Recensione Il sesso aggiunto (2011)

Non un film che ha la pretesa di cambiare il mondo, educare o tenere i giovani lontani dalla droga, ma solo quella di avvicinare forse per la prima volta in modo comprensibile la psicologia del tossico emarginato, di offrire un approccio diverso ad un problema che affligge la società del consumo e del mercato globale come un cancro silenzioso che non lascia speranza.

I sogni aiutano a vivere o a morire?

Il titolo potrebbe portare erroneamente a pensare che ci si trovi di fronte a un film che parla di transessualismo o di argomenti correlati all'identità sessuale ma non è affatto così. Il sesso aggiunto - così il regista e sceneggiatore definisce l'effetto dell'eroina sulla psiche umana sfruttando il suggerimento fornito da Danny Boyle in Trainspotting - racconta la vita quotidiana di Alan, un ragazzo consapevole della sua condizione di tossicodipendente da eroina, totalmente ossessionato dalla 'roba', cosciente dei danni psicologici e fisici che egli sta provocando a se stesso a chi gli sta intorno. Irruento, meschino e bugiardo per colpa della sua dipendenza, Alan sente di essersi quasi sdoppiato in quanto capace talvolta di guardarsi dal di fuori con gli occhi di qualcun altro e di disprezzarsi con tutte le sue forze. Non è il tipico ragazzo di borgata malandato e ignorante, ma una sorta di intellettuale fallito, un ragazzo di buona famiglia che si ritrova schiavo e vittima di un sogno, quello mai realizzato di diventare qualcuno, di essere accettato e amato da suo padre. I suoi giorni sono scanditi dalla continua ricerca di denaro per la dose, perchè essere un tossico è come un lavoro. I suoi pensieri sono scanditi da un'autocanalisi che viene da dentro e che spesso lo isola dal mondo reale per trasportarlo in uno stato catatonico in cui a tormentarlo è la voce interiore, la sua, che ripercorre pian piano il percorso di degradazione che lo ha condotto verso una totale e demoralizzante rinuncia all'essere vivo, a una rinuncia alle relazioni e agli affetti, tutti trasformati in strumenti per arrivare al suo unico scopo: iniettarsi l'eroina per arrivare a domani.


La vita è esattamente quello che appare e i sogni fanno parte di questo apparire e, seppur belli e pieni di energia, hanno un fine sicuramente meno importante dell'essere. Questo il messaggio che il regista Francesco Antonio Castaldo, ha voluto trasmettere con quest'opera, la sua prima da regista realizzata a 53 anni suonati dopo tanti anni di duro lavoro nel settore. Un sogno che si realizza per lui, ma un sogno che negli anni non gli ha impedito di guardare con concretezza al mondo e alla vita di tutti i giorni. Ora, con una lunga gavetta da assistente alla regia (al fianco di Steno, Squitieri e Giuffré) e altrettanta nella produzione e nella post-produzione di audiovisivi, Castaldo scrive e dirige il suo primo lungometraggio per il cinema sull'onda emotiva scatenata dalla paura di una violenta recrudescenza dell'eroina tra le nuove generazioni. Due figli adolescenti e un'esperienza di vita vissuta negli anni Settanta e Ottanta, epoca in cui l'eroina brulicava ad ogni angolo di marciapiede e riduceva in uno stato comatoso l'esistenza di migliaia di giovani, hanno spinto Castaldo ad affrontare uno degli argomenti inconfutabilmente meno toccati dal cinema italiano. E' sempre estremamente difficile infatti raccontare la schiavitù fisica e psicologica da qualsiasi cosa, e ancor meno lo è se non ci si è mai stati dentro o nei pressi, il rischio di inciampare in luoghi comuni e inopportune rappresentazioni pornografiche della dipendenza in senso stretto è infatti sempre elevatissimo. Niente di tutto questo ne Il sesso aggiunto, niente spargimento si sangue, siringhe o altro, se non in modo del tutto accessorio; la rappresentazione della tossicodipendenza in questa storia avviene principalmente a livello interiore, a livello di sentimenti, di pensieri, di potenzialità, di emozioni.

Duro, verboso e teatrale, il film è scandito, oltre che dalla splendida colonna sonora di Nicola Piovani, anche da lunghi monologhi e dallo scorrere lento delle giornate del protagonista (un bravissimo Giuseppe Zeno) quasi a mo' di documentario, senza spettacolarizzazioni, ed è forse proprio per questo che il tutto appare più intenso del solito, più doloroso. Non un film che ha la pretesa di cambiare il mondo, educare o tenere i giovani lontani dalla droga, ma solo quella di avvicinare forse per la prima volta in modo comprensibile la psicologia del tossico emarginato, di offrire un approccio diverso, più cerebrale, meno retorico e se vogliamo più sentimentale ad un problema che affligge la società del consumo e del mercato globale come un cancro silenzioso che non lascia speranza.

Movieplayer.it

3.0/5