After Life 3, la recensione: la fine è solo l'inizio

La recensione di After Life 3: il terzo e ultimo capitolo della serie ideata, diretta e interpretata da Ricky Gervais è ora disponibile su Netflix.

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After Life: Ricky Gervais in una scena corale

La mente è un labirinto intricato di pensieri aggrovigliati, imprigionati lungo stradine senza uscita; sono ricordi che non riescono a trovare una diramazione, insidiandosi nella profondità più buia della memoria per diventare della stessa sostanza di cui è fatta la nostra materia cerebrale. 
Un incrocio trafficato, una rotonda senza precedenze, in cui i rimpianti sbattono in un frontale accidentale contro il nostro presente, intaccandolo con un'impronta che solo tanta forza di volontà e coraggio può rimarginare e ricostruire. 
Nulla sembra essere cambiato nella vita di Tony (Ricky Gervais) quando in realtà, come sottolineeremo nella nostra recensione di After Life 3, tutto è diverso.



Storia di eterni ribelli e malinconici adulti

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After Life: Ricky Gervais e Kerry Godliman in una scena

Soffia una strana energia sul piccolo mondo di Tambury. Un brivido di positività prende per mano l'alito di sarcasmo che aleggia attorno a Tony e lo lancia con occhi diversi verso il futuro. Misantropo, cupo, proprio come nelle stagioni precedenti, il viaggio del protagonista in questi nuovi sei episodi è adesso insidiato da lampi di luce che illuminano un cammino più dritto e meno ondulato, raddrizzando uno sguardo prima inebriato solo dall'alcool. Il ricordo della moglie Lisa è una costante in un mondo di variabili, ma adesso vige una sorta di accettazione, una maturità agognata e raggiunta che perora il protagonista a vivere in compagnia della propria memoria, senza lasciarsi sopraffare o vivere per essa. Ribellione; anarchia; accettazione. Le tre stagioni di After Life si fanno proiezioni televisive di quelle tre fasi dell'esistenza che ci modellano, creano, fino a portare a compimento la nostra formazione personale: infanzia, adolescenza e maturità. 
Il capitolo conclusivo di After Life - ora disponibile su Netflix - è un cammino lungo la vita di chi rimane, e di chi sopravvive nel ricordo, che Ricky Gervais ripropone con attenta lucidità, solito cinismo e un tocco di commozione. Già, perché a differenza delle due stagioni precedenti, quest'ultima non ha paura di spingere sull'acceleratore delle emozioni, senza per questo superare i limiti, e accendere gli autovelox della retorica.

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Non avere nulla di speciale ed essere unici

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After Life: Ricky Gervais e Penelope Wilton in una scena

C'è qualcosa di profondamente vero, reale, che rende unica questa serie, tessera di un puzzle più grande preso momentaneamente in prestito dal piccolo schermo e riproposto in versione metonimica in formato televisivo. Una parte di un tutto che nel suo estratto mostra l'aleatorietà della vita, come se lo spettatore avesse la possibilità di sbirciare nella quotidianità di pochi personaggi, così ordinari eppure così speciali, per trovare narrata sul piccolo schermo una parte di se stesso. Alla fine Toby, Kath, Emma, Lenny e la vedova Anne, non hanno avuto e ancora non possiedono nulla di speciale. Sono imperfetti, e per questo perfettamente caratterizzati fino a diventare (grazie anche alle straordinarie capacità attoriali dei propri interpreti) reali, tangibili, umani.

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Una giostra che ricomincia da capo

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After Life 2: un'immagine della seconda stagione

La struttura di After Life 3 riprende e ripete il medesimo schema delle precedenti, ma è in questa reiterazione che si ritrova la magia. Come avevamo sottolineato nella recensione della seconda stagione, guardare ogni episodio di questa serie ideata e diretta da Gervais è come (ri)vivere parti di un'esistenza dominata dalla noia e dalla routine, eppure dietro a questa apparente ordinarietà si nasconde la bellezza di qualcosa di speciale, di un qualcosa di unico che non tornerà più. È la metafora della vita, quella vera, quella a cui siamo tutti chiamati di (sopra)vivere. "Mio padre diceva che la vita è come un giro di giostra: eccitante spaventosa veloce" afferma a un certo punto Tony. "E il giro è soltanto uno. Ti diverti finché poi non ce la fai più". E in questa giostra lanciata a mille il cambiamento fa paura, tanto nel contesto finzionale quanto quello posto al di fuori dallo schermo. E allora tanto vale vivere aggrappandosi alla sicurezza di una routine costante, senza fuoriuscire dai confini della propria comfort zone. E invece è proprio nei più infimi eventi, come quelli narrati dalla Tambury Gazzette, che si ritrovano sprazzi di un coraggio che porterà al cambiamento finale, una mutazione compiuta a piccole dosi, ma destinata a mostrare il vero lato di se stessi.

