Anche io, la recensione: l'arma letale della parola

La recensione di Anche Io, film di Maria Schrader sulle indagini giornalistiche che hanno portato alla nascita del movimento #metoo.

Anche io, la recensione: l'arma letale della parola

Cos'è una parola? Una parola crea mondi prima inesistenti; è un ponte che unisce distanze insormontabili; è una carezza là dove la mano non arriva e uno schiaffo dove il palmo non colpisce. La parola definisce pensieri, oggetti, sentimenti. È una formula magica che rende visibile l'invisibile, e tangibile l'inafferrabile. La parola può essere anche un'arma, un attacco in pieno petto, o una forma di violenza se sottratta, privata, rinchiusa in quella torre d'avorio costruita di potenza, autorità e paura.

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Anche io - She Said: una scena del film

Come sottolineeremo in questa recensione di Anche io (in originale She Said) il film di Maria Schrader (autrice di un'altra opera fondamentale per la figura della donna come Unorthodox) non è Tutti gli uomini del presidente e non ha nemmeno la presunzione di esserlo; le mani che battono adesso sui tasti di un computer sempre acceso, sono arti di corpi femminili non più da ammirare, desiderare, scrutare o ricattare. Sono megafoni per voci spezzate, bocche tappate, pensieri censurati solo perché generati da donne, ossia da corpi da guardare e non da bocche da ascoltare. Ma farsi massime rappresentanti di voci messe all'angolo da mani potenti, significa porsi alla mercè di quello stesso potere abusante, minaccioso, insofferente al dialogo e prono alla violenza che è stato il mondo di Harvey Weinstein. Un universo quasi intoccabile e indistruttibile, costruito da varie forme di abuso e violenza, ma poi deflagrato dalla potenza di un elemento così piccolo, come quello della parola.

Anche Io: la trama

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Anche io - She Said: una scena del film

5 ottobre del 2017: il New York Times pubblica l'inchiesta di Jodi Kantor e Megan Twohey sui crimini sessuali a opera del produttore cinematografico Harvey Weinstein. Per tre decenni il fondatore della Miramax ha abusato di attrici e assistenti, decidendo dei loro destini come un volgare aguzzino. Disposte ad andare alla fine del mondo per una testimonianza, le due giornaliste ricostruiscono la strategia impiegata da Weinstein per coprire i suoi abusi: ridurre le sue vittime al silenzio a colpi di grossi assegni e inestricabili accordi di riservatezza.

Recidere il filo del non detto

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Anche io - She Said: una scena del film

Non è un film prevedibile, ingenuo, o leggero Anche io. È un film potente, che sprigiona la sua forza già partendo dalla semplicità di un titolo composto da un soggetto e un predicato. "Ha detto", "she said": è questa la formula magica che scatena nel film della Schrader la potenza di un incantesimo reiterato e pronto a mostrare la realtà dei fatti attraverso testimonianza riprese, ma mai manipolate. "Lei ha detto", ma soprattutto "lei non ha detto", perché nel mondo di Weinstein tanto è stato celato, e poco dichiarato. Ci vorranno mani che scrivono, e orecchie che finalmente ascoltano come quelle di Jodi Kantor e Megan Twohey che tutto cambi. Le due reporter si fanno Moire contemporanee pronte a recidere il filo che tiene vivo l'impero di Weinstein, strappando ricordi, e sprazzi di verità occultate da parte di donne che non hanno detto, ammesso, affermato solo perché bruciate dal fuoco degli abusi e dal peso delle minacce.

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Megafono cinematografico per bocche tappate

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Anche io - She Said: un momento del film

Quella giostrata con cura e attenzione da Maria Schrader è una galleria di momenti presi in prestito dalla Storia, (quella con la S maiuscola) e restituiti con altrettanta onestà di racconto, perché scevri di abbellimenti o virtuosismi narrativi. Nulla è lasciato al caso in Anche io; ogni scelta si fa correlativo emotivo e semantico di non detti e verità pronte a tornare a galla. "Fa molto male gridare mentre nessuno ascolta" e le vittime di un sistema maschilista, egocentrico e narcisista dove molti sanno, toccano, e omettono, sono come pesci sottratti dalle acque immense del proprio oceano, per nuotare sacrificati nello spazio esiguo di un acquario. Ma grazie al lavoro delle due protagoniste queste parole possono essere adesso ascoltate, riprese, usate come martelli pronti a rompere quegli acquari colmi di omertà e minacce. Perchè Anche io non è solo un film biografico, ma un'opera di caratura sociale: è un film fatto di racconti senza essere mai verboso; una denuncia che sconfina i limiti del genere per farsi microfono cinematografico pronto a ridare voce a chi ha sentito il peso di una mano sulla bocca per troppo tempo.

