Recensione Una cella in due (2010)

L'esordio nel lungometraggio di Nicola Barnaba è una divertente commedia, che si affida innanzitutto alla straripante simpatia dei protagonisti Enzo Salvi e Maurizio Battista; tuttavia, il film porta avanti una linea narrativa che si sforza di essere qualcosa di più di un mero collante tra le singole gag.

Quando la commedia non si fa ingabbiare

Romolo Giovagnoli e Angelo Zingoni hanno due storie che più diverse non potrebbero essere. Il primo ha tutto quello che si può desiderare dalla vita: avvocato d'affari rampante, vive in una splendida villa, ha un'automobile di lusso e un'affettuosa famiglia con moglie e figlia, un giro d'affari ai limiti (e a volte oltre) la legalità e, dulcis in fundo, una bellissima amante. Angelo è invece disoccupato, sta per essere sfrattato dal piccolo appartamento in cui vive, ed è innamorato senza speranza di Monica, una ragazza molto affezionata a lui che però lo considera solo un amico. Ma questi due personaggi opposti, che vivono in mondi separati, sono destinati presto a incrociare le loro strade nel modo più impensato: Angelo, dopo l'ennesimo colloquio di lavoro andato male, viene arrestato a seguito di un maldestro tentativo di rapina; Romolo, di ritorno da un'escursione in barca con la sua amante, trova ad attenderlo i carabinieri, informati delle sue attività illegali da sua moglie che ha appena scoperto il tradimento del marito. Rinchiusi nella stessa cella (insieme al muto e psicopatico Manolo) i due stabiliranno presto un singolare legame di amicizia, che li riporterà alle loro vite attraverso varie peripezie, tra cui una rocambolesca e non programmata fuga.


E' principalmente la simpatia e l'affiatamento del duo formato da Enzo Salvi e Maurizio Battista a trascinare questo Una cella in due: il film, esordio nel lungometraggio del regista Nicola Barnaba (già autore di alcuni apprezzati cortometraggi e collaboratore alla regia di Giorgio Capitani e Giulio Base) è infatti una commedia basata sulla formula del "buddy buddy movie", che trae la sua forza dalla straripante, a tratti irresistibile presenza scenica dei due protagonisti, coadiuvati da un Massimo Ceccherini "in trasferta" ma sempre simpatico nel ruolo del folle Manolo. L'incontro di due individui appartenenti a classi sociali diverse, in un microcosmo come quello del carcere, è ovviamente l'occasione per scatenare una serie di gag comiche che rappresentano il terreno d'elezione preferito per i due attori; questi ultimi, da parte loro, mostrano comunque una certa duttilità nelle evoluzioni (e rovesciamenti) dei rispettivi personaggi, e specie un mattatore naturale come Battista stupisce per quello che è un ruolo inizialmente dimesso, con un personaggio rassegnato e in balia degli eventi (un perdente, l'ha definito lui stesso) che tuttavia nel momento peggiore sarà in grado, imprevedibilmente, di prendere in mano la situazione e dare una svolta alla sua vita.

Se è vero che il film trova, se non la sua sola ragione di esistere, almeno la sua forza principale nelle gag che vedono coinvolti i due protagonisti (irresistibile, a questo proposito, tutta la parte dell'evasione) è anche vero che gli autori dello script, tra cui si annovera lo stesso Salvi (ideatore del progetto) si sono sforzati di costruire un minimo di background per i personaggi, e di portare avanti una linea narrativa che, per quanto semplice, fosse qualcosa di più di un mero collante tra le singole scene. Così, Una cella in due diverte e intrattiene con leggerezza, ma cerca anche di non rimanere schiacciato nella formula standardizzata dei film natalizi e dei loro derivati, che relega sceneggiatura e regia in ruoli totalmente accessori; da questo punto di vista, lo script è attento anche a bandire, o almeno a limitare, le forme di volgarità più esplicite, in una pellicola che vuole essere destinata anche e soprattutto alle famiglie.
In tutto questo, Barnaba (per sua esplicita ammissione poco avvezzo ai registri della commedia) dirige le operazioni con mano sicura, affidandosi nella giusta misura alla sua ingombrante coppia di interpreti ma riuscendo a sottolineare anche, nel film, gli indispensabili momenti romantici e di (pur semplice) introspezione. E l'ora e mezza di durata, che saggiamente lo stesso regista ha indicato come tempo "standard" per il genere, mette al riparo dai rischi della ripetitività e della conseguente noia.

Movieplayer.it

3.0/5