Living e l'accensione della vita con l'ombra della morte

Remake del Vivere di Akira Kurosawa Living, film presentato fuori concorso alla 79esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, è un saggio commovente sulla volontà di sfruttare gli ultimi barlumi di un'esistenza in procinto di chiudere il proprio spettacolo.

Living e l'accensione della vita con l'ombra della morte

A volte ci vuole una vita per comprendere che quella che abbiamo da sempre indossato è una maschera sfilacciata, sbagliata, modellata dal giudizio degli altri, ma poco aderente al nostro viso. È una maschera che non ci appartiene, ma che abbiamo comunque fatto nostra, convincendoci che sia quella la performance più adatta da interpretare sul palcoscenico della nostra vita.
Presentato fuori concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, Living di Oliver Hermanus segue con rispettosa fedeltà il precedente Vivere di Akira Kurosawa, per tracciare i meccanismi di rivoluzione interna di un'esistenza rimasta per anni bloccata nell'immutabilità. E così la malattia, da ombra nefasta pronta ad avvolgere nel buio eterno il corpo che va a colpire, si tramuta in luce brillante, una seconda occasione grazie alla quale distruggere la maschera indossata per anni per passare all'interpretazione di un monologo ombroso e gelido, a una commedia espansiva e coinvolgente.

Living Nighy
Living: un'immagine di Bill Nighy

Living, la trama

Living
Living: un'immagine di Bill Nighy

Mr. Williams è il responsabile severo dell'ufficio londinese delle Opere Pubbliche. Con l'entrata in scena di un nuovo impiegato (Alex Sharp), Mr. Williams scopre di essere affetto da un cancro in fase terminale. Tenendo la propria condizione di salute ben nascosta agli occhi degli altri (fatta eccezione per la giovane segretaria Margaret Harris) l'uomo decide di cambiare il proprio atteggiamento e cercare così di abbracciare una nuova e inedita felicità. Assentandosi spesso da lavoro per vivere appieno i giorni che gli rimangono, l'uomo torna ogni tanto nel proprio ufficio per ottenere i permessi con cui dare il via alla costruzione di un parco giochi per bambini. Il tutto senza dimenticarsi mai dei propri colleghi, e del futuro della giovane Harris.

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Fiori nati all'ombra della morte

Living Sharp
Living: un'immagine di Alex Sharp

Per William Shakespeare "tutto il mondo è teatro", ma nell'universo illuminato dalla luce riflessa di schermi sempre accesi, la nostra esistenza si veste perlopiù di pixel e celluloide, così da tramutarsi in una versione del tutto personale di un film di cui siamo registi, attori e montatori. Ma la sceneggiatura, quella no, non è un ruolo che ci compete; è il fato, il destino, l'incertezza del futuro a spingere sui tasti di una macchina da scrivere pronta a redigere gli eventi del nostro percorso personale. E il destino di Mr. Williams in Living è uno sceneggiatore capriccioso, che ha giocato sulla pigrizia di idee per la maggior parte della vita dell'uomo, per poi colpirlo con un plot-twist dai tratti sofferenti nel corpo, ma felici e allegri nell'anima. È a partire da quel primo piano, quello di un uomo in silenzio, ma capace di comunicare molto di più di quanto esprimibile a parole, che i dettami di una sentenza dolorosa aprono gli occhi, svegliano dal torpore, per spingere Mr. Williams a recuperare un tempo solo apparentemente perduto per sempre. Ed è proprio tra gli spazi di un giro di boa inatteso, nel punto preciso in cui la morte prende il sopravvento, che per Mr. Williams germoglia, come una radice rimasta senza acqua per troppo tempo, ma adesso pronta a rifiorire, un nuovo senso di vita, pieno di curiosità e altruismo.

Restituire la rinascita di una vita perduta

Living Film
Living: Bill Nighy e Aimee Lou Wood

Il film di Oliver Hermanus nasce, cresce e muta partendo da quella radice semantica nascosta dietro la portata esistenziale del proprio titolo. "Living"; "vivere": un processo naturale, istintivo, che per il proprio protagonista si tramuta in una seconda, imprevista, occasione. Una rinascita, questa, che il regista sudafricano traduce in linguaggio cinematografico, chiamando a sé ogni elemento del proprio apparato filmico per rendere tangibile e coinvolgente questo nuovo - e brevissimo - inno alla vita. E così quella fotografia dai tratti vintage e ammantata da lingue ombrose e filtri cinerei di una routine pronta a essere rivoluzionata, dimenticata, modificata, cambia improvvisamente sulla scia di un referto, vestendosi di tonalità calde, accoglienti, luminose e dense, proprio come il rosso del sangue che torna a scorrere nelle vene. E se prima nel mondo interiore di Williams non vi era spazio per nessun altro sguardo, nessun altro corpo, adesso tutto si apre, abbracciando altre esistenze e ascoltando altre voci. Un'ammissione a una misantropia mai nascosta, ma sempre vantata, che adesso lascia spazio a un'apertura empatica, quasi paterna, soprattutto per i giovani amanti Mr. Wakeling e Margaret Harris. Un'espansione restituita in termini filmici da un'estensione delle inquadrature, che da riprese ristrette, fatte di primi e primissimi piani sullo sguardo severo di Bill Nighy, lasciano spazio a totali e campi abbastanza ampi da comprendere al proprio interno una piccola comunità di amici prima relegati al solo ruolo di conoscenti.

