Cannes 2011: un'edizione da ricordare

Un festival caratterizzato da una selezione di altissimo livello e da un'organizzazione impeccabile, quello che si è chiuso ieri nella città rivierasca. E anche il mercato sembra dare segni di ripresa.

Dimentichiamo l'edizione un po' deludente dello scorso anno; archiviamo con piacere i piccoli dubbi della vigilia. Il Festival di Cannes, con la sua 64. edizione, conclusasi ieri con il trionfo del film-evento del 2011, The Tree of Life di Terrence Malick, è tornato a livelli altissimi, soprattutto grazie a una selezione competitiva capace di rivaleggiare con la storica lineup del Sessantennale. Il palmares, com'è inevitabile che sia, ha lasciato qualcuno con l'amaro in bocca, e si da il caso che nel novero dei delusi stavolta compaiano gli italiani. Il sogno di ripetere l'exploit del 2008, quando furone premiati sia Gomorra che Il divo, è sfumato di fronte a un orientamento dei giurati non particolarmente favorevole ai nostri colori: insomma, probabilmente l'assenza di italiani nella giuria guidata da Robert De Niro ha avuto il suo peso. La qualità dei film premiati, tuttavia, non si discute, nemmeno quella dei due titoli "padroni di casa" che sembrano aver soffiato il posto a This Must Be the Place e a Habemus Papam: The Artist, che ha visto il suo eroe Jean Dujardin trionfare al posto di due pesi massimi come Michel Piccoli e Sean Penn, è un'incursione nel cinema d'altri tempi assolutamente irresistibile, e Polisse un film forte, orginale e divertente allo stesso tempo. Quanto al resto, c'è poco da opinare quando in gioco ci sono film di enorme spessore e bellezza come The Tree of Life e Once Upon a Time in Anatolia.

A costo di passare per testata americanofila, vorremmo anche appoggiare con entusiasmo il premio alla regia per Drive e il suo timoniere Nicolas Winding Refn, che forse avrebbe addirittura meritato qualcosa di più. Non è mancato un premio al film del "nazista per caso" Lars Von Trier, che ha lasciato a bocca asciutta un gran film come We Need to Talk about Kevin e una grande interprete come Tilda Swinton: ma Melancholia era altrettanto meritevole, anche se non così la pur ottima Kirsten Dunst.

Restano a bocca asciutta titoli molto apprezzati da critica e pubblico, come quel Le Havre di Aki Kaurismäki che sembrava, alla vigilia, doversi giocare addirittura la Palma d'oro con Malick, dopo aver intascato il premio FIPRESCI; e così il già citato, esacerbante We Need to Talk about Kevin di Lynne Ramsay, il riuscito thriller di Pedro Almodóvar La piel que habito, e il trascinante La source des femmes di Radu Mihaileanu, che sabato ha chiuso le proiezioni del concorso tra gli applausi. Era inevitabile con una lineup simile che non tutti i meriti fossere riconosciuti: per questi autori, come per i nostri Paolo Sorrentino e Nanni Moretti, resta l'onore di aver partecipato a un'edizione tanto pregevole.

Se il concorso è stato quasi tutto eccellente, ci sono stati anche diversi acuti nella sezione parallela Un certain regard, ma se i premi della giuria ufficiale sono innegabilmente legittimi, non possiamo dire lo stesso della scelta da parte del gruppo di giurati guidato da Emir Kusturica, perché anche volendo vedere nel premio al grottesco e logorroico Arirang un incoraggiamento a Kim Ki-Duk, è stato davvero un peccato imperdonabile ignorare titoli del valore de L'exercice de l'État di Pierre Schöller, di Martha Marcy May Marlene di T. Sean Durkin, di Where Do We Go Now? di Nadine Labaki e di Restless di Gus Van Sant.
Fuori concorso, anche quest'anno, passano titoli di livello nettamente inferiore, anche se alla fine Mr. Beaver è piaciuto abbastanza, pur dividendo, Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare è servito soprattutto a portare sulla Croisette Johnny Depp e Penelope Cruz, e il biopic su Nicolas Sarkozy La conquête è riuscito a intrettenere oltre che a far parlare del matrimonio fallito tra Sarko e Cécilia.
Sul fronte delle polemiche, quest'anno non ne sono state generate dai titoli in cartellone, perché anche gli "scandali annunciati" come Sleeping Beauty e L'apollonide (Souvenirs de la maison close) si sono rivelati molto meno esplosivi del previsto, ma ci ha pensato la linguaccia del già menzionato Lars Von Trier a creare il caso, con le sue farsesche ma pesanti esternazioni sul popolo ebreo, quello tedesco, Adolf Hitler e l'incolpevole collega Susanne Bier. Restano da censurare le uscite del regista danese, ma ci lascia perplessi anche lo sproporzionato clamore suscitato dalla vicenda, oltre che la severità eccessiva espressa dal Festival, che ha marchiato Trier come "persona non grata" il giorno dopo aver accolto con affetto il noto antisemita Mel Gibson.
Ma la 64. edizione del Festival di Cannes è stata memorabile anche dal punto di vista organizzativo e climatico, favorendo una grande affluenza di pubblico e curiosi, oltre al solito esercito di accreditati e a una serie interminabile di divi; a una città in festa hanno risposto anche gli ottimi affari del mercato che, almeno in apparenza, sembra aver iniziato a lasciarsi alle spalle la crisi economica che ha condizionato le ultime edizioni della kermesse rivierasca. Una confortante vivacità confermata anche dagli eventi paralleli che si sono svolti in questi giorni a Cannes in presenza di star di prima grandezza, dalla presentazione de Il gatto con gli stivali, con Antonio Banderas e Salma Hayek, all'anteprima di Kung Fu Panda 2, con Angelina Jolie e Jack Black, fino al gustoso assaggio di Super 8, l'attesissimo nuovo progetto di J.J. Abrams di cui abbiamo parlato qui.

Insomma, non ci resta che attendere di vedere i titoli che ci hanno regalato dodici giorni di grande cinema sbarcare anche nelle sale italiane. La Palma d'oro The Tree of Life, uscito mercoledì, sta già mandando in visibilio i cinefili di casa nostra; e la consapevolezza del fatto che in gara a Cannes l'abbia spuntata su contendenti quasi altrettanto meritevoli è davvero un eccellente viatico per la seconda metà di 2011 cinetografico che ci apprestiamo a vivere. Au revoir, le Festival!