Sguardi dal sapore di documentario

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Anche io - She Said: un frame del film

Quella di Maria Schrader è una regia che si sveste di indiscrezione, o soggettività: è una sguardo obiettivo, onesto, che si limita a seguire il percorso delle proprie protagoniste, canalizzando l'attenzione verso mondi interiori ignorati, o dimenticati. Le sue inquadrature si fanno filtri, canali di informazioni e testimonianze colte come istantanee su una realtà umana impressa con fare quasi documentaristico. Incapace di interferire tra gli inframezzi di un'operazione compiuta con coraggio da Jodi Kantor e Megan Twohey, la macchina da presa fa di Carey Mulligan, Zoe Kazan, Jennifer Ehle e Samantha Morton non più delle semplici attrici, ma donne, proiezioni cinematografiche di corpi e anime pestate da continui giochi di potere. Non più donne riprese dall'alto, schiacciate dal senso di minaccia esercitato da un produttore che in cambio di successo, pretendeva di toccare e ingurgitare corpi e identità altrui per soddisfare i propri appetiti, le protagoniste di Anche io sono donne perfettamente inquadrate in linea con lo sguardo della regista e, per esteso, dei propri spettatori. Nessun segno di disequilibrio sociale, o di genere, dunque: con la forza della parola e di una verità finalmente riportata alla luce, le vittime vengono poste sullo stesso piano del proprio carnefice. Un'uguaglianza di sguardi che restituisce un'umanità a chi prima ne era stata privata; un'operazione, questa, compiuta dalla Schrader con estremo rispetto nei confronti dei propri protagonisti, svestendo la narrazione di emozioni esacerbate, o retorici sentimentalismi.

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Esorcizzare l'ombra del ricordo

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Anche io - She Said: una sequenza del film

Per un'opera dedicata alla messa in luce di casi insabbiati, voci bloccate e universi popolati da fantasmi alimentati dalle paure del passato, tutto in Anche io deve essere facilmente leggibile. Lo sguardo neutro, sospeso della regista si fa allora scrittura facilmente comprensibile e accessibile a un numero quanto più ampio ed eterogeneo di spettatori. Lasciando che la portata degli eventi si mostri da sola, senza interferenze, la regista fa un passo indietro, puntando su una visione quanto più documentaristica dell'opera, ma non per questo meno impattante dal punto di vista emotivo, reduplicando quanto compiuto dalle sue reporter. Senza forzature, lascia che le testimonianze facciano capolino, e il dolore venga finalmente esternato, esorcizzato, vendicato.

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Anche io - She Said: una scena tratta dal film

Anche Io non ha nulla di invidiare a The Post, a Zodiac, o a Il caso Spotlight. Ogni raccordo, ogni movimento di camera, vive e si alimenta dei retaggi dei più tradizionali thriller giornalistici, storie in cui la suspense non si ricava dalle azioni, ma dalla profondità del racconto, del dolore delle confessioni, della dinamicità di mani che battono e penne che scrivono. Un universo in cui se le parole mancano, il dolore distrugge, mentre il ricordo tenta di ritornare a galla e investire tutto, bagnando visi pieni di lacrime, e distruggendo case di carta rimaste per troppo tempo a dominare il mondo, oscurando con la propria ombra la verità.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Anche Io sottolineando come il film di Maria Schrader si sveste di ogni fonte di sentimentalismo e retorica per affondare le proprie fasi di indagine giornalistica su un'oggettività di sguardo figlia di un impianto prettamente documentaristico. Forte di performance attoriali dalla grande portata empatica, tutto si veste di onestà colpendo il proprio spettatore e riportando alla luce verità prima omesse dal potente Harvey Weinstein.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.6/5

Perché ci piace

  • L'obiettività di sguardo di Maria Schrader.
  • L'impianto simil-documentaristico dal punto di vista registico.
  • Le performance delle attrici protagoniste.

Cosa non va

  • Un incipit forse un po' troppo debole e poco incisivo.