Avatar - La Leggenda di Aang, la recensione: una trasposizione energica ma sbilanciata

La recensione di Avatar - La leggenda di Aang, trasposizione Netflix dell'omonima serie animata di culto che tenta un approccio episodi live-action rispetto al disastroso adattamento cinematografico di M. Night Shyamalan, convincendo però solo a metà.

Avatar - La Leggenda di Aang, la recensione: una trasposizione energica ma sbilanciata

Adattare l'amatissima Avatar - La Leggenda di Aang è un rischio già testimoniato. La disastrosa trasposizione di M. Night Shyamalan avrebbe dovuto rappresentare la rivincita dopo la pessima ricezione di E venne il giorno, e invece confermò prima di tutto la scelta sbagliata del medium per raccontare fedelmente una storia come quella di Aang. In quel caso il problema principale si dimostrò essere la costrizione narrativa degli eventi, che riduceva al minimo l'interazione emotiva tra i personaggi, dissacrandone la caratterizzazione e riducendo il worldbuilding e il racconto di formazione di Aang alla parte più superficiale di un blockbuster fallito.

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Avatar - La Leggenda di Aang: un'immagine del protagonista

Non è una caso che Shyamalan se ne stia ora ben distante da adattamenti di questo tipo, sfida che al contrario piace tantissimo a Netflix, che desiderosa di regalare ai fan dello show originale "la trasposizione meritata" di Avatar - La Leggenda di Aang, si è imbarcata in questo viaggio produttivo che - in quattro anni - ha perso molti pezzi lungo il percorso (compresi i creatori della serie animata), arrivando finalmente in piattaforma con un'energia e un'attrattiva decisamente superiori alla vecchia visione shyamalaniana, eppure, nonostante tutto, ancora un po' sbilanciata nelle sue varie componenti, il che è persino paradossale per una serie che parla proprio di equilibrio tra gli elementi.

Avatar - La Leggenda di Aang: l'adattamento narrativo

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Avatar - La Leggenda di Aang: una foto di scena

Per chi non conoscesse la serie animata Nickelodeon ideata da Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko, Avatar - La Leggenda di Aang è andata in onda per tre stagioni dal 2005 al 2008, poi trasposta al cinema e in live-action nel film sopramenzionato. Ha successivamente ricevuto una serie animata sequel intitolata La Leggenda di Korra, sviluppata dallo stesso team creativo, poi otto anni di vuoto fino all'annuncio di questa nuova serie live-action targata Netflix. La storia, inutile dirlo, è pedissequa all'opera originale, questa volta con una scala traspositiva praticamente episodio-per-episodio, che grazie al maggior minutaggio riesce però a sintetizzare l'intera prima stagione animata in otto ricchissime puntate da 50 minuti. Fa tesoro del mezzo seriale e adatta il racconto con estrema fedeltà, lavorando sovente di penna e montaggio per risistemare l'ordine narrativo precedente. In realtà lo showrunner Albert Kim tenta un approccio più semplicistico e diretto rispetto al prodotto animato, facilitando l'evoluzione della storia per neofiti e non-appassionati. Di base, comunque, ogni episodio ne racchiude all'incirca due del cartone animato, rispettando di base l'ordine già prestabilito un decennio fa ma apportando delle modifiche essenziali alla traslazione live-action, anche per creare uno show che persino agli amanti della serie animata possa in effetti offrire qualcosa di diverso.

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Avatar - La Leggenda di Aang: un'immagine della serie

E il punto è proprio questo: la difficoltà di bilanciare in modo adeguato una richiesta attinenza al materiale storico primario e la volontà di creare qualcosa di nuovo, non mero orpello traspositivo di quanto già visto. Crediamo anzi - col senno di poi - sia proprio questo il motivo dell'addio di DiMartino e Konietzko: l'impossibilità di creare una trasposizione fedele ma differente, dal gusto nuovo proprio come lo era stata in qualche modo Korra, che infatti nel titolo non aveva nemmeno Avat ad accompagnarla. Curiosamente, il problema narrativo di Avatar è questa sua attinenza spasmodica e spaventata al materiale animato, che rende certamente giustizia ai legami tra i protagonisti e al worldbuiling, ma che a conti fatti è quasi inutile, a volte persino stancante, perché al terzo tentativo, rivedere ancora una volta le stesse identiche dinamiche con attori diversi, non è più sufficiente. Ma fortunatamente, sono proprio i nuovi attori a fare la differenza; loro, il comparto tecnico e l'azione.

