Recensione Baby, nuova serie Netflix: Le ragazze vogliono solo divertirsi. O no?

La recensione di Baby, serie Netflix ispirata al caso delle baby squillo dei Parioli: un teen drama sullo stile di Elite e Tredici, romantico e dark.

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Baby: una scena della serie

"Torno a casa alla luce del mattino, mia madre dice: quando metterai la testa a posto? Oh cara mamma noi non siamo quelli fortunati, e le ragazze, loro vogliono divertirsi". Non possiamo non iniziare la recensione di Baby su Netflix con le parole di Girl Just Want To Have Fun, che, nella versione dei Chromatics - ipnotica, rallentata, malinconica - chiude la prima puntata della seconda serie tv italiana prodotta dal colosso dello streaming, disponibile dal 30 novembre, in sei puntate.

Mentre scorrono sulle immagini di Baby, quelle parole acquistano tutto un altro sapore, un gusto amarognolo. E quel "le ragazze si vogliono divertire" è proprio la chiave per capire questa storia. Baby, presentata come una serie originale Netflix ispirata allo scandalo delle baby squillo dei Parioli, è in realtà un romanzo di formazione, un coming of age, un teen drama in linea con i nostri tempi.

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Chiara e Ludovica, le due ragazze al centro della trama

La trama di Baby su Netflix ruota intorno a due ragazze, Chiara (Benedetta Porcaroli) e Ludovica (Alice Pagani). La prima è bionda, acqua e sapone, è nella squadra di atletica ed è la figlia modello. La seconda è mora, più sofisticata, è solitaria ed è la pecora nera dell'istituto, quella presa di mira. Vengono da ambienti diversi, ma frequentano la stessa scuola, un immaginario liceo dei Parioli, il Carlo Collodi. Un nome che non è un caso. Collodi è il padre di Pinocchio, e Baby è una storia di bugie. Ognuno ha qualcosa da nascondere, e ognuno è in cerca di se stesso. Damiano (Riccardo Mandolini) è cresciuto al Quarticciolo, e, dopo la morte della madre si trova catapultato in un nuovo quartiere, dove il padre fa l'ambasciatore, e in una nuova scuola, dove è l'ultimo arrivato. Fabio (Brando Pacitto) è il figlio del preside, oppresso dal padre e mal voluto dagli altri ragazzi. Isabella Ferrari è Simonetta, la madre di Ludovica, eterna adolescente che si comporta come lei; Claudia Pandolfi è Monica, la matrigna di Damiano, insegnante di atletica che ha una vita sana e regolare, ma ci sorprenderà. I genitori di Chiara, Elsa e Arturo (Galatea Ranzi e Massimo Poggio) vivono da separati in casa, credendo di fare il bene della figlia, ma finendo per fare disastri.

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Viviamo in un acquario. Ma sogniamo il mare

Baby: il regista Andrea De Sica
Baby: il regista Andrea De Sica

È da qui che bisogna partire per capire Baby. E per spiegare come voglia provare a capire quelle ragazze che sono cadute in quel giro di prostituzione. Baby non racconta questo, ma quello che c'è prima, quello che c'è dietro. "Viviamo in un acquario. Ma sogniamo il mare. Per questo dobbiamo avere una vita segreta" ci racconta all'inizio la voce narrante di Chiara. Andrea De Sica e Anna Negri, il collettivo di scrittura Grams, coordinato da Isabella Aguilar e Giacomo Durzi, hanno preso i Parioli e ne hanno fatto un mondo emblematico di tutte le gabbie dorate, dei luoghi elitari con grandi speranze e troppe regole. Il vivere dentro un acquario, una bolla, ti fa venire voglia di saltare fuori. Il vivere su dei binari ti fa venire voglia di deragliare. I genitori non sono modelli affidabili, e allora si cerca al di fuori della famiglia, al di fuori della scuola. Trasgredire vuol dire avere una relazione segreta, vuol dire avere della droga da spacciare, vuol dire frequentare persone adulte.

Girls Just Want To Have Fun

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Baby: una scena con Alice Pagani

E la trasgressione è la notte, quel territorio oscuro e sfumato, quella Terra di Mezzo dove i mondi si mescolano, le distanze si accorciano, le identità mutano. La aspettavamo tutti, la notte, quando eravamo ragazzi, inutile negarlo. Ci sentivamo più vivi, più forti. "Per noi la vita è essere onnipotenti, divertirsi" dice una delle protagoniste di Baby mentre scorre Girls Just Want to Have Fun. Quel divertirsi non è qualcosa di fine a se stesso: è fuggire, uscire dagli schemi, liberarsi. E in quel territorio sfumato capita che il mondo degli adolescenti incontri quello degli adulti, e che non siano gli adulti giusti.

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Alice Pagani, da Loro di Sorrentino a Baby

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Baby: Isabella Ferrari e Alice Pagani in una scena della serie

La serie Netflix Baby è costruita sui contrasti. La droga e la casa della nonna, il ragazzo di borgata e il figlio del preside, la ragazza acqua e sapone e la maudit. Questo lavoro sui contrasti trova la sua espressione nelle ottime scelte di cast. Benedetta Porcaroli, Chiara, è bravissima nel ruolo della ragazza acqua e sapone che cela qualcosa, e nell'esprimere quanto possano essere stretti quegli abiti da brava ragazza. Alice Pagani, Ludovica, un colpo di fulmine già in Loro di Paolo Sorrentino, trova un nuovo modo di portare il caschetto di Louise Brooks e di Valentina di Crepax. È provocante in modo innocente. Il contrario di Chiara, che è innocente in modo provocante. Accanto a loro, è interessante Riccardo Mandolini, attore esordiente, un volto d'altri tempi che sarebbe piaciuto a Pasolini.

Sulla scia di Elite e Tredici

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Baby: un'immagine dal set della serie

Baby è una delle nuove serie tv più attese di questa stagione, un prodotto ben posizionato, e quindi ben costruito, che segue la scia di prodotti ben precisi, come Elite e Tredici, non a caso due prodotti Netflix. Il teen drama oggi è patinato, seducente, sentimentale, amaro e dark. Forse troppo, nel caso di Baby. Il problema della serie è forse quello di essere troppo oscura, sempre oscura. Tutti sono continuamente oppressi, agitati, infelici. E qualche ingenuità, nei dialoghi, non aiuta.

I sedici anni sono sì un momento di passaggio, ma anche di passione ed entusiasmo. In Baby invece tutto sembra andare verso una sola direzione. Quello che ci piace è il modo in cui racconta le abitudini di oggi, un'era in cui tutti sono costantemente attaccati al cellulare, adulti più che ragazzi. È interessante per come fa dialogare i due schermi, quello dello smartphone e quello del racconto filmato. A volte ci sono piccole icone che ci compaiono davanti mentre assistiamo alla storia. A volte è la schermata di un social che copre completamente la scena che stiamo vivendo. È come se il social si sovrapponesse alla vita, come se l'immagine pubblica coprisse il nostro io.

Movieplayer.it

3.5/5