Il primo giorno della mia vita, la recensione: tornare ad amare la vita si può?

La recensione di Il primo giorno della mia vita, film di Paolo Genovese tratto dal suo omonimo romanzo in cui quattro persone riflettono sul suicidio. Con Toni Servillo e Valerio Mastandrea.

Il primo giorno della mia vita, la recensione: tornare ad amare la vita si può?

Un sacerdote americano del Michigan, Gerald Johnson, ha rivelato su TikTok di essere stato all'Inferno. Ci sarebbe finito nel 2016, dopo aver avuto un infarto. Lo descrive come un posto tremendo, popolato da persone con catene ai piedi, in preda a fiamme eterne. Un luogo in cui c'è anche della musica. E non musica qualsiasi: secondo la testimonianza del prete, all'Inferno ascoltano in loop le canzoni Umbrella e Don't worry be happy, rispettivamente di Rihanna e Bobby McFerrin. I protagonisti del nuovo film di Paolo Genovese non sono ancora finiti tra le fiamme, stanno in un limbo, in cui ad accoglierli c'è una specie di traghettatore di anime, con la faccia di Toni Servillo, che ama il jazz. Che si finisca nelle alte sfere celesti o nei gironi infernali, la musica parrebbe essere una costante. Fatta questa premessa, la recensione di Il primo giorno della mia vita parte con una domanda: si può tornare ad amare la vita in una sola settimana quando si è deciso di farla finita? Purtroppo non grazie a questo film.

Il Primo Giorno Della Mia Vita Ph Maria Marin 4
Il primo giorno della mia vita: Valerio Mastandrea, Toni Servillo, Margherita Buy, Sara Serraiocco, Gabriele Cistini in un'immagine

In sala dal 26 gennaio, Il primo giorno della mia vita è l'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Paolo Genovese uscito nel 2018. Il regista e scrittore sposta l'ambientazione della storia da New York a Roma, trasformando la città italiana in una sorta di nonluogo grigio e perennemente battuto dalla pioggia, a sottolineare la drammaticità dello stato d'animo dei protagonisti. Il traghettatore di anime senza nome interpretato da Toni Servillo deve infatti portare in giro per le strade della Capitale quattro persone che hanno deciso di suicidarsi. C'è Arianna (Margherita Buy), che non ha superato la morte della figlia adolescente. Emilia (Sara Serraiocco), ginnasta con una carriera da eterna seconda, rimasta paralizzata. Daniele (Gabriele Cristini), bambino diventato una star di YouTube per volere dei genitori, che pur di arricchirsi lo spingono a mangiare di tutto a favore di telecamera. E infine Napoleone (Valerio Mastandrea), life coach che aiuta tutti a dare il meglio di sé ma soffre di una depressione nerissima. Tutti hanno detto basta. Eppure, a loro insaputa, arriva una seconda possibilità: sette giorni per ripensare alla loro scelta e tornare quindi a un attimo prima di uccidersi.

Cast corale, composto da alcuni dei nostri interpreti più celebrati (non soltanto tra i protagonisti: come personaggi secondari ci sono attori di livello quali Giorgio Tirabassi, Elena Lietti, Lidia Vitale e Antonio Gerardi). "Perfetti sconosciuti" le cui vite si intrecciano. Una figura misteriosa e sovrannaturale a fare da ponte di contatto tra loro. Paolo Genovese mette in campo gli elementi che caratteristici delle sue storie e dei suoi maggiori successi, come Perfetti Sconosciuti, appunto, e The Place, ma questa volta il meccanismo si inceppa. L'autore si cimenta nel suo personale La vita è meravigliosa di Frank Capra, ma, nello scrivere la sceneggiatura a otto mani (con lui in scrittura ci sono Paolo Costella, Rolando Ravello e Isabella Aguilar), quella che poteva essere una riflessione sul dolore e su un tema delicatissimo come il suicidio diventa una serie di scene incollate a forza l'una con l'altra in cui i protagonisti più che farci provare ciò che li tormenta lo declamano, chiudendo completamente fuori lo spettatore.

Il primo giorno della mia vita: una scrittura non all'altezza

Spesso si dice che un grande attore potrebbe recitare anche l'elenco del telefono. Magari è così, ma non per 121 minuti: tanto dura Il primo giorno della mia vita. Ognuno dei quattro protagonisti ci racconta la sua storia, che cosa lo ha spinto a commettere quel gesto. Si va anche oltre: Arianna, Emilia, Daniele e Napoleone hanno la possibilità di vedere cosa succederebbe dopo la loro morte a parenti e amici, cosa si perderebbero, cosa cambierebbe e cosa invece rimarrebbe immutato. Nonostante però si parli di argomenti enormi quali l'essenza della vita, la depressione, il male che può celarsi in figure apparentemente insospettabili come i genitori di un bambino, tutto rimane in superficie, freddo e distaccato.

Paolo Genovese, Il primo giorno della mia vita: "Vi racconto il mio nuovo romanzo"

Il Primo Giorno Della Mia Vita Ph Maria Marin 6
Il primo giorno della mia vita: Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Margherita Buy, Gabriele Cistini in una foto

I protagonisti, per nulla aiutati da un testo che fa loro gridare sentimenti più che provarli, sono evidentemente in difficoltà a dover recitare tramite battute altisonanti quali: "Bisogna avere nostalgia della felicità, così viene voglia di cercarla". Oppure: "Sto male e non so perché". O anche: "Bisogna relativizzare: pensa quanto siamo sostituibili". Frasi che magari su carta potevano anche funzionare, ma al cinema sanno di artificiale, di sottolineatura non necessaria. Cercando di dire allo spettatore come deve sentirsi si finisce per perderlo completamente. La materia trattata avrebbe forse meritato un uso maggiore del silenzio, lasciando spazio a ciò che conta di più sullo schermo: l'immagine. Ecco perché la scena che rimane più impressa è quella delle luci: grazie a una trovata intelligente si fa capire un concetto complesso come la volubilità di un sentimento, la felicità, semplicemente accendendo e spegnendo delle luci. Peccato che tutto il resto non abbia la stessa efficacia.

Conclusioni

Come scritto nella recensione di Il primo giorno della mia vita, Paolo Genovese porta sullo schermo il suo omonimo romanzo, pubblicato nel 2018. In una Roma perennemente battuta dalla pioggia, quattro sconosciuti decidono di suicidarsi. Non sanno però che ad aspettarli c'è una specie di "traghettatore di anime", che ha la faccia di Toni Servillo, con la missione di convincerli a ripensarci. Hanno una settimana di tempo. Nonostante il cast formato da attori di spicco, la scrittura non aiuta gli interpreti, che sembrano declamare i propri sentimenti invece che provarli, finendo per creare una mancanza di empatia che allontana lo spettatore.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
3.7/5

Perché ci piace

  • Il visibile sforzo produttivo.

Cosa non va

  • Gli attori, anche quelli più celebrati, non sono convincenti, a causa di battute che risultano insincere la maggior parte delle volte.
  • La scrittura non riesce a creare empatia.
  • Il film diventa presto una serie di scene incollate a forza l'una dietro l'altra.