Tognazzi e Fragasso presentano Le ultime 56 ore

Presentato a Roma il dramma bellico che per la prima volta in Italia affronta la triste vicenda dei militari italiani colpiti da leucemia dopo essere entrati in contatto con l'uranio impoverito nelle zone di guerra del Kosovo.

Non poteva essere che Claudio Fragasso - regista d'esperienza, anticipatore di tendenze, cultore di generi come il poliziottesco, l'horror e il thriller, cineasta di grande coraggio già autore di Teste Rasate, Palermo Milano solo andata e Milano-Palermo: Il ritorno - a portare sul grande schermo la triste vicenda dei militari italiani partiti sani e tornati dalla missione di pace in Kosovo con una condanna a morte, quella della leucemia e altre gravi forme tumorali causate dalle scorie radioattive diffuse nell'aria dalle armi di altri eserciti nelle stesse zone. Le armi fabbricate con uranio impoverito usate tra gli altri da Francia e Usa e maneggiate dai nostri militari hanno causato gravissimi danni a loro e alle loro famiglie e dopo dieci anni di lotta legale, nel 2009 sono arrivate le prime sentenze che riconoscono gli indennizzi alle vittime di questo disastro rimasto per anni insabbiato.
Protagonista di questa storia d'amore e guerra, che si posiziona a metà tra cinema di genere e di denuncia, Gianmarco Tognazzi nei panni del Tenente Colonnello Moresco, un ufficiale con un forte senso del dovere, uno stratega reduce dal Kosovo che sfidando l'omertà organizza una violenta azione dimostrativa per dire basta alle missioni suicide come quelle che hanno visto protagonista lui stesso e il suo gruppo di commilitoni. Un film drammatico che intreccia a questa storia anche quella privata della famiglia del commissario di polizia Manfredi, interpretato da Luca Lionello, chiamato a negoziare con i rivoltosi proprio nel momento in cui scopre che la moglie è affetta da una rara forma di leucemia fulminante.
Scritto, come molti dei film di Fragasso, da sua moglie Rossella Drudi, Le ultime 56 ore nasce da suoi accurati studi sull'argomento come idea per un romanzo, trasformato dal marito successivamente in un film per il grande schermo con lo scopo di dare voce a tutte quelle famiglie che porteranno ancora a lungo i segni di questa ingiustizia.
Distribuito da Medusa in circa 160 copie da venerdì 7 maggio, Le ultime 56 ore vede impegnati nel cast anche Barbora Bobulova, Luigi Maria Burruano, Simona Borioni, Francesco Venditti, Maurizio Merli, figlio e omonimo dell'indimenticato attore di Roma violenta e Roma a mano armata, e la giovane Nicole Murgia. Tutti presenti stamattina alla Casa del Cinema insieme alla sceneggiatrice Rossella Drudi, al regista e al produttore Carlo Bernabei che con la sua Heles Film ha coraggiosamente prodotto il film che rappresenterà l'Italia domenica 9 maggio prossimo, in occasione della giornata dell'Europa, nella rassegna presentata da UGC Ciné Cité che proietterà nei 'suoi' cinema di sette grandi città europee 27 film che illustreranno le diversità culturali di tutti i 27 paesi membri dell'Unione Europea.

Com' è nato il progetto? Dalla vostra predilezione per il cinema di genere o da altro? E' inusuale vedere in un film due forze armate (l'Esercito e Polizia/Carabinieri, ndr) contrapporsi in maniera così forte...

Claudio Fragasso: Ho sempre giocato coi generi ma sempre con rigore: cerco di portare al cinema sempre qualcosa di alternativo e di renderlo accessibile a tutti, vedo il cinema di genere come una terza 'porta' dopo la commedia e l'impegno. In questo film c'è l'action, il thriller e il sentimentalismo. Noi italiani siamo molto abili a realizzare buoni film con budget ridotti che esplicitino un importante connubio tra il cinema di genere e quello di contenuto. Vi stupite di questo ma non sapete che il mio prossimo film vedrà contrapporsi poliziotti contro i marines, mi diverte molto questa cosa, sarà un film con molta commedia. Amiamo anche prenderci in giro qualche volta.

