Recensione Tre all'improvviso (2010)

L'equazione matematica è quasi lapalissiana: c'è la solita trentenne in crisi, Katherine Heigl, l'oggetto del desiderio, Josh Duhamel, e una bimba che li inchioda alle loro responsabilità; non ci si aspettava qualcosa di diverso, ma una maggiore caratterizzazione dei protagonisti, quasi obbligatoria in presenza di storie dall'andamento immaginabile.

E io non mi gioco la bambina

Gli appuntamenti al buio sono la cosa peggiore che possa capitare ad una donna che cerca il principe azzurro. Specialmente se il buio è così fitto da non lasciare intravedere che lo strano tipo che ti ha rimediato la tua migliore amica, può essere l'uomo della tua vita. Così sulle prime, davanti all'ipervitaminizzato Eric Messer, detto Mess (una moto, svariate fidanzate e un apprezzato lavoro di regista televisivo, specializzato in sport, all'attivo) la pasticcera Holly preferisce un'onorevole resa, con la speranza di non vederlo mai più. La vita ci mette lo zampino e la speranza è destinata a rimanere tale: troppo forte è il legame che unisce quell'uomo così rude e sciupafemmine, agli amici di Holly, la solidissima coppia Alison e Peter. Festa dopo festa, compleanno dopo matrimonio, questa strana famiglia allargata celebra l'arrivo di Sophie, una bimba che finisce per diventare l'unico e inaspettato legame sentimentale tra Holly e Mess, dopo il tragico incidente in cui hanno perso la vita proprio i genitori della piccola, Alison e Peter; gli stessi che hanno individuato nella ristoratrice e nel regista i perfetti genitori della figlia, in caso di decesso. Ottenuta, loro malgrado, la custodia legale della bambina, Holly e Mess devono imparare ad essere una famiglia, e in mezzo a tanti problemi, egoismi mai del tutto dominati, riescono nell'impresa.


Ancora un'altra incursione di Hollywood nel mondo delle nuove famiglie, o meglio di quei nuclei familiari che si costituiscono in maniera inaspettata e decisamente poco classica. Come in Baby boom, Quando meno te lo aspetti e Sapori e dissapori, la morte di una persona amata diventa il necessario (e non richiesto) cimento per donne che possono così sperimentare l'innato senso materno. In Tre all'improvviso, opera seconda di Greg Berlanti, una carriera trascorsa in tv da ideatore produttore di serie come Dirty Sexy Money, Eli Stone e Dawson's Creek, l'operazione riguarda anche l'uomo, tradizionalmente recalcitrante davanti agli obblighi e alle unioni sentimentali a lunga scadenza (e anche in questo caso la tradizione non viene smentita). Non basta questo tocco in più a fare del film un'opera innovativa. La pellicola, infatti, è una brillante commedia facile, priva di colpi di scena e di un qualsivoglia approfondimento dei personaggi, pedine di un gioco totalmente prevedibile (altro che le azioni di basket riprese da Mess). L'equazione matematica è quasi lapalissiana: c'è la solita trentenne in crisi, a forte rischio di "zitellaggio", i suoi oggetti del desiderio (oltre al regista sportivo, infatti, dobbiamo considerare il pediatra di Sophie, uno che a voler essere cavillosi, non ha neanche un difetto) e una bimba che inchioda tutti alle loro responsabilità, facendo mettere la testa a posto soprattutto ai due protagonisti principali.

Ad una prima parte costruita saldamente sul cliché degli opposti che si attraggono (ma non lo sanno ancora), fa seguito una seconda in cui la marcia sembra cambiare leggermente; è il momento in cui i due eroi si svelano per quello che sono, persone in crisi che davanti ad un grosso imprevisto rischiano di perdersi una grossa chance per "maturare"; qui il regista ha una mano più felice e regala alle due figure principali una gamma più ricca di sfumature. L'impennata dura poco e ricade in un finale all'acqua di rose che sigilla tutto nella glassa. Certo, non ci si aspettava qualcosa di diverso, ma una maggiore caratterizzazione dei protagonisti, più acuta e meno banale è quasi obbligatoria in presenza di storie dall'andamento immaginabile. Sono le piccole ombre, quei gesti appena accennati, i sorrisi trattenuti, a dare corpo e sostanza alla più logora delle vicende. Il guizzo che non ti aspetti, quindi, arriva dal ruolo marginale dell'assistente sociale (Sarah Burns), una specie di fata burbera, ma buona, che con i suoi consigli a Holly e Mess regala un po' di brio del film. Spiccano ovviamente le interpretazioni di Josh Duhamel, nei panni di Mess e Katherine Heigl in quelli di Holly; per la bionda stella di Grey's Anatomy c'è anche il confronto diretto con un'altra star del piccolo schermo, Christina Hendricks (Alison), la Joan Holloway di Mad Men. Almeno sulla bellezza la partita è vinta.

Movieplayer.it

2.0/5