Recensione Adele e l'enigma del faraone (2010)

Rimanendo fedele al personaggio del fumetto, Besson dà vita a una bella eroina, spregiudicata e profonda. Ma, nonostante alcuni originali spunti comici e un bel connubio tra storico e surreale, la pellicola non convince del tutto.

Ultimo pterodattilo a Parigi

E' ancora dalla carta stampata che Luc Besson prende le mosse per il suo nuovo impegno da regista, e stavolta non è più da se stesso, come accaduto con la saga dei Minimei, che sceglie di attingere, bensì da un ben più navigato narratore: il fumettista Jacques Tardi. Rifiutato il corteggiamento di giapponesi e americani, così come di un misterioso regista francese, la sua Adèle ha infine trovato in Luc Besson, da sempre uno specialista nell'esaltare lo spirito combattivo delle donne, la personalità ideale a traghettarla verso la dimensione del grande schermo.
E bisogna dire che Adèle non è certo un tipino facile con cui trattare: giornalista freelance con un gusto per l'esplorazione che nulla ha da invidiare a quello di un Indiana Jones, la scopriamo subito intenta a intrufolarsi nei meandri di un sepolcro egizio, onde trafugare un sarcofago. Ben lontana da ogni velleità di lucro, Adèle vuole "semplicemente" risvegliare un esimio medico ormai mummificato e sottoporgli il caso clinico della sorella, ridotta a una sorta di coma da un incidente di cui la protagonista si ritiene responsabile. Per farlo avrà però bisogno della scienza del professor Esperandieu, che padroneggia i segreti dell'aldilà: peccato che il luminare sia recluso in cella in attesa della propria esecuzione, colpevole nientemeno di aver

fatto schiudere un uovo di pterodattilo. E, mentre la polizia è costretta a rivolgersi a un sedicente bracconiere nel disperato tentativo di catturare l'animale, Adèle dovrà attingere a tutte le proprie risorse, di ingegno e pazienza, per dialogare con gli strani soggetti con cui verrà in contatto.

Non stupisce che la figura di Adèle abbia fatto innamorare Besson: intelligente senza essere superba, anticonvenzionale nello spirito e non per mera ostentazione, la declinazione cinematografica della protagonista ricalca con rispetto l'originale, anche grazie all'interpretazione frizzante di Louise Bourgoin, dotata, oltre che di talento, del physique du rôle. La Adèle di Besson possiede tutta la carica sovversiva e la sensibilità di quella cartacea, e il regista francese è bravo nel dare il giusto spazio ad entrambi questi aspetti, dando vita a una protagonista dalle indiscutibili peculiarità ma che rimane vera e molto umana. La stessa misura non è però stata adottata nel delineare molti dei personaggi minori: non è tanto la loro fisicità grottesca, che dà ragione in parte del personalissimo stile di disegno di Tardi, a disturbare, quanto gli atteggiamenti e le situazioni eccessivamente caricaturali con cui vengono caratterizzati. Un espediente, questo, che sebbene possa avere un buon seguito nel pubblico più giovane (che non sembra comunque il target d'elezione della pellicola, considerate soprattutto le sequenze

più intime, che riguardano il privato di Adèle), appesantisce i pur potenzialmente piacevoli spunti comici, banalizzandoli. Meglio sarebbe stato, allora, puntare di più sulla vena surreale che contraddistingue, ad esempio, il faraone e la sua eterogenea corte, protagonisti di alcuni siparietti di autentico umorismo.

L'eclettismo di Besson gli permette di gestire con polso il contrasto tra l'ambientazione storica della Parigi di inizio Novecento e i paradossali avvenimenti di cui è sfondo, anche grazie ad una ricostruzione della città molto attenta e alla gestione, anch'essa un po' fumettistica, del montaggio e delle inquadrature. Nonostante questa scoppiettante eterogeneità, nella quale trovano spazio molti dei punti forti del cinema di Besson, primi fra tutti il gusto per l'azione e l'ambizione all'internazionalità, Adèle e l'enigma del faraone può dirsi un film riuscito solo in parte, ma che rimette comunque il regista francese su una strada a lui più confacente, rispetto alle recenti sperimentazioni.