Jake Gyllenhaall e Duncan Jones a Roma per Source Code

Presentato a Roma il thriller-action fantascientifico che tra colpi di scena e viaggi avanti e indietro nel tempo regala un'avventura mozzafiato come non se ne vedevano da tempo.

Poche ma significative le certezze dopo un'attenta visione di Source Code: Duncan Jones ha un grande talento dietro la macchina da presa e farà molta strada, il giovane Jake Gyllenhaal è certamente tra gli attori più bravi ed eclettici della sua generazione e in ultima battuta, i due insieme allo sceneggiatore Ben Ripley hanno dato vita davvero ad un gran bel film. Figlio in incognito del leggendario David Bowie, il quarantenne regista britannico che aveva stupito tutti un paio d'anni fa col suo fantascientifico esordio Moon, con uno straordinario Sam Rockwell, sembra il candidato più accreditato a riportare in auge con stile e senza timori reverenziali un genere come lo sci-fi, da anni piombato nell'anonimato.

Dopo l'escursione romantica di Amore & altri rimedi il protagonista di Donnie Darko e Prince of Persia: le sabbie del tempo si butta nuovamente a capofitto nei viaggi spazio-temporali e se la cava benissimo nei panni del capitano Colter Stevens, un elicotterista dell'esercito americano che si ritrova, suo malgrado, a rivivere gli ultimi 8 minuti di vita di un altra persona, un passeggero di un treno che esploderà, o meglio, che è già esploso. Risvegliatosi di colpo a bordo del maledetto treno diretto verso Chicago, Colter si rende conto di essere imprigionato nel corpo di un'altra persona. Di fronte a lui c'è Christina (Michelle Monaghan) che gli sorride, ma lui non ha la più pallida idea di cosa stia accadendo né di chi sia la donna. A sua insaputa egli è stato coinvolto in un esperimento top-secret chiamato Source Code che gli permette di tornare più volte indietro nel tempo, solo per 8 minuti, per scoprire l'identità del misterioso attentatore ed evitare così la morte di migliaia di persone.
Il film, che vede nel cast anche Vera Farmiga e che nel primo weekend in patria ha incassato ben 15 milioni di dollari (secondo solo al coniglietto di Hop), sarà nelle sale italiane a partire da venerdì 29 aprile con oltre 300 copie. Sentiamo cosa ci hanno raccontato Jones e Gyllenhaal di questa loro prima adrenalinica esperienza cinematografica insieme, che entrambi promettono essere solo la prima di una lunga serie...

La sua per il tempo e per gli spazi angusti sembra proprio essere un'ossessione, nei suoi film nulla è mai come sembra, come riesce a fare dei film così diversi dalla fantascienza un po' cafona prodotta di questi tempi a Hollywood?

Duncan Jones: Cerco di rimanere concentrato sui personaggi, mi piacciono le storie che si focalizzano sulla vita delle persone, adoro la fantascienza, la più bella che ho mai letto, visto nei film e in tv è quella fatta di storie incentrate su come l'indivio viene influenzato dall'ambiente in cui si vive, la fantascienza non è un genere che punta tutto e solo sulle tecnologie, studia il genere umano osservando come gli individui affrontano le circostanze in cui spesso si ritrovano coinvolti. La claustrofobia, specialmente quella relativa a Moon, è stata più che altro un escamotage visto che avevo a disposizione solo 5 milioni di dollari, ho dovuto ridurre al minimo il cast e le spese e soprattutto fuggire dall'imprevedibilità degli agenti atmosferici per esempio, per questo ho dovuto girare tutto in studio e quindi ho dovuto anche un po' adattare il film al budget.

Com'è nato questo sodalizio con Jake Gyllanhaal?
Duncan Jones: Non ci crederete ma è stato lui a propormi questa sceneggiatura, leggendola sia Jake che i produttori hanno riscontrato qualcosa che si potesse adattare al mio estro creativo e al mio modo di dirigere. Quando ho letto la splendida sceneggiatura di Ben Ripley, uno che ha grande conoscenza e rispetto della fantascienza, sono rimasto affascinato da come era riuscito in un solo film a mischiare tanti diversi generi. C'è ovviamente l'intrigo fantascientifico, il thriller, la storia d'amore, l'azione, le battute comiche, insomma si trattava di una storia piena zeppa di splendide idee. Pescava ovviamente da altre storie che hanno fatto la storia del genere, ma Source Code era esattamente quel tipo di film che rappresenta una sfida e insieme un sogno per ogni regista.

Quali sono state le difficoltà di un ruolo faticoso e impegnativo come quello che la vede protagonista nei panni di un eroe antiterrorismo?

