Recensione Pietro (2010)

Un grande ritorno, quello di Daniele Gaglianone, che muovendosi da uno spaccato allucinato della periferia torinese e dal difficoltoso rapporto tra due fratelli, le cui parabole esistenziali annaspano ai margini della società, restituisce un'immagine dell'Italia livida, amarissima e fondamentalmente veritiera.

Mio fratello è unico

Due fratelli alla deriva. Mesti paesaggi di periferia alla deriva. Scorci di un'Italia feroce alla deriva. L'umanità stessa alla deriva, se in questo progressivo ampliare gli orizzonti e universalizzare il discorso volessimo abbattere d'un colpo quella diga, che trattiene ormai a stento il più che comprensibile scetticismo di Daniele Gaglianone nei confronti della società contemporanea. Un pessimismo che è anche il nostro, che coincide con lo sguardo allucinato e perplesso di chi ha sufficiente empatia, da restare sgomento di fronte al generale imbarbarimento cui si sta inesorabilmente andando incontro, un imbarbarimento testimoniato da molteplici casi di cronaca, casi di violenza famigliare, casi di inaridimento dei rapporti umani, casi di sopraffazione dei più deboli da parte del branco, casi di indifferenza eletta a sistema.
Testimone privilegiato, in quanto dotato degli strumenti per comprendere e riprodurre l'essenza più profonda di questa desolante realtà, Daniele Gaglianone è a nostro avviso uno degli autori italiani più talentuosi e maturi emersi negli ultimi quindici anni. Se pescando tra i primi cortometraggi, del resto, ve ne erano già diversi in grado di documentare uno sguardo assai preciso, motivato, personale, con I nostri anni avevamo poi assistito a un esordio di amara, folgorante bellezza. La rievocazione delle vicende partigiane e il nesso doloroso con il presente si nutrivano di appropriatissime scelte di montaggio e di un sontuoso bianco e nero, come di una linfa vitale capace di rimettere in moto coscienze ammuffite.

Reduce da un periodo difficile che, però, ha visto venire alla luce uno dei documentari più belli e strazianti sulle conseguenze della guerra nell'ex - Yugoslavia, quel Rata Nece Biti (Non ci sarà la guerra) premiato nel 2009 col David di Donatello, il cineasta piemontese è tornato alla carica con un lungometraggio di finzione per nulla accomodante, di quelli che costringono anzi lo spettatore a starsene meno comodo sulla poltrona. Ecco perciò quegli angoli della periferia di Torino che, fotografati con maestosa e seducente perizia da Gherardo Gossi, si riducono ad ospitare esistenze allo sbando come quelle di due fratelli carichi di problemi, Pietro e Francesco, o del sedicente amico Nikiniki, il piccolo spacciatore del quartiere che rifornisce di "roba" lo stralunato Francesco. Ma è Pietro, considerato un ritardato dai bulli del quartiere e pure da chi lo sfrutta sul lavoro, il vero fulcro delle piccole e grandi sopraffazioni che avvengono intorno a lui, sia come vittima predestinata di qualsiasi burla o intimidazione psicologica, che come testimone di un degrado dalle mille forme. Continuerà a subire o entrerà anche lui nel perverso ingranaggio?
Col protagonista, impersonato da un Pietro Casella di straordinaria intensità, si fanno apprezzare anche gli altri interpreti (in particolare Francesco Lattarulo nel ruolo del fratello e Fabrizio Nicastro in quello di Nikiniki), icone perfette di quel sistema sociale pericolante che, nel corso del film, verrà mestamente confutato tramite lo squallore in cui tende a naufragare ogni rapporto umano.
Sguardo apparentemente caotico ma ordinato, in realtà, come una partitura musicale, il film di Gaglianone sembra persino suggerire qualche segno di contiguità col cinema di Davide Manuli, sia per il modo di indagare gli spazi metropolitani che per l'uso estremamente espressivo del montaggio, del sonoro, delle musiche stesse.
Pietro, poi è un protagonista indimenticabile, simile per vocazione a certi personaggi della letteratura slava la cui presunta idiozia è sguardo differente sulla realtà, vicino anche a certe figure del cinema di Michael Haneke e Pintilie la cui rabbia repressa è pronta ad esplodere all'improvviso, ma soprattutto carico di quelle inquietudini sommerse, diffuse, che sanno parafrasare così bene il marasma etico ed ideologico dell'Italia di oggi.