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After Life: Ricky Gervais in una scena

Discorso simile può applicarsi a una struttura narrativa che, solo in apparenza orfana di sorprendenti plot-twist, preferisce limitarsi alla ripetizione di uno schematismo di successo come quello seguito nelle due stagioni precedenti, per rincuorare gli spettatori, rassicurandoli che nulla è cambiato, quando invece in fondo è cambiato tutto. Perfino i riferimenti al Covid sono pochi e centellinati, accennati ma mai inseriti nel comparto narrativo, relegandoli a semplici, brevi, comparse, senza diventare mai protagonisti. Sono piccole virgole in discorsi ben congegnati che non intendono lasciar spazio a eventi esterni che possano disturbare la visione. Sono sguardi veloci al nostro mondo, prima di ritornare a quello diegetico di Tambury. Ma sono proprio questi piccoli accenni alle nostre complicazioni quotidiane che rendono questa galleria eterogenea di personaggi unici e divergenti ancora più vicina e simile a noi.

Registrare ad altezza di umano

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After Life 2: una scena della sere Netflix

Quella proposta da After Life 3 è una fermezza degli eventi, un'immobilità solo apparente che si ritrova anche nelle modalità di una ripresa affidata fedelmente a inquadrature fisse, scevre di ampi movimenti di macchina, o montaggi dinamici. Tutto si presta allo sguardo dell'uomo, lo emula, lo ricrea, affidando alla lente della cinepresa l'unicità dell'occhio umano, la sua registrazione della realtà, la visione attenta e ferma sulle cose che lo circondano. Ricky Gervais pone attenzione a ogni dettaglio, ma soprattutto alla componente umana della sua opera, senza lasciarsi sfuggire ogni mutamento umorale tradotto ora visivamente da sguardi bassi, da sorrisi sforzati e tratteggiati da insofferenza celata, da occhi vispi e allegri, pieni di speranza, oppure bagnati da lacrime pronte a sgorgare. Un discorso visivo diretto, privo di ostacoli che impediscano agli occhi di scrutare, indagare il microcosmo di After Life, sostenuto da una fotografia accesa, ma mai totalmente brillante, perché velata da un manto di sfumature fredde (tendenti all'ardesia), concepito richiamo cromatico di quello spleen malinconico che vive e riveste l'aura di Tony.

Rispecchiare la vita oltre la vita

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After Life 2: una scena della seconda stagione

Con After Life 3 Ricky Gervais si appropria della natura riflettente dello schermo televisivo per fare della propria opera uno specchio sulla nostra natura incompleta, incompresa e a volte solitaria. Una superficie mai del tutto pulita, sporca di ditate, imperfetta, esattamente come le nostre esistenze. Uno specchio magico, che vive, respira al ritmo di un cuore che ritorna a battere forte anche in un misantropo come Tony. Nessun lieto fine alla fine della fiaba, solo un dialogo costante con i propri demoni, un susseguirsi di dialoghi dove ogni parola trova il proprio posto, colpendo all'anima e insidiandosi nella memoria. Quella memoria labirintica, dentro la quale After Life rimarrà imprigionata divenendo parte integrante del nostro bagaglio di visione, colonna portante della natura scopica di spettatori ora soddisfatti, un'ancora intangibile ma non per questo poco catartica fatta di codici binari e pixel. Vivere l'ultimo episodio di After Life è un'elaborazione del lutto e della perdita, una camminata verso l'infinito, verso il resto di un'esistenza sempre uguale, eppure sempre diversa, imprevedibile, nuova. Una vita oltre la vita.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione della terza e ultima stagione di After Life sottolineando quanto Ricky Gervais abbia saputo ideare e compiere il perfetto costrutto televisivo senza mai scadere nella retorica o nel facile sentimentalismo. Fedele a se stesso, il suo Tony riesce a maturare senza mai tradirsi. Come direbbe Sorrentino, "non si è disunito" e questo ci piace.

Movieplayer.it
4.5/5

Perché ci piace

  • La commistione di humor e dramma.
  • Le perle di saggezza di Anne.
  • La capacità con cui ogni elemento filmico si rafforzi a vicenda.
  • La galleria di personaggi imperfetti e per questo straordinari.
  • Il genio di Ricky Gervais.

Cosa non va

  • Che finisce.