127 ore: intervista con Danny Boyle

Il nostro incontro con il regista britannico, che ci racconta l'impresa della realizzazione dell'adrenalinica, sconvolgente avventura ispirata a fatti realmente accaduti che vede protagonista James Franco.

L'ultracinquantenne cineasta inglese ha sempre l'entusiasmo di un ragazzino. Lo incontriamo per parlare della sua ultima fatica 127 Ore, per il quale è nuovamente in lizza per gli Oscar, dopo il trionfo di The Millionaire. La carriera di Boyle è una sorta di montagna russa della popolarità. Lanciato da Trainspotting, film indipendente che fotografava la gioventù di Edimburgo degli anni Novanta, Boyle mancò la sua entrata nello stardom americano con The Beach, a cui non bastò un lanciatissimo Leonardo DiCaprio per sfondare un botteghino.
28 giorni dopo, noto ai fans come il film degli "zombi che corrono", sembra un nuovo inizio, ma il buon Danny si brucia nuovamente, è il caso di dirlo, con Sunshine; probabilmente chiamare l'astronave Icarus non è stata una scelta particolarmente vincente....

Come hai deciso di fare questo film così particolare?
Sono molto contento di esserci riuscito alla fine. Far accettare allo studio l'idea di fare un film simile non è stata propriamente una passeggiata. Devo dire che credo di esserci riuscito solo grazie al successo, anche di botteghino, di The Millionaire.

Sì ma è molto fuori dagli schemi, una storia di sopravivenza...
Io non lo vedo come il classico survival-movie, ma piuttosto come una celebrazione della vita. Si tratta di un sacrificio a cui sei preparato per restare vivo.
Io credo che la nostra ragione di esistere non sia come singoli individui, ma piuttosto come delle singole parti di un tutto. E' così noi esistiamo in ragione del fatto che interagiamo con gli altri.

Però il tuo protagonista mi sembra il perfetto egocentrico, o sbaglio?

Esatto! Lui è un ragazzo di successo, atletico, positivo, totalmente concentrato su se stesso, ma poi... alla fine si ritrova solo nel canyon e si rende conto che a tutti serve qualcuno.
Mentre è intrappolato chiama le due ragazze conosciute casualmente, chiama chiunque, lentamente realizza che non si può esistere da soli.
In questo io ci vedo anche un messaggio politico verso l'America, dove il culto del proprio egocentrismo è molto forte. In questo modo non si va da nessuna parte. Il messaggio del film è questo.

Le emozioni sono fortissime per lo spettatore, figuriamoci per l'attore...
E' un viaggio nelle emozioni per tutti. Il protagonista deve guardare nel suo cuore perché la via per la salvezza è dentro di lui, deve fare una scelta, ma deve raggiungere una sorta di stato di grazia per poterla perseguire.

Le scelte del protagonista sono veramente molto estreme, è difficile credere che si possa uscire da una situazione simile.
Questa è la grandezza della vita. Quando non hai più nulla, solo la magnificenza di quello che hai davanti e di quello che puoi perdere, ti può salvare. Il problema è capire cosa devi fare.

Sì e poi non è che una volta liberato sia finita lì...
E' vero perché a quel punto devi anche evitare di morire dissanguato proprio ora che hai la salvezza a portata di... mano.

James Franco è stata la tua prima scelta o avevi in mente qualcun altro?
Avevo una rosa di sei interpreti da valutare, ma alla fine ho scelto io lui.
Capisco che, se non lo conosci, quando lo vedi pensi che sia un po' menefreghista, perché ha sempre un'aria un po' "fatta", ma è un atteggiamento, perché lui non è assolutamente così. Quando si tratta di recitare e di dare il meglio, lui è sempre pronto e da ottime prove d'attore.

Qual è stata la cosa più difficile?
Indubbiamente sostenere James per tutto il tempo, soprattutto a livello psicologico, anche se devo dire che uno dei rischi che ha corso era quello di disidratarsi durante le riprese, visto il caldo insopportabile acuito dalla luci.
Poi c'era il problema di non cambiare location. Quattro settimane nello stesso canyon e nello stesso posto a fare sempre le medesime cose, può sfiancare chiunque e io dovevo far sì che ogni giorno sembrasse diverso. Dare uno stimolo perché non ci si appiattisse in una routine che avrebbe ucciso il film. Dovevo, inoltre, far sì che il film si "muovesse", visto che il suo protagonista non poteva farlo.

Questo film sarebbe stato perfetto per la Festa del Cinema di Roma che ha un'apposita sezione - Extra - che sembra fatta apposta. Perché non hai partecipato?

Che dire... non decido io le politiche di marketing e distribuzione. In quel periodo probabilmente non eravamo pronti. In ogni caso, considerate che non sono mai andato a Venezia e non certo perché non mi piaccia quel festival. In realtà devono accadere molte cose perché una partecipazione si concretizzi.

Vedendo il film viene spontaneo chiederti se tu hai avuto modo di vedere Buried - Sepolto, considerando che ci sono molti punti in comune?
Me lo hanno detto in molti. Purtroppo non l'ho ancora visto, ma mi ripropongo di farlo.

Ma dopo The Millionaire le tue possibilità di scelta sono aumentate parecchio, come ti sei regolato?
Una delle cose che ho imparato dal passato è che io non sono bravo a gestire progetti multimilionari. Devi imparare dalla tua vita, quindi meglio fare un piccolo film molto personale, ma che mi appassiona a tutti i livelli, che una qualche super produzione. Con i piccoli film riesco a raggiungere meglio il pubblico e a gestire la recitazione. Dopo l'Oscar avrei potuto fare qualsiasi, e dico qualsiasi, cosa, ma una sorta di Avatar da 200 milioni non fa per me, ho quindi scelto di usare il mio metodo per questo progetto.

Per il futuro cosa prevedi, pensi di andare anche tu sul mondo della televisione?
Che dire, vivo a Londra, una città in continuo fermento in cui stanno per arrivare le Olimpiadi. Sto lavorando ad una produzione teatrale per il National Theatre of London, e ad una serie televisiva. Diciamo che gli stimoli sono molti, vediamo poi dove arriveremo.