Recensione 18 anni dopo (2010)

Edoardo Leo sceglie il road movie per debuttare dietro alla macchina da presa; il risultato è un film 'comodo', ma scritto con brio e ben recitato da un gruppo di attori bravi e affiatati.

Tre per la strada

Mirko (Edoardo Leo) e Genziano (Marco Bonini) sono due fratelli che non si parlano più dal giorno della morte della madre, perita in un misterioso incidente stradale nei pressi di Scilla. Quella che avrebbe dovuto essere una spensierata vacanza al mare, si è trasformata in un dramma durato diciotto anni, un lasso di tempo che non ha sanato alcuna ferita. Mirko, afflitto da una balbuzie quasi cronica, ha messo su famiglia con Mirella, la fidanzata di sempre, gestendo tra alti (pochi) e bassi (tanti) l'officina del padre Marcello. Genziano invece si è costruito una carriera come broker a Londra, calato completamente nel ruolo del 'workaholic'. Alla morte del padre i due sono costretti a ritrovarsi per realizzare le ultime volontà del genitore: essere cremato e posizionato vicino all'amata moglie, nel piccolo cimitero calabrese dov'è stata seppellita. Il viaggio si rivela più difficile del previsto e non solo per i problemi meccanici provocati dalla vecchia Morgan, la splendida auto d'epoca riparata con pazienza certosina da Marcello, dopo l'incidente mortale in cui è stata coinvolta la consorte. Così, mentre i due protagonisti, tra mille peripezie tragicomiche e incontri 'magici', come quello con l'autostoppista Cate (Eugenia Costantini), cercano di arrivare a destinazione, a Roma Mirella ed Enrico, il nonno di Mirko e Genziano, ricostruiscono a fatica il puzzle di quella tragica giornata in cui morì la madre dei ragazzi.

Due fratelli agli antipodi, un lutto 'irrisolto' del passato, un altro molto recente che costringe a rivedere tutta la propria vita; infine il viaggio, l'unica strada percorribile per chiudere tutti i conti in sospeso con se stessi e con gli altri. Edoardo Leo, attore di ottimo livello, ha scelto questo percorso narrativo lineare per il debutto dietro alla macchina da presa come regista di 18 anni dopo. Non è facile imbattersi in un film orchestrato con brio, diretto senza troppi fronzoli e infine ben recitato. L'alchimia è riuscita grazie ad una storia non proprio nuovissima, padroneggiata però con una certa dimestichezza dall'autore capitolino, che ha impiegato circa dieci anni prima di riuscire a concretizzare il suo progetto.

Oltre all'indiscutibile pazienza, il merito di Edoardo Leo è quello di aver curato nei minimi dettagli scrittura e direzione degli attori. Dov'era in agguato la lacrima facile, Leo ha esaltato la situazione buffa, se non addirittura comica; sempre in nome di una semplicità stilistica che è il giusto mezzo per raccontare una storia che è un'arma a doppio taglio. Il tema del viaggio, geografico ma non solo, è infatti l'elemento più ricorrente in ogni 'favola' che si rispetti. In questo caso è servito a cadenzare, con toni molto leggeri, l'evoluzione del rapporto dei due fratelli, tormentati da sensi di colpi che li hanno imprigionati in una palude di sentimenti. Proprio per le ottime premesse e per la buona maturità dimostrata, Leo poteva osare qualcosa di più rispetto ad una 'comoda' rappresentazione dei discorsi di sempre sulla precarietà dei tempi e sul difficile rapporto tra fratelli; ma questo road movie alla romana, con un pizzico di fatalismo calabro, non è affatto un'occasione sprecata. Merito di una sceneggiatura per nulla scontata, scritta a sei mani dallo stesso Leo con il co protagonista della commedia, Marco Bonini, e Lucilla Schiaffino.

Cast in palla, con preziose 'incursioni' di Carlotta Natoli (da applausi la sua logorroica apparizione), Vinicio Marchioni e Max Mazzotta. Sabrina Impacciatore, che intepreta Mirella la moglie di Mirko, è brava nel delineare il carattere di una donna giovane eppure già duramente provata da un'esistenza scandita da sacrifici e pochissime soddisfazioni. A lei spetta il compito di duettare con un mostro sacro come Gabriele Ferzetti (Enrico), l'unico a sapere la verità su tutta la vicenda e a difendere strenuamente l'onore dei 'vecchi'. Divertente, a tal proposito, il gioco che fa con il figlio di Mirko, il piccolo Tommaso Olivieri, un bambino sveglio che rielabora la morte di nonno Marcello, discutendone sempre e solo con il bisnonno, costretto per amore a fingere di essere un caro estinto. E' uno dei momenti più riusciti del film, che è anche una simpatica riflessione sul 'grande addio'. Quando il 'trucco' riesce il risultato è davvero esilarante, come nel monologo di Valerio Aprea (uno dei tre sceneggiatori folli della serie televisiva cult Boris) che tranquillizza Mirko con una dettagliata 'radiocronaca' di una cremazione tipo. Il risultato è straniante al pari di un telegramma in cui si legge 'vivissime condoglianze'. Sul momento si resta perplessi. Poi, malgrado tutto, un sorriso finisce per spuntare.

Movieplayer.it

3.0/5