Recensione Il mercante di stoffe (2009)

Diretto da Antonio Baiocco e interpretato da Sebastiano Somma, Il Mercante di stoffe non offre spunti narrativi memorabili o scelte registiche degne di nota, aggrappandosi debolmente a una sceneggiatura dalla struttura inconsistente e frettolosa

Memorie d'Oriente

La ricerca di un antico medaglione seppellito nelle sabbie del Marocco riporta in superficie ricordi e dolori di un passato remoto. Così i cercatori Marco e Luisa intrecciano le loro storie personali con quelle di Alessandro, ricco mercante di stoffe torturato dai fantasmi di una passione giovanile e dall'immagine indelebile di Najiba, oggetto d'amore e vittima delle leggi sociali di una comunità patriarcale. Arrivato nel sud del paese durante la fine degli anni Trenta alla ricerca delle stoffe più pregiate, il mercante s'imbatte in una seteria in decadimento e nell'incontro più sconvolgente della sua vita. Riattivata la produzione con l'aiuto dell'intera comunità araba, lo straniero si trasforma ben presto in benefattore ma il rispetto e il favore degli uomini non possono nulla di fronte alla forza dirompente di un amore imprevisto. Nascosti tra le ombre del villaggio, Alessandro e Najiba cercano di resistere al sentimento che li unisce fino a quando una tempesta di sabbia non li sorprende soli e indifesi. In questo modo i due vivono una sola lunga notte d'amore in cui la ragazza condanna se stessa ma regala all'uomo il ricordo di un amore epico.

La cinematografia italiana è costellata da numerosi percorsi interrotti. Si tratta di pellicole che, pur se regolarmente sovvenzionate o realizzate, sono andate incontro a un oblio senza fine tra gli scaffali di un magazzino. Una sorte che avrebbe atteso anche Il mercante di stoffe se l'onestà professionale di attori e realizzatori non avesse cambiato il percorso degli eventi. Un merito morale cui, purtroppo, non fa seguito un valore artistico. Diretto da Antonio Baiocco e interpretato da Sebastiano Somma, il film non offre spunti narrativi memorabili o scelte registiche degne di nota, aggrappandosi debolmente a una sceneggiatura dalla struttura inconsistente e frettolosa. Ambientato verso la fine degli anni Trenta e l'inizio dei Quaranta, il film si nutre di un romanticismo vecchio stampo che, lungi dall'essere ben rappresentato e approfondito, rivive attraverso cliché decisamente fuori moda. Una situazione aggravata da un'evoluzione superficialmente veloce degli eventi e dall'altrettanta immediata risoluzione del momento drammaturgico.
Dalla nascita dei sentimenti alla descrizione ambientale fino al precipitare delle situazioni, ogni singolo elemento è narrato e fotografato in modo statico senza avventurarsi mai nel background dei protagonisti e del paesaggio tanto da creare empatia o tensione emotiva. Probabilmente vittima di continue sospensioni e riprese, la pellicola ha un andamento incostante che, per difetto, cede a una generale superficialità. I pochi mezzi a disposizione e il tempo altalenante non possono essere, però, un alibi valido per una sceneggiatura che non tiene minimamente conto delle regole basilari del genere. Più della fotografia o della regia, in questo caso viene chiamata in causa una scrittura che volontariamente evita di porre accenti ed intensificare le sfumature, non offrendo all'intera materia un andamento armonioso e cinematograficamente valido. Pur volendo evitare qualsiasi approfondimento sul mondo arabo e sulla condizione delle donne, non è possibile dimenticare il contesto perché un racconto d'amore tra occidente e oriente non può nascere e consumarsi in modo totalmente avulso dal territorio d'appartenenza, pena non l'universalità ma l'inconsistenza dell'insieme.

Movieplayer.it

2.0/5