Recensione A Natale mi sposo (2010)

Scapestrata commedia corale prenatalizia, 'A Natale mi sposo' si aggiunge a una tradizione tutta italiana che funziona da quasi trent'anni, ma apporta qualche cambiamento giocando d'anticipo, con un titolo significativo, un'ambientazione non esotica e la strana coppia Salemme-Boldi.

Natale, matrimoni e altri disastri

Gustavo è il cuoco di "Parolacce e supplì", una trattoria romana vivace e affollata in cui, tra lui, il figlio cameriere Fabio, il braccio destro ed ex pugile Rocky e l'aiutante Cecco, in fissa per le over-anta, c'è spazio perfino per un pappagallo variopinto e un peloso porcellino d'India. Milanese d'origine, romano d'adozione, Gustavo gestisce un'osteria per zoticoni, ma ha sempre sognato le cinque forchette Michelin: l'occasione per la svolta arriva grazie a Fabio. Questi ha appena incontrato l'ex fidanzata, la graziosa Chris, che sta organizzando le nozze con il ricco e aitante Steve a Saint Moritz, nella villa dei propri genitori - Tony, uno scrittore a tempo perso con un'amante platinata, e Sara, una ricca ereditiera un po' tonta. Per amore Fabio aguzza l'ingegno e si finge cameriere del ristorante lussuoso scelto da Steve per il banchetto nuziale, affidando così l'incarico del catering a suo padre e al suo strampalato team.
Tra salamelle, provole campane e porchette dei castelli romani Gustavo e i suoi si catapultano in Svizzera, spacciandosi per cuochi d'eccellenza e creando un guaio dopo l'altro.
Con la complicità delle due wedding planner Gina e Paloma, i disastri di Rocky e Cecco, le magagne di Tony e i pasticci culinari di Gustavo, le nozze tra Chris e Steve saranno a rischio fino alla fine.


L'appuntamento cinematografico col cinepanettone di turno è oramai un evento fisso di ogni stagione italiana, ma se il Natale 2010 ne sforna ben 3, è evidente che il meccanismo produttivo reputi il gradimento del grande pubblico tutt'altro che in calo: il genere fortunato della commedia disimpegnata funziona a distanza di quasi trent'anni. E si sa: formula vincente non si cambia! Ma se a pensarla così è la premiata ditta De Sica-De Laurentiis, che quest'anno ci catapulterà sotto il cocente sole sudafricano, a mischiare le carte in tavola ci pensa invece Massimo Boldi con A Natale mi sposo, diretto da Paolo Costella. La struttura del film comico rimane invariata con la sua buona dose di slapstick nostrano e il ricorso a tormentoni musicali pop, con uno sviluppo narrativo ridotto all'osso ma rimpinzato da una carrellata di personaggi grotteschi. Medusa stavolta gioca d'anticipo, più largo delle volte scorse, porta il Natale anche nel titolo, incappando in un rischioso gioco diplomatico ma richiamando una bella fetta di pubblico, e modifica l'ambientazione, facendo il verso alle prime incursioni dei Vanzina nel genere, quando per le Vacanze di Natale ai luoghi esotici si preferivano le montagne innevate.

Curioso il fatto che l'inversione di tendenza venga da Boldi, che a quel primo film vacanziero non aveva nemmeno partecipato e che sembra ancora alla ricerca del partner perso con Christian De Sica. Gli viene allora in soccorso Vincenzo Salemme, che gli aveva fatto da spalla già in Olé e col quale torna a giocare al cane e gatto. A sostenere il duo composto dall'ex Cipollino milanese credulone e dal campano verace e scaltro, le coppie e i terzetti più improbabili: Massimo Ceccherini, che ha il debole per le donne poco "sode" ed è conteso tra la simpatica Valeria Valeri e l'ossuta signorina Clooney (Elisabetta Canalis) alla quale però non cede; Enzo Salvi, nei panni del solito coatto con problemi di flatulenza, rincorre la prorompente Patty-Loredana De Nardis mentre infila una dietro l'altra una serie di spiritosaggini gratuitamente scurrili; Teresa Mannino, una wedding planner grossolana, cerca di accalappiarsi Simon Grechi, "lo svizzero", un bambolotto senza carattere e senza parole per il quale ha un debole impulsivo; Salemme ricalca un De Sica già visto in Merry Christmas e snobba la bella moglie Nancy Brilli, la più convincente del gruppo, per spassarsela con un'amante in parrucca, abiti maculati e tacchi vertiginosi.
Nella scapestrata commedia delle parti ogni personaggio contribuisce a dare una continuità ritmica e di toni a una storia tanto semplice quanto impossibile, quella di un mancato matrimonio tra ragazzini che hanno l'aspetto di due minorenni, a cui si agganciano code di storie parallele, banali e sgangherate. Il nucleo sentimentale proposto, fragile appiglio per innestare gag e sketch come in un patchwork vintage, finisce così per sfumare tra battute sentite altre mille volte, un'esibizione dei corpi femminili da manuale e siparietti che rasentano un'insopportabile volgarità. C'è ben poco da ridere e si finisce per accontentarsi degli occhi al cielo di Nancy Brilli, del gagliardo gesticolare di Vincenzo Salemme e della bonarietà di Massimo Boldi, che crede ancora che per divertire il pubblico oggi basti tirar fuori dal cilindro un... porcellino d'India.