Recensione Contre toi (2010)

Con uno stile asciutto, in cui i movimenti di macchina sono quasi sommessi, completamente asserviti ai corpi e ai volti degli attori, i bravi Kristin Scott Thomas e Pio Marmai, Lola Doillon propone una sua visione personale del mondo e dei rapporti umani, ponendo interrogativi interessanti su quale sia il confine tra violenza e desiderio di vedere il proprio partner finalmente privo di ogni corazza.

Paure e desideri

Anna Cooper è una ginecologa parigina, la cui esistenza sembra assolutamente perfetta. Quando la vediamo per la prima volta, sta scappando dal suo "aguzzino" Yann, un uomo che non riesce ancora a riprendersi dalla morte della moglie, avvenuta durante un cesareo eseguito proprio dalla Cooper. Per quel relitto umano, ormai allo sbando, l'unico modo per sanare il dolore è infliggere la stessa pena a colei che reputa la colpevole numero uno di quel frustrante stato d'animo. Rapisce la dottoressa e la segrega in una stanza senza finestre, in condizioni igieniche precarie. Yann appare irascibile e ancora dilaniato dal lutto che lo ha colpito e non ha altro obiettivo che la vendetta, architettata, però, in una maniera un po' bislacca. Se da un lato, infatti, si mostra glaciale davanti ad una donna allo stremo delle forze, dall'altro lascia intravedere una gentilezza d'animo che si manifesta nelle maniere più incredibili, dai piatti che le prepara ai vestiti che le offre. Col passare del tempo, quindi, la situazione per entrambi si fa decisamente più difficile del preventivato; dopo un'esplosione di inutile violenza ai danni di Anna, infatti, il rapporto tra Yann e la donna cambia completamente direzione, trasformandosi in irrefrenabile passione. Troppa per una persona inappuntabile come Anna che di fronte a quel desiderio così inaspettato, non trova di meglio che respingere quello strano sentimento, decidendo di denunciare Yann per sequestro di persona, dopo aver accarezzato l'idea di potersi far coinvolgere.

Opera seconda di Lola Doillon, figlia del regista francese Jacques Doillon, Contre Toi, presentato fuori concorso al 28.mo Torino Film Festival, è un'intrigante racconto su sentimenti che coinvolgono due esseri umani allo sbando, un uomo e una donna che per motivi opposti fuggono da un sentimento così totalizzante, prefendo, nel caso della protagonista femminile, un comodo presente fatto di solitudine e privazioni. La regista d'Oltralpe, anche autrice della sceneggiatura, incolla la macchina da presa ai suoi personaggi, regalandogli primi piani dal forte impatto emotivo; una forza che non viene mai meno durante il film, anche se in alcuni punti i grandi cambiamenti che interessano Yann e Anna sembrano solo accennati e mai approfonditi del tutto. Non capiamo fino in fondo cosa avvenga realmente tra i due, quale sia la scintilla che trasforma una "semplice" relazione tra vittima e carnefice in un rapporto uomo-donna così privo di convenzioni; alla fine li vediamo persi nelle rispettive solitudini, senza che quel suggerimento, lanciato come una pietra nello stagno, lasci intravedere il cambiamento profondo che li vede protagonisti; con un'attenzione particolare a Yann, l'unico (nonostante la sua fine poco gloriosa) a far fruttare la bellezza di quell'amore e a farne un antidoto ad un'esistenza rabbiosa.
E' forse questo aspetto a non lasciare pienamente convinti davanti alla visione del film, che pone comunque interrogativi interessanti su una storia d'amore, ad esempio su cosa possa e debba considerarsi violenza, cioè su quale sia il confine tra un disprezzabile gesto di dominio sull'altro e il desiderio di vedere il proprio partner finalmente privo di ogni corazza. E quale sia, in questo caso, la presa di posizione della regista sul personaggio maschile emerge chiaramente dalle parole rivolte da Anna a Yann durante la sua prigionia, "tu non saresti capace di fare del male a nessuno". Con uno stile asciutto, in cui i movimenti di macchina sono quasi sommessi, completamente asserviti ai corpi e ai volti degli attori, i bravi Kristin Scott Thomas e Pio Marmai, la Doillon propone una sua visione personale del mondo e dei rapporti umani, troppo spesso legati all'utile, a ciò che viene considerato conveniente, "normale". Nel complesso possiamo parlare di un'opera riuscita in cui i silenzi e le ellissi del racconto non appesantiscono una struttura altrimenti prevedibile e senz'anima.

Movieplayer.it

3.0/5