Recensione Stanno tutti bene - Everybody's Fine (2009)

Più spazio alla forte componente emotiva e meno riflessioni sul sociale per l'adattamento a stelle e strisce di 'Stanno tutti bene'. De Niro commuove con l'interpretazione di un padre che cerca di ritagliarsi uno spazio nel mondo che sta cambiando e nelle vite dei propri figli.

Le verità negate

Per tutta la vita Frank Goode ha lavorato duro per non far mancare nulla alla propria famiglia, in particolare ai suoi quattro figli, David, Amy, Rosie e Robert. Per anni ha rivestito i cavi del telefono di materiale isolante, chilometri e chilometri di cavi che per decenni hanno messo in contatto le persone tra loro. Adesso che è in pensione, però, Frank ha difficoltà a restare in contatto con i con i suoi figli, ormai trentenni, i quali avevano più confidenza con sua moglie, scomparsa da pochi mesi. La solitudine è diventata ormai una compagna di vita troppo ingombrante, per lui, che tra l'altro ha anche problemi di salute e inizia a sentirsi tagliato fuori da un mondo che si è fatto troppo frenetico e indifferente. Quando decide di invitare i suoi quattro figli per un barbecue, loro rinunciano a fargli visita accampando una serie di scuse imbarazzate e nascondendosi dietro i più disparati impegni di lavoro e di vita. E così Frank decide di andarli a trovare, uno per uno, intraprendendo un lungo viaggio da un capo all'altro degli States, durante il quale conoscerà davvero i propri figli, e tirerà le somme sul proprio ruolo di padre, senza escludere la possibilità di riparare agli errori commessi.

Nel riadattare la storia di Stanno tutti bene - terzo film di Giuseppe Tornatore, che fu interpretato da Marcello Mastroianni nel 1990 - Kirk Jones sceglie di concentrarsi più sul personaggio principale, mettendo quasi in disparte il ritratto sociale per realizzare un film che gioca quasi tutte le sue carte sulla fortissima componente emotiva della storia. Robert De Niro si carica sulle spalle tutto il peso del film, e interpreta con equilibrio un uomo anziano che è determinato a non lasciarsi soffocare dalla solitudine, e caparbiamente, ma con dolcezza, cerca di ritagliarsi un piccolo spazio nel mondo che sta cambiando, ma soprattutto nelle vite dei propri figli. Scenari bellissimi, dalla creativa e frenetica New York fino alla scintillante e assolata Las Vegas, si susseguono nel corso del lungo viaggio di Frank, alla riscoperta di una società ormai cambiata, con la quale non mancheranno confronti, anche spiacevoli.
L'ingenuità del protagonista, tuttavia, non gli impedisce di intuire che le scuse dei suoi figli nascondono esistenze non perfette, segnate da problemi più o meno gravi, che egli dovrà imparare ad accettare, nonostante abbia sempre desiderato il meglio per loro.
Tra tutte le interpretazioni secondarie, convince in particolare quella di Drew Barrymore nel ruolo di un'artista di Las Vegas che accoglie suo padre con affetto, ma in una vita che non è la sua. A Kate Beckinsale e Sam Rockwell toccano invece i ruoli di una donna che tenta di nascondere il recente divorzio - ma trova il modo di far conoscere al padre il suo nuovo compagno - e quello di un musicista che non è mai stato direttore d'orchestra, come pensava Frank, e non riesce neanche a dare un ritmo alla propria esistenza.
Un tocco di delicata ironia stempera l'intensità drammatica del racconto, che si conclude con un finale sicuramente più conciliante e meno amaro rispetto a quello della pellicola originale, senza tuttavia svilire la componente emozionale del film.

Movieplayer.it

3.0/5