Jake Gyllenhaal: Non saprei, essendo un attore non sono poi così acuto come pensate (ride), non ho trovato nulla di troppo difficile nell'interpretazione del ruolo, la cosa più divertente e stimolante è che ho dovuto usare molta immaginazione di fronte al green screen quando c'era da girare le scene all'interno della capsula, sapevamo inoltre tutti che la ripetizione continuata degli otto minuti sarebbe piaciuta al pubblico solo se fosse stata ogni volta diversa. Nelle scene in cui Vera Farmiga mi parla da fuori la capsula ho dovuto far ricorso alla mia più fervida immaginazione per cercare di interagire con lei nel montaggio, anche perchè io non l'ho praticamente mai incontrata. La verità è che sia io che Duncan abbiamo dovuto porci delle domande mentre lavoravamo, principalmente sulle reazioni del pubblico a questa o a quella scena. Forse alla fin fine la cosa più difficile del mio ruolo è stato entrare nella storia d'amore con il personaggio di Michelle Monaghan, c'è stata una difficoltà iniziale nel capire da dove partiva la storia d'amore tra lei e l'uomo che mi presta l'identità nel film.

Quanto ha significato per lei partire da un film come Donnie Darko ed arrivare a Source Code? Si chiude una sorta di ciclo del tempo?
Jake Gyllenhaal: Credo che la questione 'tempo' sia qualcosa di universale e che in un film esso sia in grado di offrire una tensione narrativa intrinseca. Sicuramente è di conforto per un attore sapere che questa cosa è lì ad aspettare, come un amico o come un supporto morale durante la recitazione. Ho lavorato in Donnie Darko dieci anni fa e farlo mi è piaciuto tanto quanto fare Source Code. Credo che questo importante decennio si possa archiviare in maniera del tutto positiva specialmente se si pensa al fatto che per me Donnie Darko ha rappresentato il film della transizione dall'infanzia all'adolescenza, con tutte le stranezze che questo processo ha comportato, mentre Source Code rappresenta il passaggio dall'adolescenza all'età adulta con tutte le realtà e le consapevolezze che questo porta con sé. L'unica differenza è che lì c'era un coniglio e qui no, ma l'ossessione continua visto che al box office Usa siamo stati battuti da un altro coniglio che è quello di Hop (ride).

I contenuti del film hanno un sottotesto che potremmo definire antimilitarista, visto che si parla dell'uso del corpo umano, dei soldati e del sacrificio di questi ultimi in difesa della sicurezza di tutti, lei aderisce a questo discorso o ne prende le distanze?
Duncan Jones: Source Code non è assolutamente un film che vuole far passare messaggi di questo tipo, ho un profondo rispetto per tutti coloro che scelgono di aderire all'esercito perchè mossi da una vera vocazione, né tanto meno intende esprimere giudizi di sorta. Forse in Source Code è proprio il protagonista che non riceve il giusto riconoscimento dopo aver servito la patria fino alla fine. Vengo da una famiglia fatta per metà da artisti e per metà da militari, quindi non mi sognerei mai di esprimermi a favore dell'antimilitarismo.

Guardando il film non si può non pensare all'11 settembre, alla violenza e al terrorismo che affliggono in questo momento l'intera umanità, qual è il suo sentimento a quasi dieci anni da quel tragico evento?

Jake Gyllenhaal: Per quel che riguarda la violenza io penso che la grande maggioranza delle volte non sia assolutamente necessaria. Mi sono state fatte tante domande nel corso della promozione del film su questo aspetto, ma per dirla senza giri di parole vorrei precisare che il film parla di un programma informatico che consente ad una persona di tornare indietro nel tempo nel corpo e nella vita di un'altra persona durante gli ultimi 8 minuti della sua vita, il tutto per tentare di bloccare una catastrofe. Non è un film che parla di tornare indietro nel tempo per rivivere 8 minuti qualsiasi della propria vita, è qui la netta distinzione. Vorrei tanto che esistessero dei programmi per farci tornare indietro nel tempo e permetterci di entrare negli aerei e negli edifici dell'11 settembre, nella centrale giapponese per staccare tutti gli impianti, per entrare nel corpo di uno dei grandi leader mondiali e fermare ogni guerra. Questo mi viene dal profondo del cuore, non lo dico per fare pubblicità al film, solo ripensare a quei tragici momenti è per me qualcosa di molto doloroso.

Concludiamo con una curiosità, ha accettato di dirigere Source Code nella speranza di fare in futuro un film tutto suo con protagonista Jake Gyllenhaal? C'è qualche progetto già in cantiere?
Duncan Jones: E' stata una grande opportunità per me questo film, mi ha dato la possibilità di esprimermi e di apportare al progetto il mio contributo creativo, ho amato dal primo momento la sceneggiatura e l'idea di lavorare con Jake mi stimolava tantissimo. Ho un piano a lungo termine con lui, volevo che si sentisse a proprio agio a lavorare con me e questo film è stato parte di questo piano.