Il rito: parlano il regista e il cast

L'inquietante film di Mikael Håfström, incentrato sul tema delle possessioni demoniache, è stato presentato a Roma dallo stesso regista insieme a Anthony Hopkins, all'esordiente Colin O'Donoghue e ad Alice Braga, in un interessante incontro con i giornalisti.

E' un film inquietante e a suo modo coraggioso, Il rito, principalmente per come prova ad affrontare un tema vecchio e abusato come le possessioni demoniache da un punto di vista nuovo: magari senza riuscirci sempre, ma lasciando comunque scorgere una ricerca che si rivela spesso originale. Ne abbiamo parlato con il regista Mikael Håfström e con gli interpreti Anthony Hopkins, Colin O'Donoghue e Alice Braga, che hanno risposto alle domande nostre e a quelle dei colleghi riguardanti il film e il modo in cui hanno affrontato i rispettivi ruoli.

Mr. Hopkins, che tipo di preparazione ha svolto per il film?
Anthony Hopkins: Praticamente nessuna. Avevamo un prete, sul set, e mi sono consultato con lui. Non so se credere negli esorcismi, non so neanche di preciso in cosa credo. Probabilmente credo in tutto, ho una mente molto aperta. Ma la mia opinione, in fondo, non conta molto.

C'è bisogno di credere almeno un po' in certe pratiche, per interpretare un ruolo del genere?
No. Si tratta solo di recitare. Spesso mi viene chiesto perché ho accettato di interpretare questa o quella parte: io rispondo che si tratta solo di lavoro, di soldi. Mi hanno offerto la parte, perché avrei dovuto rifiutare?

Quanto si è avvicinato al male, nella sua vita personale?

Non lo so. Come esseri umani, siamo stati sempre coscienti della presenza del male; il mondo è un luogo pieno di guai. Ci si chiede dov'è Dio, e io non so dove sia. Mi vengono fatte spesso queste domande, mi si chiedono pensieri profondi, ma non mi ritengo una persona molto profonda. Quello che posso dire è che la nostra specie, quella umana, è l'unica ad essere cosciente della propria mortalità. E' una consapevolezza, e una paura, che ci accompagna per tutta la nostra vita; ma quando riusciamo a confrontarci con essa e ad accettarla, allora siamo davvero liberi.

Parla in italiano molto bene, nel film. Come si è preparato?
Ho ascoltato cd registrati in italiano, ho letto molto e mi sono esercitato per ore sulla pronuncia. Ho letto e riprovato la mia parte più e più volte, perché è questo il mio modo di lavorare: dovevo essere abbastanza sicuro per essere rilassato sul set, visto che non si può recitare in uno stato di tensione.

E' stato difficile interpretare un ruolo "doppio" come questo?
No, in realtà è stato molto semplice, anche se può sembrare il contrario. Leggendo e rileggendo il testo, la "voce" per la parte mi è venuta automaticamente. Pensavo sarebbe stato complicato, e per alcuni può davvero apparire complicato, ma in realtà è stato un processo molto naturale.

Come combatte i suoi personali demoni?

Non ne ho. Sono un peccatore come tutti, sono vulnerabile, ho le mie paure. Se c'è una cosa che sappiamo, è che tutti dobbiamo morire, nessuno sopravvive a questo mondo. E' un pensiero che però trovo stranamente confortante, mi dà pace. Quando si invecchia, le aspettative si fanno più modeste, ed è meglio così. Possiamo solo imparare a goderci la vita, giorno per giorno, perché non sappiamo mai quando finirà. Questo ci aiuta anche ad abbandonare le nostre presunzioni di grandezza, di immortalità.

Mikael Håfström, perchè ha deciso di girare parte del film a Budapest?
Mikael Håfström: Era più facile, visto che non potevamo girare tutte le scene a Roma. Era una città che si prestava molto, lì ci sono ottime professionalità, ed ottime infrastrutture per gli scopi che ci servivano. Inoltre anch'io ho origini ungheresi, visto che la famiglia di mia madre viene da lì: in Ungheria ci sono cresciuto, quindi per me è stato un po' come tornare a casa.

Cosa le è piaciuto in particolare del libro?

