Recensione Come l'acqua per gli elefanti (2011)

A quasi sessant'anni dalla prima visione de 'Il più grande spettacolo del mondo', Francis Lawrence cerca di ricreare la magia di un mondo artistico costruito sul sudore e il sacrificio umano senza nemmeno sfiorare la possibilità di un confronto con il suo predecessore più illustre.

Il circo è in città

Sarà anche il più grande spettacolo del mondo, ma il circo vive nel rispetto di leggi dure e irremovibili a cui si piegano in ugual misura uomini e animali. A scoprire la cruda verità nascosta all'ombra del tendone è il giovane Jacob Jankowski che, dopo aver visto svanire la confortevole tranquillità della sua famiglia ed aver rinunciato ad una laurea in veterinaria, diventa parte di questo microcosmo impietoso dove non è prevista alcuna comprensione per le quotidiane debolezze. Così, saltato su un treno in corsa, il ragazzo entra nel regno incontrastato del crudele August, direttore del circo dei Benzini Brothers nonché signore e padrone assoluto del destino dei suoi artisti, scoprendo per la prima volta il volto di un'America affamata dalla Grande Depressione e quanta forza è necessaria per sopravvivere alla realtà. Grazie all' amore per gli animali e alle sue capacità veterinarie, Jacob si trasforma ben presto in una delle "proprietà" più preziose dell'umorale August ma, proprio quando sembra essersi adattato alle regole della mistificazione, l'arrivo di una bizzarra elefantessa sconvolge ancora una volta la sua esistenza dando forza alla passione per la proibita Marlene e facendogli trovare il coraggio di rovesciare il tirannico signore.


Nel 1952 Cecil B. DeMille aveva già provato a dare consistenza alla sfuggente bellezza degli artisti itineranti, lasciando in eredità uno dei ritratti più romanticamente cinematografici e umanamente realistici dell'universo circense. Nato all'ombra di una forte moralità anni cinquanta, il circo di DeMille incantava non solamente per l'inevitabile intreccio romantico giocato ad altezze elevate ma soprattutto per la delimitazione di una no man's land del fantastico dove ogni miseria umana può trovare rifugio dietro la maschera falsamente allegra di un clown. Oggi, a quasi sessant'anni dalla prima visione de Il più grande spettacolo del mondo, Francis Lawrence cerca di ricreare la magia di questo mondo costruito sul sudore e il sacrificio umano senza nemmeno sfiorare la possibilità di un confronto con il suo predecessore più illustre. Nonostante l'ispirazione letteraria dovuta al best-seller omonimo di Sara Gruen e il tentativo di disseminare piccoli richiami all'opera di DeMille, Come l'acqua per gli elefanti non si nutre purtroppo della leggiadra temerarietà dei trapezisti ma di una pachidermica pesantezza narrativa.

Dopo Constantine e Io sono leggenda, Lawrence tenta di approdare nella terra del romantico cercando di rivestirlo con le forme e le atmosfere della classica cinematografia hollywoodiana. Un'operazione che ha mostrato solamente la sua scarsa attitudine al linguaggio ed una chiara impossibilità alla trasversalità . Ad un intreccio prevedibile in ogni suo singolo twist, il regista sovrappone la struttura di personaggi imperdonabilmente superficiali, giocando interamente sull'eterno e fin troppo sfruttato triangolo amoroso sostenuto da prototipi interpretativi dalla sconcertante semplicità. Così, alla figura dell'uomo maturo dall'indole tirannica e dichiaratamente oscura si contrappone quella dell'eroe giovane, bello e dai nobili presupposti . Altrettanto inevitabile il rapporto prima paternalistico e poi di dichiarata rivalità che nasce tra i due nel nome, nemmeno a dirlo, di una creatura bionda, eterea e tendenzialmente infelice. Neanche uno sguardo sfuggente e distratto lanciato verso 'esterno di un paese nel pieno della Grande Depressione e un accenno di polemica animalista concedono al film un momento di respiro.
A peggiorare la sorte di quest'avventura la scelta di un cast raramente così inappropriato e mal gestito. Accanto a Reese Witherspoon e il bastardo senza gloria Christoph Waltz, entrambi relegati all'interno di ruoli schematicamente delimitati e senza alcuna possibilità di evoluzione, si affianca l'eterna speranza Robert Pattinson che, arrivato agli sgoccioli della sua avventura nella saga di Twilight, sembra proprio non trovare una nuova collocazione artistica. Nonostante un'immagine notevolmente cinematografica, l'idolo delle teen ager non riesce ad acquisire uno spettro interpretativo che vada oltre le basilari espressioni di simil sofferenza utilizzate con lo scopo di ricreare un'intensità estranea all'attore inglese, almeno sul grande schermo. Immerso in un costante atteggiamento d'indifferenza nei confronti della situazione e della sua partner, Pattinson veste i panni dell'eroe romantico con tale difficoltà da dimostrarsi sorprendentemente, o forse no, inadeguato al mezzo e alla tecnica. A mettere ancora più in ombra la sua performance la presenza di Rosie, giovane elefantessa e stella indiscussa del film che, con l' insolita passione per il whisky e la bizzarra attitudine al polacco, getta ombra sul compagno di set. Uno smacco di proporzioni elefantiache per un giovane attore dalle promesse, fino ad ora, mai completamente realizzate.

Movieplayer.it

2.0/5