Signora Drudi, come ha costruito questa sceneggiatura? Che studi ha fatto?
Rossella Drudi: Avevo questa idea in testa da dieci anni, e quando ho provato a proporla per un romanzo o per un film ho ricevuto tanti no. Il percorso del rapporto tra l'uranio impoverito e la malattia fino alla mutazione genetica dei figli dei militari mi ha talmente colpita che ho pensato che fosse giusto costruirci una storia importante. Credo che il nostro sia il primo e unico film in Italia che affronta l'argomento ed è frutto di anni di ricerce approfondite. Abbiamo deciso di usare il genere giallo come filo conduttore, un po' la stessa formula già usata per Teste Rasate, l'unico modo a nostro avviso per portare alla luce argomenti sociali duri e forti senza essere pedanti. Non dimentichiamo che sono storie vere, molti personaggi sono ispirati a persone vere e reali come la dottoressa Ferri (interpretata dalla Bobulova, ndr) che è costruita intorno alla figura reale della dottoressa Gatti, la prima a mettere in luce queste storie e a prestarsi per consulenze e testimonianze. Il nostro film vuole dare voce a chi a lungo è stato dimenticato e inascoltato.

Il vostro film arriva in un momento particolare, la verità è venuta finalmente a galla...
Rossella Drudi: Si, Le ultime 56 ore arriva in un momento particolare della storia delle nostre Forze Armate, in cui c'è uno spiraglio di apertura, l'anno scorso sono arrivate finalmente le sentenze e si iniziano a vedere i risultati di questa lotta contro il silenzio che i nostri militari coinvolti e le loro famiglie intraprendono da dieci anni. All'inizio è stato veramente difficile tentare di far emergere le prove di questa verità, c'era assoluta ignoranza su questa tematica e tutto era avvolto da uno strato fitto di omertà. All'epoca vi era uno status giuridico dei militari completamente diverso, c'era la leva obbligatoria e quella che i nostri militari svolgevano in Kosovo era una missione di pace che avrebbe rischiato di fallire se il mondo fosse venuto a conoscenza dei danni gravi causati dall'uranio impoverito. Ci fu una chiusura a riccio totale da parte delle istituzioni mentre ora molte cose sono cambiate. Ora ad arruolarsi sono i professionisti e non c'è più la leva, l'approccio e la mentalità sono diverse e la nuova classe dirigente studia di continuo per migliorarsi.

Ci spiegate la scritta finale del film dove si legge che il Ministero della Difesa e dell'Interno dichiarano che questa vicenda riguarda i militari italiani ma che l'Esercito Italiano non ha mai usato armi costruite con uranio impoverito?

Carlo Bernabei: Nella dichiarazione si legge che i nostri militari ne sono venuti a contatto solo in loco - perchè armi di questo tipo non sono mai state usate dal nostro paese ma solo da altri eserciti - e ne hanno subito le conseguenze perchè hanno respirato le sostanze nell'aria dopo le esplosioni e hanno sminato campi in Kosovo. Ci tengo a precisare che questo non è un documentario sulla guerra ma un film di finzione che prende spunto da un problema vero e reale per creare una storia di intrattenimento.
Claudio Fragasso: Quel periodo in cui i nostri militari erano in Kosovo non si sapeva ancora nulla di queste scorie radioattive usate per produrre armi, nè si sapeva nulla degli effetti sull'uomo. Non sapevano assolutamente a cosa andassero incontro e solo dopo il loro ritorno ci si rese conto della pericolosità dell'uranio impoverito e si cominciarono a prendere provvedimenti.
Rossella Drudi: Sono orgogliosa del fatto che nonostante tutto, il nostro sia l'unico governo europeo che ha riconosciuto l'indennizzo alle persone che si sono ammalate in guerra, quando a quei tempi si parlava di sindrome dei balcani o di sindrome del deserto e in realtà ci si riferiva alla leucemia che di militari ne ha uccisi più della guerra stessa. Non c'è stata un'ammissione, ma neanche una smentita e le famiglie hanno ottenuto questo grandissimo risultato perchè c'è una differenza sostanziale tra chi si ammala per caso e chi si ammala per negligenza altrui. Anche questo c'è nel film, un contrasto che ai fini del dolore non cambia ma che nella morale ha una grande importanza.

