M3gan, la recensione: una (nuova) bambola assassina e il lato più scary dello sci-fi

La recensione di M3gan: una bambola senziente, spietata e dotata di intelligenza artificiale per il nuovo (e riuscito) film horror sci-fi targato Blumhouse.

M3gan, la recensione: una (nuova) bambola assassina e il lato più scary dello sci-fi

I giocattoli al cinema funzionano sempre. Soprattutto, funzionano quelli cattivelli, che prendono vita dando sfogo ad una lucida follia omicida, demoniaca e orrorifica. Il Maggiore Chip Hazard di Small Soldier (stiamo ancora aspettando il sequel), Billy il Pupazzo di Saw, la bambola Annabelle o la mitica bambola Chucky. Sono solo alcuni esempi che ci tornano in mente, ma bastano per sottolineare il concetto: i nostri amici toys potrebbero non essere così amicali come sembrano. Un concetto semplice ed efficace, che continua ad essere una certezza per il cinema di genere. Un cinema di genere che, però, sta cambiando: c'è una commistione, ci sono le influenze, ci sono i rimandi alla realtà. Allora, la figura di Chucky, che contiene lo spirito di un serial killer, pur essendo un cult assoluto potrebbe non bastare più. C'è bisogno di innovazione, avanguardia, futuro, nonostante l'intuizione non sia così originale, o almeno non così impressive.

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M3GAN: una sequenza del film

Ma poco importa, perché Megan (stilizzato come M3gan, acronimo di "Model 3 Generative Android") diretto da Gerard Johnstone e scritto da James Wan (il papà di Saw, e pure lo sceneggiatore di Annabelle 3) funzionano proprio perché evita i canoni horror e si avvicina maggiormente al thriller sci-fi, condito da un certo umorismo (come spesso accade l'umorismo viaggia sotto traccia) che riempie e supporta l'ovvia sospensione dell'incredulità. Del resto, M3gan/Megan è marchiato Jason Blum, che torna a lavorare con James Wan dopo il successo di Insidious: una produzione che, potete scommetterci, non si risparmia e - come accade nel film - non risparmia nessuno. O quasi. L'androide, che in alcune sequenze è interpretata dalla giovane Amie Donald, è una sorta di crasi tra Annabelle e Terminator, sebbene venga asciugato l'aspetto paranormale puntando dritto verso l'evoluzione tecnologica che, nostro malgrado, potrebbe averci reso (in)consapevolmente dipendenti e poco inclini all'empatia e alla condivisione umana.

Model 3 Generative Android

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M3GAN: una foto

Perché poi la trama di Megan gira attorno al concetto di dipendenza. Una dipendenza che, scena dopo scena, si farà sempre più perversa, incrinata, malata. Tutto inizia quando Gemma (Allison Williams), brillante sviluppatrice al soldo di un'azienda di giocattoli (quasi) senzienti e altamente hi-tech (ricordate i Furby? Ecco), deve progettare una nuova bambola capace di stupire il CEO e risollevare la crisi di vendita. Intanto, deve anche occuparsi di Cady (Violet McGraw), la nipote di otto anni rimasta orfana dopo un tragico incidente che ha coinvolto lei e i suoi genitori.

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M3GAN: un'inquadratura del film

Ma Gemma è precisa, meticolosa, fredda, latentemente isterica, scostante e poco avvezza al ruolo di madre putativa. Le sue giornate sono scandite dal lavoro, e non ha tempo né caratteristiche per occuparsi di una bambina che, per giunta, ha appena subito un trauma insanabile. Perciò, l'intuizione: far testare da Cady il prototipo di M3gan, una bambola (troppo) realistica che sfrutta un'intelligenza artificiale che le permettere di essere, come slogan rimarca, "affidabile compagnia per i bambini e una sicurezza per i genitori". Cady e la bambolotta, alta quasi quanto lei, iniziano a legare, a conoscersi. Per Gemma è una svolta lavorativa, per Cady diventa invece un fuorviante punto di riferimento. Tanto che M3gan, poco a poco, diventa iper-protettiva, aggressiva, pericolosa e impossibile da gestire.

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M3GAN: un'immagine del film

Un'azienda senza scrupoli, l'ossessione per il profitto, l'invasione della tecnologia intelligente nelle nostre vita, lo sfilacciamento delle relazioni naturali. E, come detto, la dipendenza - stretta e asfissiante - che abbiamo instaurato nei confronti dei nostri dispositivi divenuti dei fuorvianti membri famigliari. Un presupposto contemporaneo per un horror che non intende quasi mai spaventarci, piuttosto tende ad intrattenerci con una buona dose di razionalità inquietante, spinta da una figura - M3gan - che si presta per essere rivista in chiave cinematografica.

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M3GAN: una scena tratta dal film

Il film non può non essere lei, non può non essere riassunto nel suo sguardo glaciale e meccanico, nel suo movimento innaturale e nella sua indole squadrata. L'intuizione è vincente, unita ad una backstory che punta sull'incomunicabilità moderna, assoggettata ad un egoismo nascosto. Aggiungendoci una buona messa in scena, che alterna ombre, penombre ai colori più saturi, al neon. Se poi lo svolgimento del film potrebbe essere, a tratti, ampiamente annunciato (sebbene il concetto di Intelligenza Artificiale sia comunque affascinante), è l'atmosfera e le sferzate di humour nero (con tanto di balletto già cult) che rendono complessivamente l'opera di Gerard Johnstone accattivante, spiritosa, funzionale e spudoratamente malvagia. Proprio come Megan. O M3gan. Insomma, chiamatela come volete: l'importante è che non vi affezioniate troppo...

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Conclusioni

Concludendo la recensione di M3gan (o Megan!), rimarchiamo quanto il film, prodotto da Jason Blum, non cerchi a tutti costi lo spavento, bensì riesce ad intrattenere con intelligenza e piglio narrativo, al netto di una certa prevedibilità di genere. Il tutto, supportato da uno humour decisamente oscuro...

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.8/5

Perché ci piace

  • Il personaggio di M3gan, perfetto per il cinema.
  • Lo humour nero.
  • Le tematiche decisamente attuali.
  • C'è il lato più scary dello sci-fi...

Cosa non va

  • Un lato scary che però non fa quasi mai paura...
  • ... dunque, se cercate il terrore puro, M3gan potrebbe non soddisfarvi...