Torino 2010, Stamm 'chiude' con L'ultimo esorcismo

Il nostro faccia a faccia con Daniel Stamm autore dell'horror L'ultimo esorcismo, un mockumentary sui finti esorcisti e i veri diavoli che bazzicano per le strade delle nostre città, spesso nascosti dietro rispettabili facciate.

Ancora qualche ora di pazienza e poi per tutti i patiti dell'horror sarà possibile vedere in sala L'ultimo esorcismo, l'opera di Daniel Stamm presentata al Torino Film Festival nella sezione più paurosa della kermesse, Rapporto Confidenziale. Il giovane autore tedesco rilegge in chiave assolutamente personale il tema della possessione, realizzando un finto documentario che vede come protagonista un esorcista di frodo, ovvero un reverendo che finge di liberare dal maligno i suoi "pazienti", persone affette perlopiù da problemi psichiatrici di varia natura, dietro lauti compensi. Prima di dare l'addio alle "scene", però, Cotton Marcus decide di autosmascherarsi portando con sé una troupe che riprenda e testimoni il suo ultimo "lavoro", l'esorcismo su Nelle Sweetzer, una ragazza della Louisiana. Lo scetticismo dell'uomo cozzerà con una realtà se possibile peggiore di ogni aspettativa; perché il diavolo c'è e conta su un gruppo di insospettabili adepti.

Daniel, la domanda è lecita, se anche il documentario più accurato è in realtà una grossa "bufala", il regista ha anche il potere di cambiare la realtà?
Daniel Stamm: Beh questo è il bello del raccontare storie, in fondo. E non mi riferisco solo ai falsi documentari, anche se mi rendo conto che in questo caso l'effetto si amplifica. Se lo fai bene, puoi creare qualcosa di artefatto, che la gente percepisce come vero. Un film equivale a due ore di finzione, ma il pubblico si abbandona totalmente ad essa. Il documentario ci è servito per fare entrare gli spettatori in simbiosi con i personaggi, per creare un legame profondo tra di loro. Solo dopo, abbiamo innestato l'horror vero e proprio.

Qual è il tuo rapporto con l'horror e come ti sei trovato a lavorare con Eli Roth che è un maestro del genere?
Amo molto gli horror, ma non amo essere incasellato in un solo genere, non sono un "regista horror". Quando andavo a scuola e le varie commissioni chiedevano agli studenti in quale genere si sarebbero cimentati, tutti avevano una risposta pronta. Ma come si fa a sapere quale genere farai più spesso? Uno dovrebbe essere alla ricerca di grandi storie, di grandi personaggi e non di un genere. Non puoi autolimitarti e dire che ti specializzerai in un solo filone. Detto questo, io adoro i film di Eli Roth e lavorare con lui è stato semplicemente meraviglioso, perché lui ha davvero una grande conoscenza. Così, poco prima che il film fosse finito, lui mi ha raggiunto in sala di montaggio e abbiamo discusso molto di aspetti tecnici. Mi ha suggerito quali scene tagliare, quali invece enfatizzare, quali invece non funzionavano proprio. Avere Eli come mentore può essere davvero la tua salvezza. Abbiamo avuto discussioni molto interessanti e questo scambio continuo ci ha aiutato a rendere questo film diverso dagli altri. Il mio protagonista è diverso da tutti quelli che si sono visti sul grande schermo fino ad oggi. Lui è quello che racconta la storia e grazie a questo si allontana da tutti i cliché.

Come sei riuscito a scovare Ashley Bell, la giovane protagonista? Ha un'aria così innocente, così pura...
Diciamo che è stato fondamentale il lavoro della mia direttrice del casting, Lauren Bass, una donna straordinaria. Ha settant'anni, ma alla prima occhiata sa azzeccare il volto giusto per ogni ruolo, ha l'intuito soprattutto per i giovani talenti. Il suo motto è fidati di quello che un attore può fare come persona, piuttosto che per come recita. Allora mi sono inventato un trucco; io mi sedevo nella sala d'aspetto con i vari candidati, fingendo di essere un attore come loro. Erano chiaramente nervosi, si stavano preparando, leggevano le battute. Ecco, in quei momenti l'ultima cosa che vuoi è un rompiscatole che ti venga vicino e ti chieda chi sei e da dove vieni. Il modo in cui reagivano mi diceva molte cose del loro modo di lavorare. In fondo ci avrei lavorato per 24 giorni e per 12 ore al giorno. Il produttore era convinto che l'attore più difficile da individuare sarebbe stato l'interprete di Cotton Marcus, perché il film ruota interamente su di lui. Io invece pensavo che a darci i grattacapi maggiori sarebbe stata proprio Nell, perché a mio parere il senso del film è sapere se lei è pazza o se è davvero posseduta. Quindi il pubblico avrebbe visto ogni minima espressione del suo viso. Ci serviva qualcuna che all'inizio apparisse dolce. Ashley è stata la seconda ragazza che abbiamo visionato e appena l'ho vista ho subito capito che era lei. Per metterla alla prova abbiamo improvvisato un esorcismo e si è arrampicata sui muri. Era spaventoso stare con lei nella stessa stanza, credimi.
E com'è andata invece con Patrick Fabian, l'interprete di Cotton?
Con lui è stata più dura. Ci abbiamo messo un sacco di settimane a trovare l'attore giusto. Poi è arrivato Patrick. Con lui, invece, abbiamo improvvisato un sermone. Ha parlato per otto minuti di fila! Era perfetto. Quando gli ho chiesto se poteva accorciare il pezzo, perché non avrei potuto mostrare alla produzione un provino così lungo, ha detto le stesse cose in metà tempo, a doppia velocità. Non ci capivo più niente, credevo a tutto quello che diceva. Il mio cervello non lo seguiva, ma c'era una tale energia in quelle parole che mi era venuta voglia di alzarmi e gridare alleluja! Ci siamo ispirati a questo episodio per la scena del discorso del pane alla banana.

Hai voluto fare un omaggio a Rosemary's baby?
Adoro questo film, un'opera che parla di persone e di relazioni. Si allude a questa entità maligna, ma non ne sei mai sicuro fino alla fine. Non è un film di mostri. Ho amato anche L'esorcista, ma è tutto nelle teste che girano. Decisamente ho guardato di più all'opera di Polanski.

Gireresti mai un horror, o un film, in 3D?
E' tutta una questione di storie. Ce ne sono alcune che si adattano a meraviglia al 3D, altre che invece non c'entrano nulla. Prendi Avatar, ad esempio. Senza il 3D probabilmente sarebbe stato un film noioso. Al momento sono più interessato ai personaggi che non alle questioni tecniche vere e proprie. Al momento il 3D mi sembra una cosa mastodontica, che necessita di un esercito di persone per lavorare bene. E anche per gli attori diventa più difficile concentrarsi solo sulla recitazione. Questo però non vuol dire che in presenza di una storia adatta, semmai dovessi incrociarne una, non possa farlo. Si tratterebbe di una sfida spaventosa, ma per ora mi accontento del 2D.

Qual è il tuo prossimo progetto?
Dirigerò Reincarnate che è il secondo capitolo della trilogia Night Chronicles, ideata da M. Night Shyamalan, che è partita con Devil. Lo stiamo scrivendo proprio in questi giorni. Non è un sequel. Poi mi dedicherò al remake di un horror francese, Martyrs.

Sapevi che Torino è una città magica? E che a Piazza Statuto c'è la cosiddetta porta dell'inferno?
Davvero? No, non lo sapevo proprio. Ma nessuno ha provato a varcare la porta? Ok, allora voglio andarci. Sì, andiamo proprio a vedere questa porta.