Recensione Hai paura del buio (2010)

Un'opera prima che sorprende per l'acutezza e la penetrazione dello sguardo e una fiducia nel potere dell'immagine sempre più rara tra i registi italiani. Massimo Coppola ha occhio per i volti e le cose e una sua cifra stilistica tutt'altro che trascurabile, eppure nel momento di tirare le somme il suo film perde un po' le fila del discorso.

A proposito di Eva

Eva ha vent'anni e vive a Bucarest, lavorando in una fabbrica. L'improvvisa perdita del suo lavoro la induce a muoversi verso l'Italia, in direzione di Melfi, sperduto paese in provincia di Potenza, noto per l'enorme insediamento della Fiat. Giunta a destinazione trova ospitalità casuale nella famiglia di Anna, sua coetanea, operaia della Fiat, già indurita dalle difficoltà della sua condizione. Dedicandosi alla nonna malata di Anna, Eva riesce a rimanere a Melfi, con lo scopo di ritrovare sua madre che l'ha abbandonata a Bucarest, nove anni prima, preferendo vivere in Italia e espiando la vigliaccheria del suo comportamento attraverso l'invio di soldi a casa.


Dopo essersi fatto le ossa col documentario, Massimo Coppola approda alla sua opera prima di fiction sorprendendo per la densità e il controllo del suo cinema e per una fiducia nel potere dell'immagine sempre più rara tra i registi italiani. Hai paura del buio si confronta con le difficoltà del contemporaneo, rientrando in fabbrica e in famiglia, raccontando un mondo sociale alla deriva, attraverso il percorso parallelo delle due protagoniste, entrambe abili nel sottolineare le sfaccettature dei loro personaggi e sfuggendo dalle trappole pedanti del cinema civile sull'immigrazione. Ma se Erica Fontana a volte non riesce a scrollarsi di dosso un'eccessiva durezza, come nella frettolosa sequenza in discoteca, Alexandra Pirici (che avevamo già visto in Un'altra giovinezza) è una sorpresa notevole e Coppola ne segue il percorso pedinandola con i tempi giusti, fino al climax emotivo rappresentato dal lunghissimo piano sequenza del suo confronto con la madre, unico momento in cui la parola detta legge in un film che ha il coraggio di raccontare attraverso gli sguardi, gli spazi e i particolari. Sequenza coraggiosa costruita su una fine scrittura e sul volto e la fisicità eccellenti della Pirici che conferma, anche all'interno di una produzione italiana, che la gran parte della fortuna del nuovo cinema rumeno sta anche in una generazione di interpreti e di volti di grande intensità.

Eppure Hai paura del buio pare finire cannibalizzato dalla centralità assoluta della sequenza appena descritta, rendendo molto meno deciso e centrato il percorso narrativo successivo. Grava infatti sul finale l'evidente difficoltà di tirare le fila di un discorso che appare strozzato in quello scambio di battute conclusive un po' maldestro che finisce per comunicare il timore che non si sia stabilita la giusta connessione tra i due personaggi. Ma Coppola ha occhio per i volti e le cose e una sua cifra stilistica tutt'altro che trascurabile fatta di un uso intelligente della macchina a mano, sottolineature ricercate e un uso tagliente delle musiche, dove si saccheggia a piene mani dalla new wave e in particolare dai Joy Division che quasi monopolizzano lo score.