Un vizio di famiglia, la recensione: la recita del male

La recensione di Un vizio di famiglia, film presentato in anteprima alla 79.esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, dove la volontà di ritrovare una famiglia perduta, nasconde una recita nata nel seme del male.

Un vizio di famiglia, la recensione: la recita del male

Le tempeste si nascondono a volte nel dolce ondeggiare di acque serene. Sono maschere di gentilezza che celano il torbido disgusto per la vita; sono occhi sensibili che bruciano di vendetta.
Come sottolineeremo in questa recensione di Un vizio di famiglia (in originale L'origin du mal), il film di Sébastien Marnier, presentato in anteprima alla 79.esima Mostra del cinema di Venezia, scruta i procedimenti interni e mentali di un'abile manipolatrice, desiderosa di colmare le proprie lacune affettive saccheggiando emozioni, pensieri e identità altrui. Una Robin Hood che ruba ai ricchi per dare a se stessa, costruendo una realtà alternativa basandosi su esistenze pre-esistenti. Andando oltre alla fabbricazione di pensieri mentali, e vite virtuali, ciò che ne consegue è un gioco all'inganno perfettamente tradotto in linguaggio cinematografico da un'opera intrigante, persuadente; una rete inestricabile che imprigiona il proprio spettatore come una preda nella tela fitta del ragno, rimanendone affascinato e sublimemente ammaliato.

Un vizio di famiglia: la trama

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Un vizio di famiglia: una foto

Stéphane (Laure Calamy) lavora svogliata in una fabbrica di conserve alimentari. Ogni sera rincasa in una camera subaffittata e quando può va a far visita alla sua compagna in prigione. Una sera prende coraggio e contatta finalmente il padre che non ha mai conosciuto. Dall'altra parte del filo, l'uomo accetta di incontrarla. Serge è un ricco imprenditore della Costa Azzurra e Stéphane vuole la sua parte, con buona pace della figlia legittima e dell'eccentrica consorte. Ma quel padre carismatico e generoso tradisce presto un lato oscuro. Stéphane non è da meno e forse non è nemmeno chi dice di essere.

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L Origine Du Mal
Un vizio di famiglia: Laure Calamy in una scena

È un mosaico intagliato con il peso dell'ambiguità, e poi ricomposto con il senso del dubbio, Un vizio di famiglia. Nello spazio di ogni inquadratura si insinua silente un pensiero doloroso, processato e mai esorcizzato, da un input inconscio, generato dalla fiamma del sospetto per identità fittizie, e intenzioni deplorevoli. Una radice del male che parte dalle profondità del sottosuolo per intaccare il mondo prima inaccessibile di chi vive "in alto", resa intelligentemente da inquadrature rese dal basso, da quel contesto infernale e dantesco da cui tutto prende corpo.

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Un vizio di famiglia: un momento del film

Un gioco dall'interesse sublime, masochista, che prende e tiene in ostaggio chi lo osserva, perfettamente costruito da Sébastien Marnier solo con la forza di inquadrature mai lasciate al caso, ma pensate per enfatizzare un sentimento dissociativo e disorientante di costante ambiguità. E così, dietro la canonicità apparente di una regia lineare e senza fronzoli, si nasconde il cuore pulsante di un'opera misteriosa e per questo appagante, frammentandosi nello spirito di ogni raccordo. Un processo basico, alimentato e moltiplicato esponenzialmente da un montaggio altrettanto insidioso dal punto di vista mentale, pronto a innestare il seme del dubbio e della suspense. E così, anche un semplice momento conviviale, come può essere un pranzo, si fa nido di malignità, vendette e recite. L'incapacità dei personaggi di leggere e comprendere la vera natura dell'affetto, e la chimica di emozioni tradotte in parole, si traduce visivamente in uno schermo suddivido in vari frammenti: lo split-screen si fa pertanto portatore visivo di dubbi e sospetti nati al sorgere di identità frammentarie, e storie incostanti, ricordi falsati, pensieri viziati, tutti raccolti in un labirinto psicologico senza via di uscita, o ancore di salvezza.

Triangoli di paura in quadri domestici

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Un vizio di famiglia: una scena del film

In Un vizio di famiglia i dettagli del momento sono piccoli elementi impercettibili che innestano il propagarsi dell'origine del male tra le mura famigliari. Già, perché nel film di Marnier a svolgere un ruolo predominante è un aspetto domestico profondamente richiamante quello imbastito da Alfred Hitchcock nel suo Rebecca - La prima moglie. Uno sguardo volutamente intrusivo da parte del regista dentro un contesto in cui nessuno è vittima, ma parte di una colpa universale, segnato dallo scorrere di un breve tempo e scandito da un accompagnamento musicale perfettamente in linea con la portata umorale e psicologica che si vive tra le mura di quella casa.

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Un vizio di famiglia: un'immagine dal set del film

I battiti cardiaci sincopati sono dunque campanelli d'allarme memori dell'opera di Dario Argento. La colonna sonora si fa pertanto portatrice d'ansia di un comparto visivo dove apparentemente nulla accade, ma solo perché tutto viene relegato nello spazio angoscioso del fuori campo, in perpetua attesa che si ripresenti in tutta la sua forza, travolgendo e distruggendo l'apparato illusorio costruito da ogni personaggio. Già, perché George, Stéphane e Louise sono tre vertici di un triangolo femminile di ancestrale timore. Tre, come le Moire, o le streghe di Macbeth, pronte a manipolare il pensiero altrui, o segnare per sempre il percorso di vittime - più o meno - innocenti.

Performance minimali di concreta ambiguità

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Un vizio di famiglia: una sequenza

Vige un terrore per qualcosa di sinistro a tenere stretto ogni raccordo di montaggio in Un vizio di famiglia. Un gioco psicologico divampatosi dall'evolversi di una doppia personalità pronta a rivelarsi come un terreno malato che secca il raccolto altrui; un parassita che si abbevera della vita degli altri, ingrassando con il rischio di scoppiare. Ma anche il gioco più ambiguo e psicologicamente disorientante non catturerebbe l'attenzione del proprio pubblico senza una performance coesa, convincente e misteriosamente intrigante da parte del comparto attoriale. Per sua fortuna, Un vizio di famiglia vanta un corollario interpretativo di grande talento; mai eccessivi, o fuori luogo, i suoi attori restituiscono tutta l'apparente fragilità dei propri personaggi, tra manie e idiosincrasie, con performance minimaliste giocate in perfetta sottrazione. Perché, come dice il detto, "mai fidarsi delle acque chete", e quelle rinchiuse nei corpi dei propri personaggi, è uno tsunami emotivo pronto a travolgere la vita di ognuno di loro per lasciarli in balia della corrente, nella speranza di una mano salvifica, o un lembo di terra risollevante.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Un vizio di famiglia sottolineando come il film di Marnier riesca a intessere una rete di sospetti e misteri degni del miglior Hitchcock, ammantando tutto di continua ambiguità e continui, interessanti, risvolti narrativi.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.8/5

Perché ci piace

  • La performance degli interpreti, in particolare di Laure Calamy.
  • L'uso "parlante" delle inquadrature e dei vari piani di ripresa, capaci di sottolineare certi sentimenti predominanti.
  • La bellezza sublime degli ambienti.

Cosa non va

  • Una certa prevedibilità per alcuni plot-twist, soprattutto da parte degli amanti del genere.