Recensione Butterfly Zone - Il senso della farfalla (2009)

Non una parodia in senso stretto, ma nemmeno un'elaborazione postmoderna di contaminazione dei generi, oscillante tra suggestioni surrealiste e ben più prosaiche battute in romanesco, 'Butterfly Zone - Il senso della farfalla' produce un effetto straniante agli occhi dello spettatore.

L'Aldilà del genere

Un film come Butterfly Zone - Il senso della farfalla, al di là dei suo effettivi meriti estetici e artistici, risulta sintomatico della condizione in cui versa il cinema di genere in Italia da ormai oltre un trentennio. Emblematico è anche il fatto che l'opera d'esordio di Luciano Capponi (a tutti gli effetti una commedia grottesca, solo in apparenza travestita da fantasy e da thriller ) sia stata insignita del Premio Méliès come miglior film fantastico al Fantafestival 2009 proprio per la sua "capacità di toccare più generi". Essendo defunta da tempo l'industria cinematografica del nostro Paese, è come se ormai si riuscisse a mettere in scena solo la morte del genere, giunto ormai a una sorta di indefinibile "Aldilà" dove ha perso del tutto i suoi connotati costitutivi, finendo per essere caratterizzato soltanto dall'ibridazione, dalla mescolanza e dal pastiche più o meno (auto)ironico.

Morta e sepolta l'industria da ormai un trentennio, si diceva, gli ardimentosi che vogliono cimentarsi nel genere sono soltanto pochi cani sciolti, molti dei quali riescono a muoversi solo nel sottobosco indipendente e spesso invisibile (con risultati a volte non disprezzabili, ma sempre condizionati dall'improvvisazione e dall'amatorialità). A emergere in ambito mainstream sono invece alcuni sparuti registi, in molti casi cinefili che tentano di riproporre in chiave nostalgica e citazionista il cinema dei loro beniamini, come di recente ha fatto con successo Federico Zampaglione e qualche anno prima i Manetti Bros e Alex Infascelli.
Nel mezzo rimane un magma residuale e indistinto, composto molto spesso da autori esordienti che si decidono a sperimentare i meccanismi di genere senza possederne però la benché minima consapevolezza. Alcuni di questi film, avvolti da un'indiscutibile patina di "serie B", riescono anche a uscire in poche copie nelle sale (rigorosamente nelle torride settimane estive). L'anno scorso era toccato ad esempio a Visions e Smile. Non a caso si tratta quasi sempre di film (come il decisamente più riuscito Imago Mortis) carichi di un'atmosfera funerea, deprimente e crepuscolare, che tematizzano in maniera più o meno consapevole proprio la morte del genere, un po' come se si tentasse di rianimare un cadavere ormai mummificato da diversi decenni.

Il caso di Butterfly Zone - Il senso della farfalla è ancora più particolare. Il regista Luciano Capponi è soprattutto un autore teatrale e televisivo, che si cimenta per la prima volta con il Grande schermo. Il risultato è un film che, pur richiamando nel soggetto insolito e bizzarro echi di fantasy e di thriller, si risolve in una lunga sequela di scene dialogate, nella maggior parte dei casi del tutto svincolate le une dalle altre. Nel passaggio da teatro a cinema Capponi sembra aver confuso il linguaggio cinematografico con la mera tecnica. Non basta prodursi in raffinati e vorticosi movimenti di macchina per "fare cinema". È necessario impiegare ogni elemento della realizzazione cinematografica - inquadratura, interpretazione, montaggio - in modo da dare vita a una progressione del racconto, che presenta uno sviluppo narrativo coerente e organico (aspetto questo fondamentale almeno per la produzione di genere).

Pur partendo da un plot quantomeno curioso e inusuale - che ruota attorno all'idea di una bottiglia di vino Caresse de Roi che funge da tramite per raggiungere l'Aldilà - Butterfly Zone finisce per essere un UFO: oggetto non identificato, materia non plasmata in una configurazione precisa, in cui forse l'unico riferimento lontanamente rintracciabile è la commedia farsesca Mortacci di Sergio Citti. Incapace di definirsi come una parodia in senso stretto, ma nemmeno come un'elaborazione postmoderna di contaminazione dei generi, oscillante tra suggestioni surrealiste (affascinante per lo meno la cittadella dell'Aldilà, filmata nell'onirica Scarzuola di Montegiove) e ben più prosaiche battute in romanesco, Butterfly Zone produce un effetto straniante agli occhi dello spettatore.

Schizofrenico è perfino il cast, la cui scelta sembra perseguire la medesima vocazione all'ibridazione e al miscuglio. Accanto ai protagonisti Francesco Martino e Pietro Ragusa troviamo infatti, in piccole parti, Giorgio Colangeli, Francesco Salvi, Barbara Bouchet e persino l'ex campione di boxe Patrizio Oliva. Se non altro dal punto di vista commerciale è almeno apprezzabile il tentativo di creare un'operazione di marketing, abbinata al product placement del vino Caresse de Roi prodotto dalla Tenuta Ronci di Nepi. Ma, più o meno sullo stesso tema (vale a dire la contaminazione dei generi in chiave etilica) ha fatto di meglio un piccolo film autoprodotto, Bumba Atomika di Michele Senesi, molto meno raffinato nella confezione, ma di certo più sanguigno e autoironico.