Recensione Passione (2010)

Con il film documentario 'Passione' l'attore e regista italoamericano John Turturro svolge magnificamente il complesso compito di raccontare con calore e profondità la musica napoletana, fatta di mutuazioni continue tra tradizione e modernità, tra cultura autoctona e contaminazioni straniere.

Carosello napoletano

"Ci sono posti in cui vai una volta sola. E poi c'è Napoli": è chiaro fin dalla prima battuta nella sua gioiosa dichiarazione d'intenti il regista John Turturro, che nel documentario Passione rende un emozionato e affettuoso omaggio a Napoli attraverso la "valanga" della sua musica. E' difficile ritrarre la città del sole e pure all'ombra del Vesuvio, della calorosa dolcezza della sua gente e dell'amarezza che calca i solchi sui visi dei suoi abitanti, della spontaneità di chi ci cresce e della protesta di chi vi lotta, dell'amore per la vita che allunga le sue radici e del dolore che porta nel cuore chi è costretto a lasciarla per amigrare. Nel corso del tempo ci ha pensato la musica a esprimere attraverso la declinazione dei suoi temi più svariati il pensiero napoletano: una concezione della vita, dell'amore e della cultura che fa eccezione rispetto a tutto il resto del mondo. Eppure il paradosso è che in quella stesa visione delle cose i napoletani, inconsciamente o no, volenti o meno, hanno saputo produrre i più incredibili incroci di culture differenti.


Se è singolare che sia un non-napoletano e addirittura un non-italiano a tentare l'ambiziosa impresa di ripercorrere la storia della musica classica popolare di un'etnia che ancora oggi canta e balla per strada perfino quando non ne dovrebbe avere alcun motivo, meno sorprendente è invece il fatto che quella voce straniera sia dell'americano Turturro, che ha fatto di Napoli la sua seconda città dopo aver portato in scena le opere del grande Eduardo De Filippo. E' a lui, attore e regista cinematografico e teatrale, che è stato affidato il compito quanto mai complesso di rappresentare una parte essenziale dei napoletani, una componente fondamentale per comprenderne l'anima. Passione è un film documentario di notevole impatto emotivo per chi sa guardarlo e ascoltarlo: le immagini, girate ai nostri tempi o di repertorio, sono attaccate come benevole meduse ai testi di canzoni che hanno fatto la storia della musica napoletana e permettono allo spettatore già informato di apprezzarne la profondità e a quello fino ad allora all'oscuro di scoprirne ed elaborarne le particolarità. Sequenze commoventi e divertenti si susseguono e si alternano catturando la simpatia del pubblico, prima addolcendolo, poi facendolo (sor)ridere.

Turturro ha il merito di non aver portato sul grande schermo una storia neutra, quasi anestetizzata, come avrebbe potuto uno sguardo estraneo, ma di raccontare la Storia napoletana della musica, delle sue straordinarie canzoni e delle sue fenomenali voci rinunciando ai canoni tradizionali della narrazione e intervallando in maniera estremamente equilibrata performance di cantanti e attori che si esibiscono sullo sfondo del centro storico della città, immagini che la riprendono nei suoi punti focali, dai Quartieri Spagnoli al Castel Sant'Elmo, testimonianze della gente che affolla i suoi vicoletti e scene-reperti del dopo Guerra. Passione ci accompagna in un viaggio che non scade mai nella superficialità di chi osserva il folklore con curiosità e ne ride per l'incomprensione, ma lungo tappe storiche e recenti di un quadro che non può avere uno stile perché, tra quello arabo, quello spagnolo, quello francese e quello americano, ne ha davvero tanti.

Non è un percorso temporale lineare perché Turturro deve aver capito che tradizione e modernità si mescolano a Napoli come in un abbraccio fraterno, in una contaminazione affascinante che riformula e scardina continuamente come fanno i maestri presepiali ogni anno. Così ci ritroviamo di fronte ai giovani Spakka-Neapolis 55 e al duetto di Peppe Servillo con la portoghese Misia, dal trio composto dal cantante Raiz, da Pietra Montecorvino e dalla tunisina M'Barka Ben Taleb a Enzo Avitabile che esegue un brano con i "bottari"; dal cantante e sassofonista James Senese che suona la canzone che dà il titolo al film all'attore "mimico" Peppe Barra che inscena al Castel dell'Ovo una simpatica rappresentazione di "Don Raffaè", dalla commovente sceneggiata di "Malafemmena" con Lina Sastri e Massimo Ranieri al divertentissimo videoclip di "Caravan Petrol" con Fiorello, Max Casella e lo stesso Turturro in cerca del petrolio in cima al Vesuvio, dalla poetica e suggestiva interpretazione del Canto delle lavandaie del Vomero fino al simbolico "Napul'è" che ci porta verso il finale. Il regista non solo è riuscito a calarsi e a proiettarci nella multiforme realtà napoletana attraverso le sue note, ma ha realizzato e trasmesso una componente primaria del popolo di Napoli: se date la musica a un napoletano, lui dimentica per la sua durata tutte le sue miserie e si mette a ballare immedesimandosi nella canzone perché ne ha bisogno. Turturro ci ha dato la musica napoletana, arrangiata magistralmente da esponenti fondamentali come Enzo Avitabile ed Eugenio Bennato, e la sua passione (tanto del cineasta quanto delle canzoni) è capace di catturarci per tutto il tempo di questo incantevole film.