Klass - Elu pärast: Gioventù (non) bruciata

Il cinema dell'est europeo ha regalato negli ultimi anni opere di grande pregio alla platea internazionale, e se la qualità dei loro prodotti per la televisione è la stessa di 'Klass: Elu Parast' vuol dire che l'Italia, oltre a quelli d'oltreoceano, deve imparare a guardare ad un altro illustre referente.

Film come Bowling a Columbine o L'onda hanno dimostrato il recente interesse della cinematografia per le problematiche giovanili, specie quelle in cui il disagio sociale e la spasmodica necessità di entrare a far parte del gruppo dei vincenti ha dato vita alle conseguenze più drammatiche. Anche il cinema estone ha dato il proprio contributo all'argomento, con il film Klass, di cui il RomaFictionFest presenta l'ideale prosecuzione, costituita da una miniserie in due puntate ad opera della regista Gerda Kordemets.
La storia prende il via subito dopo la conclusione del film: due giovani studenti liceali sono stati gli artefici di una sparatoria nella mensa del liceo, ferendo molti dei loro compagni e addirittura uccidendone alcuni. I sopravvissuti devono ora affrontare la tragedia, ma mentre la maggioranza dei compagni non ne sembra scossa, la professoressa di matematica sente su di sé tutto il peso della responsabilità di aver contribuito a formare una generazione, per dirla con le sue parole, di "senza cuore", in cui la solidarietà e l'amicizia hanno lasciato il posto alla smania di protagonismo e all'umiliazione dei più deboli. La vicenda è incentrata sul punto di vista di Kerli, una delle ragazze emarginate della classe che, dopo la sua fuga in seguito alla sparatoria, è accusata più o meno velatamente di aver conosciuto in anticipo i piani dei due compagni, e di non aver fatto niente per impedire la strage. La ragazza, però, ha la sola colpa di non essere particolarmente glamour e popolare, ma la sua solitudine le darà la forza di denunciare le ingiustizie che hanno contribuito a creare le condizioni per la tragedia.

Klass: Elu Parast affronta un tema complicato e difficile con coerenza ed onestà, proponendosi di dare voce alle istanze che generalmente rimangono inascoltate senza offrire lo spunto per facili giustificazioni o amnistie. La ricerca della verità operata da Kerli che, unica nel suo gruppo, ha la forza di andare oltre l'ipocrisia e di collegare le squallide umiliazioni a cui i due compagni erano sottoposti quotidianamente con l'istinto di vendetta che deve averli animati nei loro attimi di follia, non è certamente sufficiente a dare il senso della morte di ragazzi giovanissimi, magari stupidi, magari odiosi, ma non meritevoli di un simile castigo. Kerli, e la regista con lei, vogliono solo denunciare la verità che sta dietro al gesto eclatante, per capire, senza avere la presunzione di darne una spiegazione totale ed esauriente, la realtà di un mondo che molto spesso gli adulti si rifiutano o sono incapaci di vedere. La cosa che più ferisce, della cruda e disincantata messa in scena della vicenda, non è tanto il substrato di odio e disprezzo che ha fatto da premessa al gesto di esasperazione degli omicidi, ma la volontà successiva di mantenere l'omertà, come se la propria piccola rispettabilità di studenti valesse il prezzo del silenzio e dell'indifferenza. Questi ragazzi che, pur di stare fuori dai guai, sono disposti a far finta di niente, a considerare i loro compagni morti quasi come se non fossero mai esistiti, fanno ancora più paura di quelli che, prima, si atteggiavano a bulli o persecutori: perché la violenza deliberata è meno terribile dell'ignoranza deliberata, del rifiuto di capire e di riflettere sulle proprie responsabilità. C'è da augurarsi che al mondo esistano più ragazze come Kerli, magari meno carine delle altre, e con un atteggiamento più indisponente, ma che non sono disposte a tacere, a passare sopra con leggerezza alle ingiustizie.

La forza nel film, oltre che nel messaggio, sta anche nella qualità degli attori che, seppur giovanissimi, impartiscono una sonora lezione ai piccoli divi italiani, e della regia che, grazie ad una fotografia desaturata e all'uso di una dominante color seppia, riesce a rendere con notevole impatto (al quale contribuisce l'ottima colonna sonora) l'atmosfera opprimente e desolante di questo spaccato della gioventù contemporanea. La regista gestisce bene anche i personaggi adulti, come quello della già citata professoressa, piegata nell'animo dalla perdita della speranza in un futuro di cui questi ragazzi saranno gli artefici, o quella dello psicologo, le cui parole vuote, e i gesti rigidamente codificati, difficilmente potranno essere d'aiuto a problemi reali, distanti anni luce da quelli descritti dai libri. Molto toccante è anche il rapporto tra Kerli e la nonna, tratteggiato con delicatezza dalla regista, capace di trasmettere tutta la forza e la profondità del sentimento speciale che spesso unisce nonni e nipoti, che offre quella comprensione e quell'accettazione incondizionata a volte negata perfino dai genitori.
Il cinema dell'est europeo ha regalato negli ultimi anni opere di grande pregio alla platea internazionale, e se la qualità dei loro prodotti per la televisione è la stessa di Klass: Elu Parast vuol dire che l'Italia, oltre a quelli d'oltreoceano, deve imparare a guardare ad un altro illustre referente.