Recensione Con gli occhi dell'assassino (2010)

A sei anni da El habitante, Guillem Morales torna al cinema con un thriller dal retrogusto horror in stile ispanico interpretato da Belen Rueda e prodotto da Guillermo Del Toro.

La minaccia dell'oscurità

Una pausa, un'assenza e un vuoto; questo è l'uomo invisibile. Nessuno si accorge di lui, il suo volto ha l'inconsistenza di una fotografia sfocata ma porta con sé tutta la minacciosa oppressione del buio. All'indomani del misterioso suicidio di Sara, la sorella gemella diventata cieca a causa di una malattia degenerativa, Julia inizia a convivere con la consapevolezza di questa presenza costante e indefinita che sembra aver avuto un ruolo da protagonista nell'intera vicenda. Nell'oscurità di una tetra abitazione segnata dal marchio indelebile dell'assassinio e nelle ombre sempre più frequenti che appannano la sua vista, la donna intravede i contorni di uno sconosciuto capace di attendere nell'oscurità alimentata dal terrore. Così, mentre tutto intorno a lei sembra parlare di morte e tradimento, si lancia all'inseguimento di un nemico fatto della stessa materia dei fantasmi. A rallentare la sua corsa solo la morte del marito Isaac, vittima involontaria di una progettualità sanguinaria, e il peso di una malattia sempre più dichiarata. Eppure, proprio quando anche per lei cala il buio e la convalescenza di un trapianto la rende vulnerabile ed esposta, Julia si trasforma in una vendicatrice pronta a giocare il tutto per tutto pur di sopravvivere a un'ombra fattasi uomo.


A sei anni da El Habitante, con il quale si è presentato al pubblico spagnolo ed ha guadagnato una nomination ai Goya, Guillem Morales torna al cinema con un thriller dal retrogusto horror in stile ispanico. Protetto dalla rassicurante presenza produttiva di Guillermo Del Toro, ben noto per il suo gusto cinematografico a metà strada tra l'immaginario favolistico e i misteri dell'occulto, la pellicola ha sbancato i box office iberici con un intreccio dall'evidente prevedibilità rafforzato e sostenuto da una messinscena solo in parte risolutiva. Già utilizzato dal regista Terence Young per il thriller d'annata Gli occhi della notte (1967), il tema della cecità viene nuovamente applicato come escamotage narrativo per progettare la costruzione di una suspence che, almeno in questo caso, è tradita da una vicenda inadatta a costruire aspettazione e generare timore. Una mancanza colmata, almeno in parte, da una scelta visiva che abbandona i grandi effetti per manipolare con semplicità l'elemento luce e la sua assenza. Calata in un set tendenzialmente ombreggiato e meticolosamente e dettagliatamente dettagliato, Belen Rueda si aggira tra le oscurità degli interni e il grigiore degli esterni nel tentativo di dare un volto a una minaccia dai contorni così indefiniti da mischiarsi con l'insieme.

Un confronto che l'attrice, già protagonista di The Orphanage, affronta in modo diretto solo privata della sua capacità visiva e immersa in uno spazio diventato improvvisamente sconosciuto e indefinito. Allo stesso modo il pubblico è condotto in uno stato di destabilizzazione innaturale quanto efficace. Nonostante l'immagine rimanga illuminata, la visuale dello spettatore perde definizione mantenendo fuori campo volti e identità. Così, l'aggirarsi in un perimetro ben definito di un personaggio non chiaramente riconoscibile prepara l'elemento ambientale a una tensione che l'aspetto narrativo disattende senza alcun cedimento.
Bel lontano dal poter essere definito horror, il film di Morales pecca d'ingenuità nella costruzione dei personaggi come nella loro collocazione. Avventuratosi anche nella scrittura della sceneggiatura, il regista colleziona una precisa e puntuale scaletta di avvenimenti un po' troppo velocemente deducibili. Nonostante la grande efficacia della messa in scena, il pubblico, pure intrattenuto, si trova a precedere la storia di troppi passi per poter essere emotivamente sorpreso dal plot.

Movieplayer.it

3.0/5