Ken Jacobs, artistomane per scelta

Il nostro incontro con il videoartista, ospite del Torino Film Festival 2009, dove ha presentato una nuova versione del suo Tom, Tom, the Piper's Son del 1969.

Artista eclettico che si muove tra il cinema d'avanguardia e le sperimentazioni artistiche, Ken Jacobs è ospite del TFF, dove torna per la seconda volta, e presenta Anaglyph Tom, versione 3-D del film Tom, Tom, the Piper's Son, che realizzò nel 1969, nella sezione Onde, che include anche una retrospettiva dei suoi capolavori visionari,.
Il regista statunitense che ha ricostruito negli anni '50 la grammatica dell'immagine, rivoluzionandone la forma, cui ha sempre prestato particolare attenzione, è una delle figure internazionali più importanti del cinema sperimentale della seconda metà del XX secolo. E' stato il primo autore di un non-film, Orchard Street (1955), e uno dei primi cineasti ad agire sul cinema, manipolando l'immagine per ri-creare la realtà. Innovativo e geniale, Jacobs ha utilizzato la tecnologia digitale fin dai suoi primi passi, scegliendo comunque di partire dalle origini del cinema e di tenere lo sguardo sempre attento sul passato. Tramutando l'immagine è sempre riuscito a creare una continua tensione sensoriale nella mente dei suoi spettatori come un artista in grado di modellare a proprio piacimento il materiale che ha a disposizione, ogni volta utilizzando il mezzo, o il medium per usare un termine a lui caro, disponibile più recente. Esploratore e rielaboratore del linguaggio visivo, Jacobs, a distanza di oltre quarant'anni dai suoi esordi, continua ancora oggi a dare un contributo davvero autentico in uno spazio cinematografico in Italia poco conosciuto, quello del cinema come rappresentazione di una realtà profonda e complessa, incisa dall'immagine e dalla forma.

Abbiamo intervistato l'artista americano, che però preferisce definirsi "filmaker" piuttosto che "regista" perché, dice, a dirigere e a dirigerlo è la moglie Florence, e gli abbiamo chiesto quali sono i motivi che l'hanno spinto ad avvicinarsi al cinema da una prospettiva così inusuale come la sua. Jacobs ci ha descritto la sua prima esperienza di cinefilo spiegandoci che a "risucchiarlo" nel cinema a soli 14 anni è stata la luce del Neorealismo italiano. Il filmaker, che concentra la sua attenzione sulla forma dell'immagine, spinto da interessanti concezioni artistiche, che risalgono all'Impressionismo e al Futurismo, ci ha spiegato il valore che attribuisce all'immagine stessa, come segno della realtà. Per lui, che ha fatto uso della tecnologia digitale e ora sfrutta quella tridimensionale, perché la vita per prima è tridimensionale, usare mezzi attuali non significa affatto dare un colpo di spugna al passato, al contrario significa rivalorizzarlo rendendolo una raffigurazione del presente.
In linea con la sua costante tendenza alla sperimentazione Jacobs ci ha confessato la sua totale fiducia nel "medium della mente umana" e nelle potenzialità del 3-D, proprio a pochi giorni dalle dichiarazioni del regista Francis Ford Coppola, che, al contrario, ribadiva un certo scetticismo verso il futuro del cinema in questo formato.

In Anaglyph Tom (Tom with Puffy Cheeks) lei sembra affrontare in maniera polemica la tematica della crisi finanziaria. Ce ne parla?

Ken Jacobs: Sì, ho letto il libro "Life inc." di Douglas Rushkoff, che per me è stata un'opera di formazione molto importante. Questo libro parla della storia delle corporates, di come si sono sviluppate e di come non abbiano un'anima. Ma sono sicuro che tra poco le cose cambieranno e le corporates moriranno. Il sottotitolo è "Come il mondo è diventato una corporate e come riportarlo fuori dalle corporates": le corporates adesso sono profonde e sono entrate in noi, che c'identifichiamo con i veri brand, ma Rushkoff spiega come possiamo uscirne. E sarebbe un vero miracolo! Sembra che viviamo senza speranza, ma in quel libro si raccontano storie che ci portano a sperare ancora di uscire dal sistema. Io sono un artista, ma non sono solo un artista: ho una moglie e due figli e sono un cittadino del mondo interessato a quest'aspetto.

