Il duro western di Kelly Reichardt convince Venezia

Michelle Williams diserta la conferenza stampa di Meek's Cutoff, ma Bruce Greenwood e la regista Kelly Reichardt sono presenti al Lido per offrirci una prima chiave di lettura del drammatico western.

Dopo il bel L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, il selvaggio West torna in concorso a Venezia con Meek's Cutoff, pellicola diretta dalla regista Kelly Reichardt. L'autrice, una delle più interessanti e talentuose cineaste indipendenti emerse negli ultimi anni, qui al suo terzo lungometraggio, abbandona temi e atmosfere contemporanee per concentrarsi su una storia vera che si oppone ai classici miti fondanti degli Stati Uniti, il viaggio dei pionieri lungo l'Oregon Trail, pista battuta dagli emigranti che colonizzarono l'Ovest in cerca di terre e di fortuna. Michelle Williams, splendida protagonista del film già diretta dalla Reichardt nel precedente Wendy and Lucy non è presente all'incontro con la stampa, nonostante sia già sbarcata sul Lido, ma ad accompagnare la Reichardt ci pensa Bruce Greenwood, figura chiave del lavoro.

Non ha mai affrontato il genere western prima d'ora. Perché questa svolta? Perché affrontare una storia alternativa rispetto ai miti fondanti dell'America?

Kelly Reichardt: Lavoro con lo scrittore Jonathan Raymond e l'idea ci è venuta in mente dopo il caso Guantanamo. Jon ha trovato la storia vera di Stephen Meek, un uomo che aveva guidato una carovana di duecento carri nel deserto conducendoli in una zona priva di acqua. Dopodiche ha inziato a notare dei punti di contatto tra il passato e il presente perché anche l'America fino a qualche anno fa era guidata da un uomo sciocco e incapace, un uomo che non sapeva ciò che faceva.

Meek's Cutoff non è un western tipico. Come hai fatto a evitare di cadere nei cliché del genere?
Kelly Reichardt: Amo molto i film western di Anthony Mann, Monte Hellman e Nicholas Ray. Volevo utilizzare il panorama suggestivo che usano loro cambiando tematiche. Volevo vedere come l'immobilità degli spazi potesse agire in modo drammatico perciò ho spostato la cinepresa all'esterno e ho lasciato che le cose accadessero. Ho cercato di evitare i cliché e in questo mi ha aiutato molto Rod Rondeaux, l'attore che interpreta l'indiano. Rod ha imparato il linguaggio nativo e abbiamo scelto di non tradurre ciò che dice perché volevamo narrare la storia dal punto di vista degli emigranti bianchi.

Questo film è il più accessibile tra tutti quelli che hai girato. Hai fatto questa scelta per aprirti al mercato?
Kelly Reichardt: Io non conosco il mercato, vivo in un piccolo mondo e non avrei idea di come strutturare un film apposta per il mercato.

Nella pellicola è presente una forte dimensione religiosa.
Kelly Reichardt: In realtà la presenza della fede è legata al mito fondativo dell'America, alle credenze dei pionieri. Gli emigranti si recavano nel West alla ricerca di un Eden terreno perciò coloro che partivano possedevano una grande fede, usavano la Bibbia come bussola.

Bruce, come ti sei accostato al personaggio, realmente esistito, di Stephen Meek? Si è ispirato a personaggi tipici del West o ad attori del passato?

Bruce Greenwood: C'è un libro su Stephen Meek. L'ho letto, ho fatto ricerche e ho meditato a lungo con Kelly per capire quale fosse il fulcro reale del film e come strutturare il mio personaggio. Abbiamo lavorato in fretta, cercando di trovare il ritmo giusto. Non credo di essermi basato intenzionalmente su nessun modello però ho in mente molti western che mi hanno sicuramente influenzato.

Quando si racconta una storia vera occorre necessariamente confrontarsi con la veridicità storica. Ti sei preoccupata di fare ricerche specifiche o hai scelto una strada più personale?
Kelly Reichardt: La vita dei pionieri era molto dura, cruda, solitaria. Ho letto i diari di alcune donne del West che parlavano delle faccende domestiche, della vita quotidiana perciò ho cercato di ricostruire la realtà storica su base personale, pensando a cosa avrei provato io nella medesima situazione. Ho ricostruito la realtà storica partendo dai dettagli del quotidiano.

E' la seconda volta che dirigi Michelle Williams. Cosa ha portato la sua presenza nel film?
Kelly Reichardt: Mi piace lavorare con Michelle perché è una bravissima attrice. Nei due film in cui l'ho diretta abbiamo costruito il personaggio giorno dopo giorno, mentre Michelle lavorarava. Giro film molto duri, i miei attori non vivono una vita facile e Michelle è adatta a questa vita dura. Dà ai personaggi qualcosa in più rispetto a ciò che è scritto sulla pagina.

Una domanda tecnica. L'inquadratura tipica del western è il widescreen. Perché tu hai scelto di utilizzare un formato ristretto?
Kelly Reichardt: Non volevo utilizzare il widescreen perché il deserto è infinito mentre io volevo essere vicina ai miei personaggi il più possibile. Volevo evitare la grandiosità dei panorami per concentrarmi sulla situazione.

In tutti i tuoi film il paesaggio ha un ruolo chiave. Come mai questa grande attenzione alla natura e all'ambiente?
Kelly Reichardt: Il paesaggio è fondamentale perché influenza tutti noi, ci ostacola o ci favorisce nel corso dell'esistenza. E' il luogo in cui tutti viviamo, la tensione è insita proprio nel paesaggio.