Recensione L'estate d'inverno (2007)

L'esordio nel lungometraggio del giovanissimo Davide Sibaldi è l'esempio di un cinema italiano troppo a lungo sommerso, invisibile, frustrato nelle sue ambizioni di farsi vedere, di rompere la convenzionalità dilagante che da anni si spande sui nostri schermi.

Camera senza vista

Una stanza di un motel, due personaggi in fuga. Fuori, una notte piovosa e una città straniera, ostile. Pericolosa, forse. Un rapporto sessuale consumato prima che il nostro occhio irrompa nel singolare microcosmo creato dai due protagonisti, e poi un dialogo di poco più di un'ora, in tempo reale, in cui i ruoli si definiscono e ridefiniscono, le parole ora lasciate andare come carezze, troppo a lungo trattenute, ora scagliate come pallottole, con rabbia. Finirà presto, entrambi ne sono consapevoli, anche se entrambi vorrebbero prolungarlo, rassicurati dalla singolare seppur dolorosa alchimia che tra loro si è creata. Ma forse, in qualche modo, ne usciranno ambedue cambiati. Di sicuro, con una coscienza nuova delle loro precarie esistenze.
Film a bassissimo budget, girato nel 2007 e poi passato in vari festival italiani e internazionali (da ricordare la proiezione a Roma nel 2008, nella sezione L'altro Cinema) l'esordio nel lungometraggio del giovanissimo Davide Sibaldi è l'esempio di un cinema italiano troppo a lungo sommerso, invisibile, frustrato nelle sue ambizioni di farsi vedere, di rompere la convenzionalità dilagante che da anni si spande sui nostri schermi. Ha una sensibilità europea, il film di Sibaldi, ma anche una consapevolezza e una lucidità sorprendenti, ancor più se si considera l'età del regista (19 anni all'epoca delle riprese), caratteristiche che a quanto pare hanno attirato l'attenzione di Lars Von Trier, che ha visto ed apprezzato il film. Un'ammirazione ricambiata, visto che Sibaldi ha citato il danese e il movimento del Dogma come suoi ispiratori, anche se in realtà si tratta di un riferimento soprattutto ideale: la macchina a spalla qui non è (quasi) mai presente, mentre la musica extradiegetica è un elemento fondamentale nella progressione drammatica del film. Quello che accomuna L'estate d'inverno ad alcuni film Dogma è invece l'uso di telecamere digitali che danno all'immagine un aspetto volutamente povero, oltre a una fotografia antinaturalistica e all'attenzione programmatica per l'occhio dello spettatore, voyeur ma nello stesso tempo coinvolto nell'azione, testimone silenzioso di eventi che si svolgono "in diretta", senza soluzioni di continuità.

Fausto Cabra, protagonista maschile del film L\'estate d\'inverno
Fausto Cabra, protagonista maschile del film L\'estate d\'inverno
L'aspetto visivo del film colpisce proprio per la peculiarità della fotografia, che vuole rimarcare la differenza tra un fuori e un dentro, tra un guscio creato inconsciamente dai due protagonisti e quel mondo che loro stessi hanno scelto di chiudere fuori: colori caldi, accesi, vivi in quella stanza d'albergo in cui tutte le tende sono chiuse, come a negare l'esistenza stessa di tutto il resto, freddi e metallici nei brevi scorci che vediamo dell'esterno del motel. Un set che è teatro di un gioco psicologico che lentamente si va delineando tra il diciannovenne e la prostituta che potrebbe essergli madre, con mosse e contromosse attentamente studiate, ruoli che si ribaltano in continuazione, identità fluide, continuamente ridefinite. Un ritmo sincopato, accelerazioni e decelerazioni continue che seguono gli stati emotivi dei due personaggi, ben colte da un montaggio nervoso, presente malgrado e forse proprio in virtù del tempo reale, che indaga ogni angolo di quel piccolo pezzo di mondo che i due hanno fatto proprio. Per entrambi, la voglia, l'urgenza mai sopita di comunicare, di rompere, attraverso il muro eretto dall'altro, principalmente quello che loro stessi si sono costruiti dentro. Una ricerca dolorosa, in qualche passaggio drammaticamente conflittuale, ma in qualche modo dolce e rassicurante: entrambi sono consapevoli di aver trovato nell'altro un complemento necessario, entrambi sanno nel profondo che dall'altra parte c'è un orecchio che, pur sanguinante, continuerà ad ascoltare. Quella collana appartenente a lei, che quando ritrovata segnerà la fine del loro incontro, nessuno dei due vuole veramente che torni alla sua proprietaria. E alla fine, quando l'anima di entrambi sarà stata messa del tutto a nudo, quando le maschere saranno infine calate (letteralmente, viene da dire, nel caso di lei) il mondo esterno potrà riaccoglierli: se cambiati o no, non ci è dato saperlo. Ma fa piacere sperarlo.
Pia Lanciotti in un intenso primo piano tratto dal film L\'estate d\'inverno
Pia Lanciotti in un intenso primo piano tratto dal film L\'estate d\'inverno
I due protagonisti Pia Lanciotti e Fausto Cabra, entrambi di scuola teatrale, reggono bene ai 70 minuti di durata del film caricati tutti sulle loro spalle, e considerata la praticamente totale assenza di prove (secondo quanto da loro stessi dichiarato, le battute del film sono state pronunciate per la prima volta davanti alla macchina da presa, anzi alle sei telecamere digitali che li riprendevano contemporaneamente) la loro interpretazione, quasi mai sopra le righe, è convincente, pulsante e viva.
Fa sempre piacere scoprire film italiani come questo, in cui viene portata avanti un'idea di cinema forte e in cui si cerca di innovare e sperimentare; con una visione che coniuga emotività e rigore, libertà espressiva e controllo della narrazione. E' eloquente (e sconsolante, viene da aggiungere) che i finanziamenti pubblici con la patente di "opera di interesse culturale" vengano spesso concessi a pellicole a dir poco discutibili, con logiche che evidentemente poco hanno a che fare con la qualità; mentre film come quello di Sibaldi non vengano neanche notati, e per di più debbano aspettare tre anni per trovare una minima distribuzione. Comunque, per ora accontentiamoci di questo risultato, sperando di ritrovare presto Davide Sibaldi in un'altra regia, magari su un progetto dall'impianto più corale: sarà quella la prova del nove per verificare, più compiutamente, la sua abilità nella direzione degli attori. Ma l'idea forte di cinema, e la capacità di tradurla in immagini, sono già qui indiscutibili.

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4.0/5