Avatar - La leggenda di Aang, una featurette mostra il dietro le quinte della serie

Gli elementi di un buono spettacolo

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Avatar - La Leggenda di Aang: Aang in una scena

La chimica su schermo tra Gordon Cormier (Aang), Kiawentiio (Katara) e Ian Ousley (Sokka) è da subito evidente, dal primo episodio di Avatar - La Leggenda di Aang. Il casting è centrato e le loro interpretazioni vicine tra fisico ed espressività a quelle animate, specie la performance di Cormier, un Aang capace di masterizzare dramma e commedia, maturità e infantilismo proprio come l'Avatar che rappresenta e che deve ancora diventare. In questo senso, la sua crescita emotiva e umana è direttamente rimessa in chiave diegetica all'evoluzione del racconto, e con lui anche le trasformazioni dei compagni di viaggio. Il mezzo seriale è soprattutto utile a riproporre le tappe di questi mutamenti e prese di coscienza, impossibili da restituire sul grande schermo con la stessa efficacia. A convincere e a volte (molte, in realtà) a stupire ci pensa poi il comparto tecnico, tra scenografie, costumi, effetti speciali e regia, tutto atto a valorizzare e nobilitare la trasposizione al netto di un'inventiva pari a zero, perché è tutto già visto e semplicemente ripreso e trasposto.

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Avatar - La Leggenda di Aang: un'immagine

Il colpo d'occhio fa però immergere lo spettatore nel mondo ferito e diviso di Avatar, in un difficile viaggio votato alla crescita e all'unione lungo il quale affrontare tante minacce diverse, in primis quelle del Fuoco rappresentate dal Lord Ozai (un convincente Daniel Dae Kim) e dal Principe Zuko (Dallas Liu), le cui storyliline subiscono forse le modifiche strutturali più significative (lo capirete vedendo). Da menzionare è poi l'esaltante rendering dei combattimenti tra i vari Dominatori, da cui emerge una sensibile ricerca della coreografia più credibile ed efficace per dare spessore marziale ed elegante alle differenti arti mostrate - sempre nel pieno rispetto della serie animata. La regia si rivela dinamica e attenta alla narrazione nell'azione (seppure non strabiliante), confezionando alcuni scontri dal forte impatto visivo e di genere, anche se forse mai realmente straordinari ed epici come quelli visti nel prodotto originale. Ci viene in mente proprio in chiusura una frase di Aang: "Il dominio è solo energia ed equilibrio. Quando senti l'energia intorno, trovi l'equilibrio. Quando trovi l'equilibrio, senti l'energia".

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Avatar - La Leggenda di Aang: una scena della serie

Una citazione perfetta per descrivere al contempo ciò che è e ciò che manca ad Avatar - La Leggenda di Aang, un prodotto in grado di percepire e restituire l'energia dello show animato senza essere però capace di padroneggiarla con lo stesso equilibrio, vuoi per un chiaro timore reverenziale, vuoi perché "già vista", vuoi per una fanbase già delusa in passato. E il risultato, in contesto, va giudicato al netto di ben due termini di paragone differenti e delle reali intenzioni del prodotto, che a nostro avviso è soprattutto rivolto ai neofiti e ai curiosi, a chi ha sempre desiderato recuperare Avatar senza mai riuscirci (magari anche solo per disaffezione per l'animazione), e molto meno ai fan di lunga data, che in un modo o nell'altro ci saranno sempre, pro o contro che sia. E al netto di tutto questo, la serie potrebbe piacere persino più del dovuto. A noi, per chiudere, è piaciuta solo abbastanza.

Conclusioni

Se di equilibrio tra gli elementi di deve parlare, in termini prettamente narrativi e seriali Avatar - La Leggenda di Aang si limita a riproporre in modo pedissequo quanto già visto nella serie, limando e riadattando alcune sequenze per esigenze di format. Teme il confronto e fa di tutto per evitarlo, attenendosi al materiale animato e confortata al contempo dal disastro cimematografico di Shyamalan, ma non fa nulla per mostrare qualcosa di nuovi, appetibili, diverso. Impossibile raggiungere lo status cult come l'opera originale e altrettanto impossibile imporsi sul cuore dei fan con la stessa identica forza. Per questo punta ai neofiti, alle nuove leve, e lo fa con uno spettacolo visivo convincente e con un trio di protagonisti più che efficace e di grande chimica. Basterà come formula per il successo?

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • L'azione e i combattimenti, ben realizzati soprattutto a fronte dei vari domini.
  • Gordon Cormier restituisce ogni singola lettura emotiva e fisica del Aang animato, padroneggiando il personaggio in live-action.
  • Comparto tecnico più che valido.

Cosa non va

  • La fedeltà narrativa (che è un bene) che nasconde una paura atavica per il paragone (che è un male), mancando di grinta inventiva.
  • Sempre parlando di poco equilibrio, a volte la narrazione risente della stessa mancanza di ritmo del prodotto animato, specie nel corpo centrale.