Mario Brega: le scene più belle e cult a 25 anni dalla scomparsa

Il 23 luglio del 1994 ci lasciava Mario Brega: ecco le sue scene cult da Un sacco bello - che è disponibile su Infinity - a Borotalco.

Mario Brega
Mario Brega

Mario Brega poteva esse "fero" e poteva esse piuma. L'attore romano - di cui oggi rievochiamo le migliori scene dei suoi film - lanciato da Sergio Leone e diventato un cult assoluto negli anni Ottanta con i film di Carlo Verdone, e di cui oggi ricorrono i 25 anni dalla scomparsa (il 23 luglio del 1994), era così, in scena e nella vita. Poteva arrabbiarsi furiosamente, e poi sorridere con una dolcezza unica, abbracciandoti, come ricorda spesso Carlo Verdone nelle interviste. Furia e dolcezza anche nella stessa scena, o a poca distanza, come accade nella sequenza che citiamo in apertura, quella di Bianco, rosso e Verdone. Mario Brega era figlio di un falegname, ed ex atleta olimpico, Primo Brega. Per il suo aspetto fisico corpulento, e per i suoi modi bruschi, è stato naturale per lui entrare nel cinema in ruoli da caratterista. Lo ricordiamo in Un sacco bello - che possiamo rivedere su Infinity - ne La marcia su Roma, di Dino Risi, del 1962, in cui interpreta il fascista Marcacci. Per Sergio Leone è stato Chico in Per un pugno di dollari (1964), El Niño in Per qualche dollaro in più (1965) e il caporale dell'esercito nordista Wallace ne Il buono, il brutto, il cattivo (1966).

Clamoroso quello che avvenne sul set di Buffalo Bill, l'eroe del Far West dove una scazzottata con Gordon Scott diventò un vero pestaggio da parte di Brega: Scott stava facendo una scena troppo realistica. Dei set di Sergio Leone sono rimaste nella storia le partite a poker con Volonté e Lee Van Cleef, che a un certo punto si ubriacava e veniva portato a letto di peso da Brega, che gli diceva "Devi andà a dormì che domani c'hai i primi piani". E le botte a Volontè quella volta che non voleva pagare a poker.
In quest'articolo ricordiamo Mario Brega proprio attraverso le scene dei film, quelle più belle ed indimenticabili.

Mario Brega e Carlo Verdone

Un giovanissimo Carlo Verdone
Un giovanissimo Carlo Verdone

"Sembrava un gangster, invece era uno che poi, la sera alle sette, andava a parlare con un prete della Magliana, un amico suo, e parlavano dell'aldilà. Aveva anche un suo lato poetico". Così parla di lui Carlo Verdone. Negli anni Ottanta Mario Brega è diventato famoso con il suo cinema. Ma, dopo il 1986, e Troppo forte, si risentì perché il regista romano non lo aveva più chiamato nei suoi film. "Carlo Verdone? Non lo conosco", rispondeva a chi gli chiedeva di lui. Prima se l'era presa anche con Leone. "Sergio me doveva dà 30 pose, sò diventate tre" aveva detto proprio a Verdone. Il film era C'era una volta in America, e i due non si sarebbero parlati più. Nei film di Sergio Leone, già di per sé laconici, parlava poco, diceva una o due parole, era spesso uno dei cattivi. È stato Carlo Verdone a creargli una nuova carriera, a costruirgli un personaggio, quello del romano burbero, dell'omone di buon cuore ma irascibile. Il problema con Brega, racconta Verdone, era quello di trovare un tono di voce basso. Mario Brega urlava sempre.

