Recensione Alta infedeltà (2009)

Claudio Insegno declina sul grande schermo una sua commedia teatrale di successo, dove fanno da padroni i toni farseschi. Il ritmo troppo serrato, una certa ripetitività delle situazioni e l'accento caricaturale dei personaggi penalizzano la pellicola, che pure si fregia di un buon cast e di una comicità mai troppo volgare.

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Filippo è un uomo come tanti, che ama le donne e che ama la conquista. Suo terreno di caccia prediletto è l'autobus numero 4, dove infatti incontrerà l'ultima delle sue singolari scoperte: l'americana Giuly, tanto attraente e piena di vita quanto svanita e un po' tontolona. Filippo è totalmente preso da lei, tanto da volerla sposare: peccato che sia già sposato con una rampante quarantenne dalle improbabili ambizioni artistiche, Magda. Giuly, non sapendo nulla della consorte dell'amato, finisce per comprare la villetta adiacente a quella di Filippo, e per fare la conoscenza di Magda: è a questo punto che l'uomo, repentinamente passato dal ruolo del tracotante innamorato a quello del coniglio, alla disperata ricerca di una scappatoia qualunque, dovrà ricorrere all'aiuto del migliore amico. Il malcapitato Guido dovrà infatti fingersi marito di Magda agli occhi di Giuly, mentre Filippo cercherà di convincere la moglie dell'esistenza di un fantomatico fidanzato della nuova vicina americana. Il tutto mantenendo ovviamente entrambe le relazioni, e destreggiandosi in una situazione dilaniante di cui il divano di casa è l'emblema: conteso tra le due donne, legalmente della moglie ma messo a disposizione dell'amante. A complicare la situazione interverranno altri, insospettabili, amanti, il padre di Giuly, pompiere pirofobico, e un maggiordomo che, come da tradizione, compare sempre al momento meno opportuno.

Questa, in sintesi, l'intricata vicenda di Alta infedeltà, declinazione cinematografica del successo teatrale firmato da Claudio Insegno, qui ancora in veste di regista, oltre che di attore insieme al fratello Pino. A cambiare, rispetto all'originale, è l'ambientazione: alla società inglese, e ai richiami ironici agli aspetti peculiari della middle class, si sostituisce la borghesia italiana, non certo esente da altrettante debolezze. E' attraverso una lettura farsesca che vengono, infatti, messe alla berlina molte delle realtà che contraddistinguono la cosiddetta "società bene"; prime fra tutte, certo, la dilagante leggerezza sentimentale, che caratterizza indistintamente uomini e donne, e la precarietà su cui si fonda la loro apparenza impeccabile. Attraverso un'intricata rete di equivoci, in cui alle bugie premeditate si aggiungono genuini scambi di persona, i rapporti tra i protagonisti si fanno e si disfano negli abbinamenti più improbabili, mettendo a dura prova la prontezza di riflessi e le doti mimetiche di tutti. E se, all'inizio, questa girandola di situazioni è gestita con polso fermo, sebbene sconfini un po' troppo apertamente nel territorio del grottesco e del caricaturale, con il procedere della vicenda e l'aggiunta continua di nuovi personaggi la verve ironica si perde in parte, offuscata dall'esasperata riproposizione degli stessi temi. La stessa comicità su cui si fonda la pellicola punta eccessivamente l'accento sull'elemento slapstick e in generale non verbale (moltissime sono le gag che si fondano proprio sulla difficoltà di parola o sull'incomprensibilità del linguaggio dei protagonisti): e se questo mette in luce le buone doti di caratteristi degli interpreti, finisce anche per appiattire la personalità dei personaggi, relegandoli quasi a delle macchiette. Sono le donne a sfuggire meglio a questa trappola, in parte perché meno "spremute" dalla sceneggiatura che non le mette sempre in primo piano, in parte perché meno stereotipate rispetto alle controparti maschili.

Dell'avventura cinematografica di Claudio Insegno è certamente degna di plauso la volontà di allontanarsi dagli stilemi ormai consolidati della commedia popolare italiana: la volgarità a tutti i costi, gli sbracati richiami sessuali, il banale turpiloquio elevati a comicità. Il film si avvantaggia di un buon cast, in gran parte rodato alla vicenda dal palcoscenico teatrale, con l'eccezione della comunque brava Justine Mattera, ma l'accento troppo caricaturale conferito ai personaggi, e una gestione non del tutto equilibrata del ritmo della narrazione, che non concede mai pause tra una gag e l'altra, tra un equivoco e un equivoco ancora più macroscopico, ne fanno un'opera soltanto parzialmente riuscita.