Recensione Il cigno nero (2010)

Rispetto al precedente The Wrestler, Black Swan risulta un film imperfetto, ma la grazia e la forza sprigionatesi durante la visione non possono esimerci dal ritenere Aronosfky uno dei registi più affascinanti e talentuosi attualmente in circolazione.

Un cigno di nome Natalie

La potenza del cinema di Darren Aronofsky deflagra ancora una volta a Venezia. Dopo l'apice toccato con l'incredibile Requiem for a dream e il passo falso compiuto con l'ambizioso pasticcio L'albero della vita, il visionario regista newyorkese ha ripensato il proprio lavoro a partire dalle fondamenta. Abbandonate le acrobazie virtuosistiche e la densità degli esordi, Aronofsky è ripartito dagli attori, dalla carne e dal sangue (versato in abbondanza). Se lo sconvolgente The Wrestler era costruito interamente sulle cicatrici - vere e fictional - del selvaggio Mickey Rourke, Il cigno nero si nutre della delicata leggiadria e dell'intensa espressività di Natalie Portman. Il talento indiscusso dell'attrice, mai così luminosa, le permette di caricarsi sulle spalle una pellicola impegnativa sotto tutti i punti di vista.

Thriller psicologico sottilmente perverso nella prima parte, Black Swan vive di un crescendo che esplode nella messa in scena del balletto finale, l'iconico Il lago dei cigni di Chaikovskij. Nella costruzione de Il cigno nero Aronofsky poteva percorrere due strade diverse. La più naturale era quella che l'avrebbe portato a premere l'acceleratore sul dramma psicologico di stampo naturalistico, lavorando sulla psiche contorta della sua prima ballerina, la fragile Nina (Natalie Portman), sulle sue fobie e sulle profonde insicurezze che la portano a lacerarsi la pelle, a vivere succube di una madre affettuosa, ma frustrata (l'inquietante Barbara Hershey), e della propria frigidità emozionale. Un Eva contro Eva ambientato nel suggestivo mondo della danza classica, insomma. Il percorso più naturale e, forse, quello meno rischioso. Ma Aronofsky non è un autore disposto a farsi tentare dalla via più più facile. Ecco che Il cigno nero abbandona ben presto il sentiero del realismo per avventurarsi in quello ben più impervio del thriller/horror, universo iconografico prediletto dal visionario regista. Il rischio tangibile è quello di perdere di vista la misura, di eccedere in effetti speciali truculenti e in scene disturbanti. Dobbiamo ammettere che in almeno un paio di occasioni, soprattutto nella seconda parte del film, Aronofsky sfiora il limite dell'accettabile, ma sapientemente si dimostra capace di compiere un passo indietro e senza dubbio gran parte del merito va attribuita alla straordinaria performance della Portman, capace di riequilibrare ogni eccesso là dove un'altra attrice avrebbe ceduto sotto il peso del gore e del soprannaturale, per non parlare del ritorno ossessivo del doppio, tema ampiamente abusato nel cinema di genere, qui trasformato in un vero e proprio leitmotiv.

Come nel caso di The Wrestler, anche ne Il cigno nero la macchina da presa, rapida e nervosa, non si scolla un attimo dalla sua protagonista fotografandone impietosamente ogni minimo cedimento, ogni debolezza, ogni fremito e la Portman si dimostra capace di sostenire l'occhio voyeuristico ribattendo colpo su colpo, rispondendo al pedinamento estremo con una performance incredibile che rende lieve e credibile anche una complessa scena di autoerotismo. Purtroppo il resto del cast non sempre viene sfruttato altrettanto bene, probabilmente a causa di una sceneggiatura sbilanciata in direzione della sua protagonista. Poco più di un cameo la presenza della rediviva Winona Ryder, qui nei panni dell'étoile mandata precocemente 'in pensione' per far posto alla giovane sostituta, piacevole, ma didascalico anche il coreografo sciupafemmine interpretato da Vincent Cassel. Quanto al ruolo affidato all'intrigante Mila Kunis, la sua Lily offre ottimi spunti interpretativi, tra cui una lunga scena di sesso lesbo insieme alla Portman, ma lo sguardo selvaggio dell'attrice svela fin da subito la natura controversa del personaggio affidatole sacrificando un po' dell'ambiguità necessaria al ruolo. Alla fine dei conti Il cigno nero risulta un film imperfetto, meno viscerale rispetto al lavoro precedente e puntellato di tocchi horror che inevitabilmente faranno storcere il naso ad alcuni, ma la grazia e la forza sprigionatesi durante la visione del film non possono esimerci dal ritenere Aronosfky uno dei registi più affascinanti e talentuosi attualmente in circolazione.

Movieplayer.it

4.0/5