Recensione Honey (2009)

Capitolo conclusivo della 'trilogia di Yusuf', che ripercorre a ritroso la vita del protagonista, 'Honey' del regista turco Semih Kaplanoglu - in concorso alla sessantesima Berlinale - è un film dotato di una raffinata ricercatezza visiva, ma al tempo stesso eccessivamente oleografico e simbolico.

Il segreto del bosco turco

Curioso il progetto del regista turco Semih Kaplanoglu: dedicare un'intera trilogia alla storia di un personaggio, di nome Yusuf, ripercorrendo però la sua vita mediante un percorso cronologico inverso. Mentre il primo film, Egg, ha infatti per protagonista Yusuf in età già adulta, e il secondo Milk racconta la sua vita da studente universitario, il film che conclude la trilogia, Honey (Bal), vede un piccolo Yusuf alle prese con i primi anni di scuola. Il regista ci tiene a precisare che i tre Yusuf che compongono l'affresco non devono essere considerati necessariamente la stessa persona. Ciò che conta è che Kaplanoglu attraverso questo trittico tracci una vera e propria parabola esistenziale, che ripercorre parallelamente anche la storia della Turchia.

In Honey vengono raccontati i primi anni di vita di Yusuf, che vive in una casetta di legno immersa in un bosco, quasi come quella delle favole. Le sue giornate si dividono tra la scuola - dove tenta con fatica di imparare a leggere - e la quotidianità famigliare, in cui il bambino presta aiuto al padre apicoltore e scopre pian piano i misteri naturali del bosco. L'esistenza monotona della famiglia, scandita da ritmi placidi e da abitudini frugali, si interrompe bruscamente quando il papà Yakup, partito alla ricerca di nuovi alveari sulle montagne, non fa più ritorno a casa.

Nel tracciare il percorso esistenziale di Yusuf, a metà strada tra la documentazione quasi antropologica dei costumi contadini e il racconto poetico sulla misteriosa bellezza della natura, il regista Semih Kaplanoglu punta decisamente ad alti modelli di riferimento: opere come la trilogia di Apu di Satyajit Ray e un certo cinema iraniano degli anni Novanta "ad altezza bambino". Ma mentre in capolavori come Il palloncino bianco lo sguardo privilegiato verso l'infanzia era il punto di partenza per abbracciare riflessioni di portata esistenziale e politica di ampio respiro, in Honey si fatica a ritrovare la stessa urgenza.

E nonostante il film sia dotato di un'indubbia ricercatezza visiva - lasciandosi andare anche a momenti di puro lirismo, come nella scena in cui Yusuf tenta di prendere la luna nel pozzo - nasce spesso il dubbio che la bellezza estetica della composizione sia un po' fine a stessa, e finisca per scadere nel ritratto oleografico. Ricco di suggestioni simboliche e favolistiche - come l'apparizione improvvisa di animali con un forte valore metaforico - il film di Semih Kaplanoglu può sicuramente affascinare il pubblico festivaliero per la sua raffinatezza formale, ma anche lasciare interdetti per il suo eccessivo ermetismo.