Susanne Bier a Roma per un mondo migliore

La volitiva regista danese, accompagnata dal suo cast, capitanato dal popolare Ulrich Thomsen, approda a Roma per presentare il crudo In a Better World.

La regista danese Susanne Bier approda a Roma con il gelido dramma In a Better World. La pellicola, scelta come candidato danese per la corsa all'Oscar per il miglior film in lingua non inglese, è una storia d'amicizia infantile immersa in un contesto profondamente drammatico. Ad accompagnare la regista sono presenti il popolare Ulrich Thomsen, Mikael Persbrandt e Trine Dyrholm, i tre "adulti" presenti nella pellicola.

Haeven è un film che riunisce tutti i temi presenti nel tuo cinema, temi sempre raccontati in modo abbastanza duro. A differenza delle tue opere precedenti, il finale stavolta è un po' inconsueto, quasi consolatorio. Come mai questa scelta?

Susanne Bier: Come sarebbe dovuto finire il film secondo voi? In realtà non credo che finisca in modo molto chiaro. Neppure io so cosa accadrà ai personaggi dopo la fine della pellicola. Per parlare di argomenti drammatici, crudi, è necessario coinvolgere il pubblico e per farlo ho scelto di dargli un pizzico di speranza.

Quanta ricerca è stata fatta prima dell'inizio delle riprese?

Susanne Bier: Quando lavoro con lo sceneggiatore Anders Thomas Jensen per prima cosa butto giù una bozza di getto, senza fare molta ricerca. Questa avviene solo in seguito. In questo caso ho contattato Médecins Sans Frontières, ho parlato con molti membri dell'associazione. Anche Mikael Persbrandt li ha frequentati per capire a fondo il loro mestiere e preparare il suo personaggio in modo adeguato.

Ulrich Thomsen: Nel mio caso è stato diverso,. Io ho cercato di recuperare memorie della mia vita personale, ho guardato dentro me stesso per arrivare a comprendere a fondo il mio personaggio. Susanne è molto brava a darci la possibilità di lavorare in libertà, di riversare sul film le nostre esperienze personali.

E' vero che il film ha suscitato polemiche in alcuni paesi musulmani, in particolare in Sudan, a causa di alcune posizioni presenti nella sceneggiatura?

Susanne Bier: Mentre lavoravo al montaggio è emersa una notizia completamente priva di fondamento. Pare che l'Islam non avesse apprezzato il mondo in cui è trattata la religione islamica nel film, ma il film non era ancora completo, nessuno l'aveva visto e non poi parla in alcun modo di religlione né critica l'Islam. Non so neanche perché la polemica sia sorta, visto che nel film non faccio mai neppure il nome dello stato in cui operano i medici in missione.

Nella pellicola è presente un rovesciamento tra Oriente e Occidente. La società in cui crescono i ragazzini è piuttosto negativa, nonostante ci troviamo nella civilissima Danimarca.

Susanne Bier: Lo scopo del film è quello di spingere il pubblico a chiedersi se il mondo apparentemente ideale creato in Danimarca non sia anch'esso pieno di problemi. Per farlo ho scelto di focalizzarmi sul disagio infantile. I bambini che crescono privi di affetto e pieni di problemi familiari da grandi possono agire in modo sbagliato, al limite possono diventare piccoli terroristi. Noi pensiamo sempre che il terrorismo provenga dall'esterno, ma non è sempre così.

I bambini che compaiono nel film sono bravissimi. Come avete lavorato con loro?

Susanne Bier: I grandi attori non devono aver vissuto grandi drammi personalmente per poi riprodurli sullo schermo. In questo caso anche questi giovani attori hanno un grande talento e pur non avendo vissuto le esperienze presenti nel film hanno intuito subito cosa significa calarsi in un personaggio.

Questo film segna il tuo ritorno in Danimarca. Noi due sconosciuti ha rappresentato solo una parentesi?

Susanne Bier: Mi piacerebbe fare un altro film in America. In realtà a me non importa tanto dove faccio il film, mi interessa lavorare su storie che mi appassionino, che facciano un po' paura. Devono contenere elementi di terrore sconosciuto.

Nella tua filmografia è presente una forte riflessione sul rapporto tra l'Europa e gli altri mondi.

Susanne Bier: Si, il Terzo Mondo è stato protagonista dei miei ultimi tre film, ma sempre in forma diversa. Questo perché io credo che il Terzo Mondo sia molto simile al primo, fanno tutti parte del nostro mondo. In questo caso ci tenevo a mettere in luce le analogie presenti tra i due universi dimostrando, per esempio, quanto sia assurdo il razzismo presente nel film. Il film dimostra che ci conosciamo molto poco, ma abbiamo la superbia di pensare di poter conoscere gli altri.

Di solito le tue pellicole sono dominate dalla presenza di personaggi maschili forti. Come mai questa preferenza?

Susanne Bier: No, credo che anche i personaggi femminili presenti
nel film siano molto forti. Devo dire però che lavoro con uno sceneggiatore uomo e sono cresciuta con tre fratelli. A livello inconscio, forse, questo aspetto mi ha influenzato.