L'oro di Scampia: Beppe Fiorello e l'altra faccia della Camorra

Beppe Fiorello ha fortemente voluto realizzare il film tv L'oro di Scampia sul campione olimpico di Judo Pino Maddaloni. E su come suo padre Gianni ha tentato con una palestra di togliere dalla strada i ragazzi del disagiato quartiere napoletano. Oggi spiega perché.

Alcune storie ti restano attaccate addosso come una seconda pelle. Chiamatelo colpo di fulmine o, se preferite, segno del destino. È successo a Beppe Fiorello quando per la prima volta ha sentito parlare di Pino Maddaloni, un ragazzo della periferia di Napoli, che con il sostegno di suo padre Gianni ha sfidato le leggi della strada per inseguire l'unica possibilità di salvezza nello sport. Tutte le difficoltà - ma anche le soddisfazioni - diventano un film TV, L'oro di Scampia, in onda lunedì 10 febbraio in prima serata su RaiUno. Le vicende del campione di Judo che ha vinto le Olimpiadi del 2000 a Sydney, raccontate nel libro La mia vita sportiva (edito da La Comune), arrivano in tv prodotte da Picomedia - Ibla Film con Rai Fiction grazie al forte impegno profuso dal direttore Eleonora Andreatta a sostegno del progetto. Dietro la macchina da presa Marco Pontecorvo dirige il cast che interpreta la famiglia protagonista: Giuseppe Fiorello nei panni del papà (qui ribattezzato Enzo Capuano), Anna Foglietta (la moglie Teresa) e Gianluca Di Gennaro (il campione Toni). Fiorello ha curato anche soggetto e sceneggiatura assieme a Paolo Logli, Alessandro Pondi e Pietro Calderoni assieme a Gabriella Giacometti. In sala ad applaudire il progetto durante la presentazione stampa c'è anche Adriana Musella, presidente del coordinamento nazionale antimafia.

Cosa racconta questo film tv?
Eleonora Andreatta: La storia parla di riscatto e racconta una realtà ricca di contraddizioni. Un uomo con la voglia di non cedere riesce a dare il buon esempio in una terra dura, dà ai giovani del quartiere un'alternativa alla vita criminale. Il film nasce da un'idea di Fiorello che ha tirato fuori la verità del personaggio. Non è un uomo perfetto, ma porta avanti convinzioni forti e, a volte, come padre sbaglia per poi imparare a cambiare. Abbiamo girato sul territorio e usato le musiche di Pino Daniele per rendere concreto quel mondo.
Marco Pontecorvo: L'idea di non mollare davanti ad una realtà impossibile mette in scena storie di enorme umanità sentimenti veri, ingiustizie ma abbiamo tentato di tenere fuori la retorica puntando al realismo, come nel rapporto padre-figlio che passa da egoismo e onnipotenza per arrivare a cambiare: i due imparano, infatti, a parlare la stessa lingua.

Come hai conosciuto questa vicenda?
Beppe Fiorello: Me ne ha parlato un'amica, anche se ricordavo questo ragazzo sul podio olimpico che piangeva e ha commosso me e tutta l'Italia perché ce l'aveva fatta. Erano lacrime dedicate a tutti i suoi amici di Scampia, ai ragazzi che come lui sognavano un obiettivo. Il titolo del film si può leggere anche senza l'apostrofo, è nella natura stessa della storia.

Una storia di mafia diversa dalle altre...
Beppe Fiorello: Scampia è una zona depressa e dimenticata, ma c'è molto altro, come tante attività sociali e culturali. Ricordo ancora una signora che mi ha preso per il braccio mentre andavo sul set e mi ha detto: "Fiorè, mi raccomando, raccontaci bene". Noi non nascondiamo le altre realtà, raccontate da prodotti come Gomorra, e non vogliamo essere antagonisti di nessuno, ma offrire un'altra angolazione, quella dello sport.

Quali sforzi fisici hai affrontato per il ruolo e quale accoglienza hai trovato a Scampia?
Beppe Fiorello: Ho messo su otto chili e ho fatto una full immersion di 4-5 mesi al Don Orione di Roma per avere il piacere di girare le scene di judo. Per quanto riguarda l'accoglienza è stata calorosissima, com'è tipico dei napoletani. Alle otto del mattino mi portavano la frittata di maccheroni e tantissimi caffè, quindi eravamo tutti cicciottelli. Girare in quei posti non è stata una passeggiata ma il commissariato di polizia ci organizzava e accompagnava. Lo Stato a Scampia c'è ma forse non basta.

Cos'è cambiato dopo Sydney? Gianni Maddaloni: Mi è stato imposto dalla Camorra di non essere nel mio territorio e da Miano mi sono spostato a Scampia, dove continuo l'attività anche con i detenuti. Economicamente sono sempre un fallimento, ma pieno di soddisfazioni.
Pino Maddaloni: Fin dall'età di tre anni speravo che qualcosa sarebbe cambiato, anche quando per il campionato nazionale mi allenavo poi nella cantina di fronte a casa mia, ma ora non ci credo più. Questo Paese non ha orgoglio. Sono felice di questo film, ma neppure l'oro ha modificato qualcosa. Ho assistito all'incontro di mio padre con un politico: gli diceva che i bambini non si possono allenare a piedi nudi in un capannone dove l'estate faceva caldissimo e d'inverno si gelava. L'uomo gli ha risposto che anche nel suo ufficio faceva freddo. Allora l'ho abbracciato e ho capito. Ora sono tecnico della nazionale maschile di Judo e spero nelle Olimpiadi di Rio e mi auguro di continuare a dire la mia verità a costo di attirare qualche antipatia.

Da napoletano, com'è stato interpretare questo campione?
Gianluca Di Gennaro: Conoscevo la sua storia, ma non ha fatto il rumore che spero ottenga con questo film. Da napoletano mi sento emotivamente coinvolto del progetto. A me succede l'opposto di quello che si vede: mio padre vorrebbe che andassi a Roma a lavorare mentre io voglio rimanere a Napoli.

Da siciliano, hai vissuto le storie di mafia da vicino. È questo ad averti spinto verso il progetto?
Beppe Fiorello: Questa storia è universale e potrebbe essere presa da qualsiasi periferia come quella in cui sono vissuto io, martoriata da morti ammazzati ogni quindici giorni. Sono scivolato dalla parte giusta grazie alla famiglia che mi ha lasciato sognare. Anch'io sono un ragazzo di Scampia e questa è la mia storia, mi appartiene, anche se il mio quartiere si chiama Paradiso ed era l'opposto del suo nome. In qualche modo ce l'ho fatta anch'io e ho ottenuto le mie medaglie d'oro. Come dice Papa Francesco, la realtà si vive in periferia.