Ci parla del suo passaggio dalla pellicola al digitale? Con quali opere è avvenuto?

Ken Jacobs: Dopo la prima esplorazione digitale con Return non ho potuto fare a meno di essere attirato dal 3-D e l'ho fatto anche con Tom, Tom, the Piper's Son perché mi sono chiesto: perché no?
Return to the scene of the crime poi è anche un'operazione di salvataggio e preservazione del materiale. Dopo il 1969 poi ho iniziato a fare delle performance live per gli amici in cui montavo, smontavo, mescolavo, rimescolavo le immagini...

E quando è arrivato il suo interesse per il 3-D invece?

Ken Jacobs: Devo premettere che per quanto riguarda questo mio interesse nella tridimensionalità è più un interesse per la tridimensionalità del mondo e l'ho sempre avuto per la dimensione della profondità del mondo, che per me viene prima espressa dall'arte e dalla pittura. Mi hanno sempre interessato l'Impressionismo e il Futurismo, fino a un certo punto, per la loro concezione di tempo e spazio così racchiusi e compattati insieme.

Lei ha fatto uso di tecniche moderne mentre altri le rigettavano come se fossero dei grossi sbagli. Come ha vissuto questo contrasto?

Ken Jacobs: Negli anni '50 mi sono interessato a quello che veniva definito "illusionismo" che a quel tempo era stato definito sciocco perché era una tecnica usata, in maniera non adeguata, per fare molti film hollywoodiani che ritengo stupidi. Ho scoperto con interesse come questa illusione dell'immagine riprodotta tridimensionalmente della realtà rappresentasse un mezzo non per una realtà solida e chiaramente definita, ma manifestasse proprio la realtà, modificandola attraverso queste immagini illusorie. In questo modo il cinema non era più solo fatto di storie e personaggi interessanti, ma si era riappropriato della sue potenzialità di raffigurazione.

La macchina le permetteva di esprimersi in libertà nel difficile clima degli anni '50?

Ken Jacobs: C'era un'apparente libertà di pensiero e di opere di sperimentazione indipendentemente dalla politica. Tutta quell'opera non era indirizzato a un pubblico vasto, ma era manipolata perché una parte dei contenuti venivano interpolati dalle agenzie di pubblicità, utilizzati poi a modo loro. Non ci rese conto effettivamente che quello che facevamo non viveva di vita propria, ma veniva ingolfato da una realtà che non ci apparteneva. Mi è sembrato così appropriato fare qualcosa utilizzando una macchina cioè il computer, che rappresenta forse la macchina della confusione, che può essere gestita attraverso di essa.

Perché allora gli altri artisti si allontanavano da questo approccio?

Ken Jacobs: Si potevano fare cose assolutamente incredibili che non erano mai state viste prima, come creare corpi solidi che non esistevano. Queste cose mirabolanti però precedentemente erano state ritenute degli errori: l'immagine stetoscopica risale al 1855 quando già c'era stato un approccio visivo alla terza dimensione. Succedeva però che si creassero delle sovrapposizioni tra quello che vedeva l'occhio destro e sinistro nello stesso momento. Adesso questi errori possono essere utilizzati per studiare meglio le potenzialità delle immagini.

Per lei l'arte rappresenta un ponte tra il pensiero e la realtà?

Ken Jacobs: Con l'arte del XX secolo l'arte è diventata qualcosa in grado di farci apprezzare quello che è il mondo reale e non quello che vorremmo. Cezanne ci ha mostrato per primo, attraverso la sua pittura bidimensionale, la realtà tridimensionale!! Nella vita reale viviamo circondati da qualcosa che è difficile e continuiamo ad aggiustare il tiro per tenerci sani di mente l'arte invece ci permette di dare i numeri!!!

