Recensione 13 assassini (2010)

Il classicismo fa capolino a tempi alterni nella filmografia di Miike che qui si confronta con lo Jidai Geki di Eiichi Kudo del 1963, dirigendo un solido remake, che nella prima parte paga lo scotto di una compassatezza evidente, ma che cambia marcia appena l'azione fa ingresso nel film.

Massacro totale

L'ormai indissolubile connoubio tra Takashi Miike e Venezia in quest'edizione passa per il remake di un classico dello Jidai Geki, ovvero il genere che racconta l'epopea Tokugawa, soffermandosi in questo caso su una banda di ronin e samurai che guidati da un nobile del tempo, cercano di porre fine al dominio sanguinolento del fratello dello Shogun, che grazie alla sua immunità sparge morte a suo piacimento in tutto il Giappone.


Gli avrà fatto male il bagno di successo e popolarità conquistatosi a manciate di grandi film o comunque avrà perso (comprensibilmente) un pò di lucidità e carica sovversiva, ma da quando Takashi Miike è diventato un regista culto e i suoi film finiscono ai grandi festival, specie qui a Venezia, il suo cinema ha perso molto mordente e si trascina un pò stancamente tra un progetto e l'altro dove rimangono più il guscio e la maniera che la vera sostanza autoriale della sua infinita produzione. E' dai tempi di Big Bang Love, Juvenile A che Miike non dirige un film di grande spessore e personalità anche questo 13 Assassini - nonostante sia il film più riuscito tra gli ultimi diretti dal superprolifico regista di Ichi the Killer - non toglie e non aggiunge praticamente nulla al suo cinema.

Il classicismo fa capolino a tempi alterni nella filmografia di Miike che qui si confronta con lo Jidai Geki di Eiichi Kudo del 1963, dirigendo un solido remake, che nella prima parte paga lo scotto di una compassatezza evidente, ma che cambia marcia appena l'azione fa ingresso nel film assicurando un intrattenimento adrenalinico e muscolare grazie al rinomato occhio del regista per la violenza iperbolica e ad alcune trovate decisamente riuscite. Se il discorso sul potere e la fame di guerra come stimolo alla vita convincono anche grazie agli accenti sempre radicali con cui Miike tratteggia i suoi villain, manca però quel tocco folle e iperrealista e che ha sempre contraddistinto i suoi film più riusciti e che qui si presenta solo in rare situazioni, limitate al personaggio del vagabondoguerriero che deride i samurai. E' attraverso la sua presenza fantastamitica (esemplare in questo senso il finale) che 13 Assassini si libera di certe pesantezze e finisce per navigare in quella soglia tra tradizione e parodia dove Miike è ancora inarrivabile.