Recensione Das Boot: il ritorno del sottomarino

La recensione di Das Boot, miniserie in arrivo su Sky Atlantic, sequel del film U-Boot 96.

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Das Boot: Franz Dinda, Rick Okon, August Wittgenstein in una scena della serie

Das Boot è una miniserie tedesca di otto episodi, prodotta da Sky. È basata sull'omonimo romanzo di Lothar-Günther Buchheim ed è il seguito del film U-Boot 96. Sono passati nove mesi dalla distruzione del sottomarino U-96, e la storia si svolge nella Francia occupata dai nazisti, nell'autunno del 1942. Sono in corso le preparazioni del viaggio inaugurale dell'U-612, affidato al giovane comandante Klaus Hoffmann (Rick Okon). Mentre lui e il suo equipaggio affrontano i pericoli acquatici legati alla guerra, la situazione sulla terraferma è altrettanto movimentata a causa di un gruppo spionistico nel quale sono coinvolti anche gli americani. Questo avrà conseguenze di non poco conto per Simone Strasser (Vicky Krieps), arrivata dall'Alsazia a La Rochelle e costretta a scegliere tra il governo tedesco e la Resistenza francese.

Tanto tempo fa, in un mare lontano lontano...

Risale al 1981 l'uscita nelle sale di U-Boot 96, il lungometraggio che lanciò la carriera di Wolfgang Petersen e rimane ad oggi uno dei maggiori successi non americani a livello internazionale, con tanto di sei candidature all'Oscar, tra cui regia e sceneggiatura. Si tratta di un racconto epico e al contempo claustrofobico, disponibile in diverse versioni cinematografiche e/o televisive, con durate che vanno dai 149 minuti della prima uscita ai 300 del montaggio catodico trasmesso nel 1985. Non è un caso, quindi, che per rivisitare il materiale oggi sia stato scelto il piccolo schermo: il nuovo Das Boot, che nonostante il titolo (quello originale tedesco del film) non è un remake ma un sequel, prodotto da Sky. Una miniserie che mantiene il sapore epico del prototipo, con un'ambizione che si può anche definire cinematografica. Difatti, prima della messa in onda italiana (Sky Atlantic, dal 4 gennaio), i primi due episodi sono stati presentati fuori concorso al Torino Film Festival, dove il regista Andreas Prochaska (ex-montatore di Haneke) era membro della giuria ufficiale.

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Das Boot: Vicky Krieps in una scena della serie

Siamo, come già detto, in zona sequel, circa nove mesi dopo gli eventi del lungometraggio di Petersen. Siamo anche, per lo meno nei due episodi inaugurali, lontani dalle epiche battaglie subacquee del prototipo, poiché in questa prima fase c'è un maggiore equilibrio tra il mare e la terraferma. Al thriller bellico si affianca la spy story, con un doppio gioco che va gustato in versione originale: Simone Strasser, ingaggiata come interprete dalle forze occupanti naziste a La Rochelle, è originaria dell'Alsazia, territorio storicamente conteso tra Francia e Germania, ed è quindi vista come un'estranea da entrambe le nazioni. Il fatto che sia interpretata da Vicky Krieps, il cui background lussemburghese comporta la padronanza delle due lingue e un accento un po' "ibrido", dà alla componente linguistica una forza espressiva maggiore, indice della cura con cui gli autori hanno voluto affrontare il progetto in sede di scrittura e nelle scelte di cast. Quest'ultimo fornisce alla miniserie un respiro autenticamente internazionale, incluse alcune presenze americane di rilievo come Lizzy Caplan (Masters of Sex) e Vincent Kartheiser (Mad Men).

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Doppio percorso

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Das Boot: Leonard Scheicher in una scena della serie

La doppia linea, terrestre ed acquatica, riflette la duplice natura di alcuni dei protagonisti ma anche l'origine doppia del progetto (anzi, tripla, essendoci alla base anche due romanzi). Una linea ben costruita e congegnata, a dimostrazione dell'evoluzione sempre più notevole delle produzioni originali Sky nei vari paesi europei. L'unica, minore nota di demerito, dovuta a un paragone ingrato ma inevitabile per via del titolo, riguarda l'assenza, almeno nelle prime due ore, di quella magistrale claustrofobia confezionata ai tempi da Petersen. Ma si tratta, appunto, di un dettaglio minore nell'ambito di un'operazione mastodontica e imponente, dove una sceneggiatura di ferro e interpretazioni eccelse convivono con una ricostruzione storica e un apparato visivo da capogiro, una confezione pressoché perfetta che in parte sorprende, dato il percorso precedente altalenante di Prochaska come regista. Tutti elementi - scrittura, recitazione, scenografia, regia, fotografia, eccetera - che, uniti, rendono quasi insostenibile l'attesa settimanale per vedere il resto della storia, soprattutto nell'era del bingewatching.

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3.5/5