Lei ha dichiarato in passato che aveva iniziato a vedere film in un museo, al Moma di New York. E' stata questa l'esperienza che l'ha avvicinata al cinema?

Ken Jacobs: Questo è successo nei tardi anni '40 ed è stata un'esperienza insolita. Il neorealismo italiano ha attirato allora molto l'attenzione in America, quei film venivano proiettati anche nei cinema di quartiere. Avevo solo 14 anni e ricordo ancora quest'esperienza: vedere film con un'intensità fantastica della luce, che non era quella del set ma quella della realtà.

Si considera un regista d'avanguardia o sente di appartenere a quella che attualmente viene definita "video arte"?

Ken Jacobs: Non sono un regista, sono un filmaker! Il film è adesso ormai elettronico e se devo soffrire devo andare avanti con il medium del momento che è quello digitale. E' mia moglie che invece dirige e mi dirige anche nella vita quotidiana.

Le sue opere sono sempre caratterizzate da un lavoro svolto soprattutto sulla forma. Da dove nasce il suo interesse così particolare per quest'aspetto?

Ken Jacobs: La forma è importantissima perché considerare la forma significa per me considerare l'arte stessa. Per me è come un dialogo mondiale che va avanti e a cui partecipo. Il mondo visualizzato è il mondo dell'arte, che a sua volta è immagine del mondo e forma del mondo.

Qual è il significato che lei attribuisce allora all'immagine?

Ken Jacobs: Tanto del mio pensiero viene dalla pittura, per me l'immagine è primaria. L'immagine è una cosa molto complessa, è come un codice geroglifico, una cosa molto vasta da scoprire proprio come il mondo, che è così difficile da capire.

Il suo cinema ha fatto più volte ricorso al digitale come se lei avesse accettato questo passaggio tecnologico. E' entusiasta di questa nuova fase o sente di aver perso il contatto materico della pellicola?

Ken Jacobs: Il medium digitale adesso è la mente, non è più una cosa materiale. Io prima ero molto interessato all'aspetto materiale del film, ma questo medium fisico ha perso importanza.

La sua carriera artistica è sempre stata scandita da un viaggio a ritroso nell'infanzia dell'immagine. Adesso lei si è avvicinato alla tridimensionalità, che in un certo senso rappresenta il futuro. La sua attenzione sta andando in una direzione opposta rispetto al passato?

Ken Jacobs: No, non credo. Per me il 3-D è anche un modo di guardare il passato perché lo trovo più vero o almeno dà l'impressione di rendere la sostanza. Mi piace molto il modo in cui una cosa di sostanza si trasferisca in una di "non sostanza". La possibilità di rivedere il mondo del 1905 oggi attraverso un'immagine del nostro tempo è interessante. C'è così tanto in un'immagine, in un'inquadratura, in quello che è intorno agli attori principali che dà uno sguardo profondo sulla storia.

E come si configura oggi il suo rapporto con il passato?

Ken Jacobs: Ho molta empatia con i pionieri del cinema, del periodo prima che il cinema diventasse industria e venissero create aspettative particolari. Un periodo in cui il cinema aveva possibilità infinite. Mi affascina lo stile del cinema in bianco e nero, che trovo straordinario!

Sua moglie è regista e anche i suoi figli hanno intrapreso la strada del cinema. Ha mai esortato i membri della sua famiglia a fare questo lavoro? Come li ha consigliati?

Ken Jacobs: Non ho mai dato consigli ai miei familiari. Ma i miei figli hanno sempre vissuto tra artisti: mia moglie Florence è un'artista, i miei amici sono artisti... Mia figlia Nisi ha sempre avuto un talento incredibile, lei lavora in maniera molto più astratta di me e realizza videoarte con il musicista Michael J. Schumacher. Mio figlio Azazel invece ha realizzato il film Momma's Man, che ha presentato l'anno scorso al festival di Torino, dove ha riscosso un certo successo.