In realtà ho letto la sceneggiatura prima del libro. Non era esattamente il tipo di storia che cercavo, ma alla fine mi ha coinvolto totalmente: è fondamentalmente la storia di un giovane che cerca la sua strada. Tempo addietro avevo fatto un film con protagonista un giovane in un collegio, altrettanto alla ricerca di sé stesso: per quanto diverse, le due storie hanno qualcosa in comune. Qui si parla non tanto di possessione, quanto di amicizia, di memoria, di crescita. La consulenza dell'autore Matt Baglio, sul set, è stata molto utile, e comunque penso che Roma sia un teatro ideale per questo tipo di storie.

Quanto c'è del libro, nel film?
Beh, Matt ci dava dei consigli, ovviamente è un esperto dell'argomento e quindi sapeva molte cose sui dettagli, gli abiti, le formule del rituale. Era quasi sempre presente sul set.

E' stato difficile dirigere un attore come Anthony Hopkins?
Al contrario, è stato facile, perché è un grande attore. Come tutti i grandi attori, fa suo il personaggio, non si limita a riproporlo. Comunque lui non vuole assolutamente prendere il controllo della situazione, lui vuole essere diretto, vuol essere semplicemente uno del gruppo. E' riuscito anche a mettere a suo agio Colin, che era al suo primo film e comprensibilmente un po' teso all'idea di recitare con un grande attore come lui. Inoltre è una persona molto divertente, un grande intrattenitore, uno che ama la vita.

Ha mai visto un vero esorcismo?
No, ma sono stato presente in seguito nella stanza in cui era stato compiuto. E' un momento molto privato, oltre ai partecipanti non deve essere presente nessun altro. Comunque mi ha dato una sensazione strana trovarmi lì, c'era un'atmosfera molto particolare, inquietante.

Come ha scelto Colin O'Donoghue per il ruolo di protagonista?

Dopo aver ingaggiato Anthony Hopkins, ci serviva un nome meno conosciuto, un emergente di talento. Abbiamo quindi cercato attori giovani, e in Colin c'era qualcosa che ci ha colpito. C'era una sorta di innocenza nei suoi occhi, una totale sincerità: ci è piaciuto il modo in cui quegli occhi sembravano guardare il mondo.

E' necessario avere fede, o comunque essere cresciuti in certi ambienti, per apprezzare appieno il film?
No, perché non è un film su Dio o sulla fede: il tema è un altro, ed è quello di cercare la propria strada nella vita. La religione è solo un aspetto della trama, io vedo il tema in un senso più generale.

Qual è la sua posizione sugli esorcismi?
Sono realtà che esistono. Tutti abbiamo dei demoni: nel mio paese la gente tenta di scacciarli ricorrendo agli psichiatri, qui da voi invece molti vanno dagli esorcisti. Secondo me, possono andar bene entrambe le opzioni: l'importante è che ognuno trovi il modo per sconfiggere i suoi demoni.

Comunque il film ha un tono più realistico della maggior parte degli altri sull'argomento. Voleva provare qualcosa?
No, mi serviva semplicemente che l'atmosfera fosse più drammatica. Forse il personaggio di Anthony Hopkins impazzisce lentamente, perché non riesce a confrontarsi con il suo lato oscuro. Comunque il fatto che si creda o meno in certe pratiche non esclude che se ne possa comunque essere affascinati. Per essere affascinati da qualcosa, non è necessario crederci.

Colin O'Donoghue, cosa pensa delle pratiche mostrate nel film?
Colin O'Donoghue: Io ho assistito a degli esorcismi, e devo dire che non è importante se ci si creda o no: è stata comunque un'esperienza terrificante. Qualsiasi cosa se ne pensi, bisogna rispettarla. Personalmente sono molto combattuto tra credere e non credere, ma trovo comunque positivo che un film del genere ponga degli interrogativi.

Questo è stato il suo esordio cinematografico, dopo una serie di lavori televisivi. Cosa può dirci a riguardo?
Che mi sembrava un sogno, soprattutto considerato che ero in una città come Roma e lavoravo con un grande attore come Anthony Hopkins. L'importante è comunque lavorare con coscienza, il personaggio è per certi versi diverso da me, ma entrambi siamo consapevoli di vivere un momento fondamentale della nostra esistenza. Lui è un uomo giovane che ancora non sa cosa fare di preciso della sua vita, che deve trovare una sua strada: questo è l'aspetto più importante del soggetto. E' un dramma psicologico, non un horror.