Un sacco bello: Manco le basi del mestiere

Carlo Verdone accanto a Nello Appodia in Un sacco bello
Carlo Verdone accanto a Nello Appodia in Un sacco bello

Per il suo primo film, Un sacco bello, del 1980 - che è disponibile in streaming su Infinity - Carlo Verdone era a casa di Sergio Leone ed era in cerca di un attore che interpretasse il padre di Ruggero, un ragazzo di buona famiglia che decide di fare l'hippie e vivere in una comune. Ne stavano parlando e in quel momento entra Mario Brega, con gli occhiali con la montatura d'oro, un catenone con il crocifisso al collo, e il vestito di lino bianco. Non c'erano dubbi: il padre di Ruggero era lui. I momenti più alti di Mario Brega con Carlo Verdone sono proprio qui, in Un sacco bello, nel ruolo di quel padre. Quell'episodio del film ruota tutto intorno al suo tentativo di riportare il figlio a casa. Da qui chiama una serie di parenti e conoscenti per convincerlo (tutti interpretati da Verdone). Tra questi c'è un prete, Alfio, che a un certo punto fa: "Sapete che ve dico, che io me alzo e me vado a lavà le mani, come fece Ponzio Pilato davanti a... davanti a..." "Davanti a nostro Signore... Santa Madonna, manco le basi del mestiere te ricordi, ma che c... Alfiooo!" La tipica esplosione d'ira di Mario Brega capita a lui.

Un sacco bello: So' comunista così!

La scena è forse il top di tutte le incursioni di Mario Brega nel cinema di Carlo Verdone. Stanno parlando delle esperienze di Ruggero nella comune, e Brega inizia il suo monologo, pieno di gesti eclatanti. "Tutti dentro sta piscina co 'sti cosi de fori!!! Ma se po' avè un fio così, senza 'na casa, senza 'na famija, co le pezze al culo, ai semafori a chiede l'elemosina!" "E co 'sta stronza che è due ore che sta a masticà! Ma che te ciancichi!" fa rivolgendosi all'amica di Ruggero. "Guarda che a mio padre gli ho già sputato in faccia: attento fascio che non ce metto gnente!" risponde lei. "A me fascio? Io fascio? Io mica so comunista così, so comunista così" fa Brega scaldandosi, e agitando prima un pugno chiuso, e poi tutti e due. Verdone racconta che Brega non era affatto comunista, e che fargli fare la scena con i pugni chiusi non fu facile. La fece, ma comunque a modo suo: urlando. Ed entrando nella leggenda.

Bianco, rosso e Verdone: Sta mano pò esse fero e pò esse piuma

Ed eccoci qua, al film dal quale siamo partiti. Una frase che è non è solo una battuta, è un modo di essere, è uno stile di vita. Mario Brega in Bianco, rosso e Verdone, del 1981, è Principe, un camionista che incontra, sulla loro strada, Mimmo (Verdone), ragazzo timido e impacciato che è andato a prendere la nonna (Sora Lella) per accompagnarla a votare. La nonna è molto delicata, ha bisogno che le venga fatta una puntura, Mimmo non sa cosa fare. Ed ecco che arriva lui e, in un attimo, dimostra mani fatate e fa l'iniezione. "T'ha fatto male?" chiede l'apprensivo nipote. "Ma che m'ha fatto male, ma se questo c'ha 'na mano che è 'na piuma", risponde lei. "A giovanò, sta mano po' esse fero e po' esse piuma. Oggi è stata 'na piuma" fa a quel punto lui. Una frase, una sentenza.

Bianco, rosso e Verdone: M'hai fatto carcerà

Ma poco dopo qualcosa va storto, e Principe viene arrestato. E allora diventa "fero": non tanto le mani, ma il suo corpo, la sua voce. Infatti viene arrestato e si sfoga. "J'ho fatto pure l'iniezione! A' stronza sei contenta che m'hai fatto carcerà? A 'nfame, a 'nfamone, m'hai fatto carcerà" dice urlando come un ossesso mentre viene portato via dalle forze dell'ordine. Questi sfoghi di Mario Brega c'erano sempre, anche nella vita. In Bianco, rosso e Verdone si lamentò delle poche scene. "M'aveva detto Sergio che nel film ce dovevo sta' come er prezzemolo, e invece tu m'hai dato solo cinque pose. Ciiinque poseeee!" ha raccontato Verdone in una delle tante intervista su Brega. Una scena che si concluse con uno sputo sullo scritto e le parole "trovate n'antro attore". Ma poi Mario tornò e girò il film.