Questo è un film che presenta una realtà mai indagata finora nonchè il dilemma artistico ed etico tra mezzo e fine, quest'ultimo tema importante e da sempre discusso sia nelle Istituzioni che delle forze dell'ordine...
Rossella Drudi: Il nostro è un nuovo modo di raccontare e di rapportarci con il pubblico, vorrei continuare su questa strada anche nel futuro, la nostra idea non era di fare un genere fine a se stesso fondato sulle solite storie superficiali o solo di fantasia o d'azione, volevamo ci fosse all'interno un grande contenuto sociale e sociologico, magari anche una verità che nessuno vuole sentire.

I rappresentanti delle Istituzioni hanno visto il film? Le loro reazioni?
Carlo Bernabei: Non solo l'hanno visto ma ci hanno monitorati e consigliati durante la lavorazione, le tematiche sono innegabilmente di interesse sociale e come si legge nelle note finali del film sono stati favorevoli a questo progetto e hanno ritenuto importantissima la tematica trattata. Ci hanno anche fatto molti complimenti per come siamo riusciti a trasmettere i contenuti della storia in un modo così universale e importante anche per i giovani, e ci hanno appoggiato in maniera totale.

Come ha preparato il suo ruolo Gianmarco Tognazzi? Qual è la sua opinione sull'argomento trattato?

Gianmarco Tognazzi: Per la prima volta nella mia carriera ho dovuto darmi una discipina ferrea, cosa che proprio non mi appartiene come artista, forse come attore il teatro te la da un po' ma io proprio non la sento mia. Ho analizzato tutte le tematiche caratteriali del mio personaggio, lui non è quello che sembra, forse non è condivisibile il suo modo di agire ed è anche eccessivo, è sicuramente un provocatore che può apparire anche fuori di testa, o almeno è quella l'impressione che vuole dare, ma nel finale esce fuori la sua vera natura. Sono molto orgoglioso di averlo interpretato. Nel film si parte da uno spunto reale per fare un film di intrattenimento, sono rimasto molto colpito dalla storia scritta da Rossella, ben intrecciata e variegata, che racconta la storia di due uomini appartenenti a due istituzioni diverse (Tognazzi e Lionello ndr) ma che hanno dentro di loro tanta energia. Nella vita fatico molto ad avere questo controllo sugli altri, questo dominio sulle mie azioni, e invece sul set mi sono sentito veramente come un padre per quel gruppo di militari: quel che succede nelle gerarchie militari è qualcosa di molto profondo, il rapporto che si crea è strettissimo, quasi di parentela. E' senz'altro un personaggio scomodo da interpretare, ma sono felice del lavoro fatto. Spero che questa chiave di racconto possa intrattenere il pubblico e aprire gli occhi su un problema grave e molto importante nella storia del nostro Paese.

Cosa ne pensa l'altro protagonista Luca Lionello di questo film e del coraggio di Fragasso nel portarlo sul grande schermo?
Luca Lionello: Claudio è uno che sa preparare dei piatti forti, non c'è dubbio, sa mettere in condizioni interpretative limite i suoi attori. A mio avviso non esiste un cinema di genere ma un genere cinema. In questo film io e Gianmarco rappresentiamo lo Stato contro lo Stato, un'intepretazione molto interessante di quello che è il nostro paese e la nostra storia. Il destino ci unisce, siamo entrambi innamorati di qualcosa e tutti e due stiamo perdendo la terra sotto i piedi. E' stato un privilegio partecipare a questa storia, passare attraverso l'amore, la morte e il fuoco delle armi è stato davvero un privilegio per me, ognuno di noi attori la sera torna a casa e anche voi spettatori, ma nessuno deve dimenticare mai che queste sono storie vere che molte persone hanno vissuto e sofferto sulla loro pelle.