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Abbigliare l'esistenza di tessuto cinematografico

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Living: Bill Nighy durante il photocall della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2022

Living è un abito sartoriale imbastito direttamente sul corpo del proprio protagonista. Ma proprio perché costruito su misura sul personaggio di Mr. Williams, è nel momento della sua assenza che l'opera incontra il proprio punto di stallo, inciampando nel baratro della retorica e del melenso sentimentalismo. Vivendo negli inframezzi del ricordo, e riportato in vita dalla potenza del flashback, senza il proprio protagonista l'opera perde la sua dolce innocenza, sviluppandosi su una sorta di fastidiosa forzatura con cui far commuovere a tutti i costi i propri spettatori. Sopraggiunti al terzo e ultimo atto di Living si apre pertanto una voragine che prende e ribalta quel perfetto equilibrio tra nostalgia di un passato perduto, e una sete di vita ora riscoperta e recuperata, che tanto caratterizzava i passaggi precedenti.

(Soprav)Vivere in sottrazione

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Living: il cast in una foto della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2022

Senza un corpo, anche il più bel vestito mai realizzato non sarebbe altro che un pugno di stoffa senza vita. E l'abito elegante, toccante di Living trova nel fisico slanciato, e a tratti bloccato da una paura improvvisa di potersi divertire di Bill Nighy, il proprio modello designato. Senza mai osare dal punto di vista gestuale ed espressivo, ma puntando piuttosto su una performance tutta giocata in sottrazione, l'attore riesce a colpire al cuore del proprio pubblico proprio nel momento in cui la parola viene meno, e sono gli occhi a sostituirsi all'onda verbale di migliaia di sentimenti rimasti sottaciuti. Non c'è nulla che eccede nella performance di Nighy, ma tutto rientra perfettamente tra i confini stabiliti da una personalità sempre in disparte, silenziosa, severa, ma ora pronta ad abbracciare gli ultimi fuochi di una vita che aspira a essere vissuta. E anche l'accettazione compiuta con la forza di un sorriso leggero, timido, quasi in colpa, del suo soprannome "zombie" (elemento premonitore del proprio destino, e perfetto correlativo di un passato filmografico come quello che ha visto il suo interprete rivestire proprio il ruolo di uno zombie in L'Alba dei morti dementi - Shaun of the Dead di Edgar Wright) avviene con estrema naturalezza e onestà interpretativa.

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Living 2022
Living: un'immagine di Bill Nighy

Il Mr. Williams di Bill Nighy non ha nulla però dello zombie; in lui batte un cuore pulsante e ora forgiato da un calore umano pronto a irradiarsi verso gli altri colleghi e amici. Ma se il nuovo sospiro colmo di vita di Mr. Williams può raggiungere le esistenze altrui, è anche grazie all'aiuto di un personaggio come quello interpretato da Aimee Lou Wood, sorta di esponente moltiplicatore del desiderio di vita espresso dal proprio responsabile/amico. L'attrice di Sex Education mostra una naturalezza interpretativa e una freschezza non solo tipica dei suoi anni, ma perfettamente aderente al carattere della sua Margaret. Un abbraccio armonioso e perfetto, capace di rendere reale ogni brandello caratteriale di personaggi presi prima in prestito dalla galleria umana di Akira Kurosawa, poi rimaneggiati con cura dalla sceneggiatura di Kazuo Ishiguro, e infine affidati alle attenti cure dei propri interpreti.

Ciò che ne risulta è uno sguardo sincero sulle infinite opportunità che la vita ci riserva, anche alla fine di un percorso compiuto sempre in rettilineo, sempre alla medesima velocità. Una poesia senza fronzoli, redatta con cura nelle sue strofe iniziali, per poi lasciar spazio a un predominio soffocante di una retorica opprimente, che ferma il cuore e adombra la vista. E così, il bello si perde e la monotonia riprende il sopravvento.