Recensione Benvenuti al Sud (2010)

Tra il verace Siani e l'esilarante Bisio la commedia geografica 'Benvenuti al sud' affida i suoi temi regionali alla leggerenza, talvolta frettolosa, e rivela una natura fiabesca attraverso le relazioni tra i personaggi.

Pane, amore e... gorgonzola

Alberto Colombo è un modesto responsabile di un ufficio postale nella Brianza, ma la sua ansiogena moglie Silvia gli fa pressione per ottenere un incarico migliore e trasferirsi nel centro dell'adorata Milano, all'ombra del Duomo, dove i venditori ambulanti di palloncini dovrebbero, secondo la donna, rilasciare la ricevuta. L'uomo però rischia di non superare neanche stavolta la graduatoria e, preso dalla disperazione, decide, all'insaputa di Silvia, di fingersi invalido. Scoperto senza troppe difficoltà, non viene licenziato, ma subisce una punizione esemplare per un milanese che è perfino membro della prestigiosa Accademia del gorgonzola: viene trasferito per due lunghi anni giù, più giù di Bologna, più giù di Roma, in Campania. Terrorizzato dall'idea di ritrovarsi tra "terroni e camorristi" parte da solo, armato di giubbino antiproiettili e senza il Rolex, e, dopo aver finalmente superato l'incubo della Salerno-Reggio Calabria, arriva nel paesino di Castellabate, nel Cilento. A contatto con gli impiegati, Mattia, fuochista per passione, postino di professione, Maria, bella guagliuncella mediterranea e il duo Costabile, il Piccolo e il Grande, Alberto scopre una realtà e un'umanità che nemmeno immaginava.

Se il passo dalla Francia all'Italia non è così impervio, la geografia sembra riflettersi anche nel cinema con un remake che prende un pezzo della comicità francofona e la porta in quella più spontanea e meno raffinata partenopea, che ha marchiato film come Così parlò Bellavista. Con Benvenuti al sud i due bravi campani, il regista Luca Miniero (Incantesimo napoletano) e lo sceneggiatore Massimo Gaudioso, mettono a segno una trasposizione filmica che rasenta la fotocopia: stesse battute, stessa storia e stesse vicende. Nel film italiano ritroviamo perfino Dany Boon, regista della commedia originale francese Giù al nord: una strizzatina d'occhio allo spettatore più attento in ottemperanza alla regola del citazionismo postmoderno. Quello che però colpisce subito il grande pubblico è un adeguamento della tonalità, che sembra voler assecondare quella voglia d'intrattenimento leggero che richiama platee che sentono un bisogno quasi fisiologico di ridere.

A questo scopo risulta perfettamente funzionale l'umorismo verace di Alessandro Siani, ancora una volta utilizzato come macchietta, ma stavolta in un ruolo che richiama Il postino di Troisi. Nei panni di Mattia, un Peter Pan impacciato che non sa allontanarsi dal nido materno, Siani si destreggia abilmente e il controllo nella mimica, impartito dalla regia si avverte come un preciso monito a non strafare. Le sue battute s'incastrano con disinvoltura con quelle dell'allegro tandem Giacomo Rizzo-Nando Paone che, nei panni dei due Costabile, sembrano i Gianni e Pinotto all'italiana. Rizzo, che la materia più cupa di Sorrentino aveva esaltato ne L'amico di famiglia, prova a ritagliarsi uno spazio tra i protagonisti, ma il suo è un personaggio poco sviluppato e, purtroppo, la storia non gli permette di esprimere il suo talento. Gli schematismi doppi finiscono così per ritorcersi contro alcuni personaggi offuscando dei potenziali punti di forza, al contrario di quanto insegna la commedia americana, che sa sfruttare i ruoli secondari dandogli la possibilità di emergere tra una gag e l'altra.

Per contrasto invece è esilarante nella sua performance, e in sintonia con la brava Angela Finocchiaro, il ligure Claudio Bisio, che, nei panni del brianzolo coi pregiudizi, sa calibrare l'accento milanese e calcare la mano nei momenti topici come la prima cena napoletana, una delle sequenze più divertenti del film. Costruito su una serie di vistose ed esilaranti forzature, lo spassoso e sorprendente rapporto tra Mattia-Siani e Alberto-Bisio consegna agli sviluppi tematici, trattati talvolta con frettolosa faciloneria, un respiro diverso, che sposta l'asse della narrazione sul versante relazionale: la storia dell'"emigrante" passa progressivamente in secondo piano rispetto all'amore e all'amicizia, sullo sfondo di un paesaggio incantevole. L'amore viene elaborato con ricercato equilibrio portato sui due binari paralleli della crisi coniugale di Alberto e Silvia e della passione furiosa tra Mattia e Maria, una eccezionale Valentina Lodovini. A intrecciarsi con i risvolti di Pane, amore e..., e a risollevare le sorti di un film che rischia in più prese di precipitare nei fossi dei cliché da cabaret televisivo, ci pensa il tenero rapporto di amicizia tra i due protagonisti, un salto in sospeso tra un estremo e l'altro, da nord-sud, appunto, razionalità-impulsività, terra-mare fino ai prevedibili nebbia-sole e mozzarella-gorgonzola. Nell'abbraccio fraterno, metaforico e concreto, tra personaggi agli antipodi si chiude il cerchio geometrico di una commedia che ricorda, tra ironia in doppiopetto e slapstick vesuviano, la natura fiabesca e onirica del cinema, anche quello comico.