Cosa può dirci della sua esperienza sul set con Anthony Hopkins?

Mi sono sentito straordinariamente fortunato a lavorare con lui. Sono riuscito anche a conoscerlo di persona, così come un altro grande attore come Rutger Hauer. Lavorare con persone del genere è stato bellissimo, come vincere la lotteria.

Quando le hanno proposto il ruolo, ne ha discusso con qualcuno?
Devo dire che, dopo aver letto il copione, mi sono subito sentito a mio agio con il personaggio. Quando ho avuto il ruolo, mi sono consultato innanzitutto con un vero esorcista, che mi ha fatto assistere a questi suoi riti. Quando si deve interpretare un ruolo del genere, è importante essere preparati.

Ha letto il libro?
Sì, e rispetto a questo era inevitabile che il film avesse una struttura più narrativa. Ma la consulenza di Matt ha garantito la fedeltà al libro, infatti tutto ciò che vediamo nel film, pur rielaborato, viene dalle sue esperienze.

Alice Braga, che effetto le ha fatto girare con Anthony Hopkins e Colin O'Donoghue?
Alice Braga: Anthony è un maestro, un punto di riferimento per ogni attore: rappresenta la storia del cinema e la storia della recitazione. Ama molto quello che fa, la sua recitazione sprigiona potenza, passione autentica. Di Colin posso dire che è stato bello vedere i suoi occhi, la sincera emozione per quello che è stato il suo primo film. Lui ha portato sul set un po' della cultura del suo paese, e io ho portato un po' di quella del mio.

Cosa l'ha attratta del suo personaggio?
Innanzitutto la professione: anche mio padre era un giornalista. E poi la storia, più da dramma psicologico che da film horror. Quello che vediamo è un viaggio dei personaggi dentro sé stessi, la loro costante ricerca di risposte.

Lei è credente?
Sì, ho le mie credenze, vengo da una famiglia cattolica. Credo ma non vado in chiesa, per me la fede è un fatto più personale.

Che effetto le ha fatto vedere il film finito?
E' stato strano. Ma mi è piaciuto, alla fine penso che tutto ciò che il regista voleva mostrare è lì sullo schermo; e la reazione del pubblico ci sta dando ragione. Tutti i paesi in cui finora l'abbiamo mostrato hanno accolto il film positivamente, i risultati sono positivi, anche in quei paesi in cui questo non è propriamente il genere di film preferito.

Cosa può dirci sui suoi esordi come attrice? Com'è approdata a questo mestiere?

Mi è sempre piaciuto recitare, e poi sono cresciuta in una famiglia da sempre collegata con il cinema e i set. Mia madre era un'attrice, recitava in spot pubblicitari, e quindi sono cresciuta in un ambiente in cui vedevo sempre telecamere e luci. Anch'io ho iniziato con gli spot, poi sono approdata ai cortometraggi. Solo dopo il successo di La città di Dio sono riuscita ad avere un agente, e da lì le cose sono migliorate notevolmente.

I suoi genitori l'hanno supportata in questa sua scelta?
Sì, non hanno mai voluto impormi nulla, ma hanno lasciato che prendessi la mia strada. Quando andavo a scuola, un paio di volte mi permisero persino di saltare le lezioni per recitare. Ora sono molto orgogliosi di quello che faccio.

Che tipo di script accetterebbe oggi?
Va bene qualsiasi soggetto, un'attrice deve essere in grado di recitare in tutti i tipi di film, e io non voglio restare ingabbiata in un singolo genere. Però, se devo scegliere, mi piacerebbe recitare in una commedia, visto che è un genere che mi manca; e poi, far ridere qualcuno è più difficile che farlo piangere, specie se si recita in un'altra lingua.

Conosce registi o attori italiani?
Sono stata parte della giuria, a Venezia, nel premio per la migliore opera prima, ed ho amato molto il film di Gianni Di Gregorio Pranzo di Ferragosto, l'ho trovato davvero un esordio straordinario. Un altro vostro regista che apprezzo molto è Luca Guadagnino.