Borotalco: Come sò 'ste olive?

Mario Brega, in Borotalco, terzo film di Carlo Verdone del 1982, è ancora una volta in grande spolvero. La sua scena cult è quella in cui è Augusto, e ospita il protagonista, Sergio Benvenuti (Verdone stesso), nella sua bottega, un negozio di alimentari completamente rinnovato e pieno di prodotti di alta qualità. Sergio è il fidanzato della figlia, Nadia, e lui vorrebbe che la sposasse, e magari prendesse in mano anche l'attività di pizzicagnolo. Con il suo fare, al tempo stesso suadente e minaccioso, gli magnifica le qualità dei prodotti, di quel prosciutto che è "dolce, un zucchero" e di quelle olive che "assaggiale, so greche!" "Allora, come so?" chiede a uno spaesato Sergio. "Sé bone, so greche", risponde lui. Mario Brega andava spesso da Leone e arrivava con qualsiasi tipo di prodotti, cassette di frutta e verdura, e gliele faceva assaggiare con le mani, proprio come fa con Verdone nel film.

Borotalco: Arzate, cornuto, arzateee!

E poi, in un misto di dolcezza e violenza, parte il suo monologo in cui racconta di quando ha accompagnato la figlia a prendere un paio di scarpe a Via Veneto ed è incappato in un gruppo di ragazzi che hanno fatto un apprezzamento non gradito alla figlia. Ed è scattata la rissa. "M'ha dato un cazzotto in bocca. Me lo so guardato, ho sputato e j'ho detto: manco er sangue m'hai fatto uscì. J'ho dato un destro in bocca, m'è cascato pe' terra come Gesù Cristo. J'ho rotto er setto nasale, j'ho frantumato le mucose e je dicevo: arzate, a cornuto, arzatee! Era pieno de sangue, a ettolitri. Me lo so guardato, me so girato, me so risistemato la giacca Mi fija m'ha detto: che è successo? Niente, due de passaggio. Namo a comprà le scarpe". Brega conclude la frase con un sorriso dolce carico di amore per la figlia. Dopo questo spaccato di vita quotidiana chiede a Sergio se ha intenzione di sposare la figlia. Richiesta che, dopo questo show, appare davvero come una minaccia... Carlo Verdone ha raccontato che questa scena fu girata pochissime volte: si tratta di un episodio reale nella vita di Brega (pare che sia proprio il racconto che faceva lui del pestaggio a Gordon Scott) e quindi fu lasciato libero di improvvisare.

Vacanze di Natale: Sò Arturo Marchetti, er padre de Mario

Reduce dal cinema di Carlo Verdone, Mario Brega è entrato nella storia del cinema italiano degli anni Ottanta. Carlo ed Enrico Vanzina lo hanno voluto con sé per quel piccolo grande cult che è Vacanze di Natale, del 1983, il primo cinepanettone, ma che in fondo non lo è: ha una grazia e una poesia che, in confronto a quelli che sarebbero venuti, oggi pare un film di Truffaut. Mario Brega è perfetto per interpretare Arturo Marchetti, il padre di Mario Marchetti (Claudio Amendola). Arturo Marchetti è un macellaio di Viale Marconi, e, quando incontra i genitori degli amici di Mario, si presenta così: "Ciao so Arturo Marchetti, er padre de Mario! Na sera de queste se famo 'na partita a tresette tra matusa se divertimo!". Mario Brega è l'elemento "coatto" del film, la persona fuori posto a Cortina, il simbolo di una romanità semplice che serve a giocare sul contrasto con l'altra famiglia, i Covelli, per creare una sorta di lotta di classe che era un leit motiv del cinema di quegli anni, da Sapore di mare ad Amarsi un po'.