri registi passare gli stessi momenti, il successo ti dà un senso di onnipotenza. Ora penso che il mio film sia invecchiato abbastanza bene e che non abbia bisogno di makeup per risultare accettabile. Non posso che ringraziare gli attori che hanno reso possibile la cosa. Marlon Brando mi ha dato così tanto in quel film. Alla fine delle riprese non voleva più vedermi perché si è reso conto di tutto ciò che era successo sul set. Aveva capito di aver dato vita a un film che continuava a vivere di vita propria, a un evento unico. L'essenza di Marlon, la sua vera natura, è emersa nel film e forse lui non voleva questo.

La sessualità è un elemento chiave di molti tuoi lavori, da Ultimo tango a Parigi a Il conformista. La ritieni una materia artistica? In che senso?
Bernardo Bertolucci: Quando stavo girando Ultimo tango a Parigi ero stato sedotto dai libri di Georges Bataille. Nella stessa epoca un mio coetaneo giapponese stava realizzando Ecco l'impero dei sensi. Penso che i nostri lavori facciano parte di un pensiero comune. Entrambi sentivamo il bisogno di parlare della sessualità in un modo mai affrontato prima di allora dal cinema. Io avevo scritto nella sceneggiatura del mio film una scena in cui i miei due protagonisti si chiudono in casa per scoprire l'odore dell'altro. Anche Nagisa Oshima aveva inserito una scena simile nello script, ma né lui né io le abbiamo girate. Penso che sia difficile inserire un concetto come l'odore nei film.

(In collaborazione con Valentina D'Amico)