Sylvain Chomet racconta The Illusionist

Il regista francese ha incontrato la stampa nell'ambito della 60ma Berlinale per presentare il film d'animazione tratto da una sceneggiatura non girata di Jacques Tati.

Ci aveva già colpiti nel 2003 quando aveva portato a Cannes il suo Appuntamento a Belleville, ma Sylvain Chomet si conferma a qualche anno di distanza presentando nell'ambito della sezione Berlinale Special dell'edizione 2010 del Festival di Berlino un nuovo lungometraggio animato: The Illusionist. Il progetto è in qualche modo ancor più interessante, perchè in questo caso Chomet realizza qualcosa di molto particolare, portando sul grande schermo una sceneggiatura mai girata del genio della commedia francese Jacques Tati, una storia dedicata dall'autore alla figlia Sophie, che con tono malinconico e poetico, racconta la storia di un illusionista anziano ed una ragazza, le cui strade si incrociano, sullo sfondo di un'epoca di cambiamento.
Alla presenza di due responsabili della fondazione che cura le opere dell'attore francese, Jerome Peschamps e Macha Makeieff, Chomet ha racconato i retroscena del progetto.

Signor Chomet, ci racconta qualcosa di questa esperienza? Come è stato lavorare sulla sceneggiatura di un genio come Jacques Tati? Sylvain Chomet: Subito dopo Appuntamento a Belleville stavo decidendo che tipo di progetto avrei voluto seguire ed ero proprio a Cannes per presentare il film, quando è venuta fuori la possibilità di lavorare ad uno script non realizzato di Tati, e mi è sembrata un'ottima occasione avere l'opportunità di realizzare questo omaggio.

Quanto era dettagliata la sceneggiatura su cui ha potuto lavorare? Sylvain Chomet: Si trattava più di un piccolo romanzo che di una sceneggiatura vera e propria, raccontato con un linguaggio molto poetico e suggestivo. Qualcosa ho dovuto lasciare fuori dalla stesura finale ed ho apportato dei piccoli cambiamenti. Per esempio l'ambientazione era di Praga e non Edimburgo, ma sono stato con la mia famiglia in Scozia e mi è sembrato che quella città fosse perfetta per la storia, per le sue luci e colori. Siamo stati ad Edimburgo per tutto il tempo della lavorazione, che per un film del genere è molto lunga, ed essere lì ci ha permesso di ottenere un risultato così reale e suggestivo.

In quanto fondazione che cura le opere dell'attore, voi siete stati coinvolti nel progetto. Potete dirci qualcosa dal vostro punto di vista?

Jerome Peschamps: Siamo molto soddisfatti dell'idea. Abbiamo lavorato come fondazione al restauro delle opere di Tati e nel farlo ci siamo imbattuti in questa sceneggiatura non realizzata. Abbiamo subito pensato che Chomet potesse essere adatto a realizzare questo film, avendo visto Belleville.
Macha Makeieff: Abbiamo cercato un regista che avesse un approccio artistico alla cinematografia, perchè ci sembrava un progetto molto poetico, che aveva bisogno della giusta malinconia per essere messo in scena.

Signor Chomet, ha mai avuto modo di incontrare l'autore? Sylvain Chomet: Tati è morto nel 1982 ed anche se non vivevamo molto lontano e ricordo che si parlava molto di lui, non mi è mai capitato di incontrarlo.

Ha già pensato al prossimo progetto? Sylvain Chomet: Difficile parlarne già ora, visto che sto ancora cullando The Illusionist. Questa sera ci sarà la premiere, solo dopo inizierò a pensare al futuro.

Il film è ambientato nel 1959 ed appare il vero Tati sullo schermo di un cinema, un po' come per la scena di Belleville in cui si vede una trasmissione TV. Quanto c'è di biografico nel richiamare la realtà di quegli anni? Sylvain Chomet: Ho cercato di tenermi il più possibile lontano dalla vita di Jacques Tati, anche se il film richiama il suo primo periodo. Quando ho letto lo script ho visto soprattutto una bella storia, che racconta di un uomo che sta invecchiamo e di una ragazza, le cui vite si incrociano. L'uomo ha una certa eleganza, come l'aveva lui, questo è un aspetto che ho voluto mantenere, ed in generale ho cercato di cogliere l'anima di Tati, più che la sua persona, ed è un processo che si poteva fare solo in animazione.

Quanto tempo ha richiesto la produzione? Quanto è costato il film? Crede che troverà una distribuzione?

Sylvain Chomet: Per quanto riguarda la distribuzione, credo che sarà nelle sale in più paesi possibile. La lavorazione è durata due anni e mezzo perchè si è trattato di un film molto complesso. Nel film spesso usiamo la camera fissa, con inquadrature molto larghe, un'impostazione quasi teatrale, e questo vuol dire dover curare tantissimi dettagli anche per quanto riguarda le figure di contorno. Il costo si aggira sui trenta milioni di sterline, quindi si tratta di un grande progetto, anche se può sembrare un budget piccolo se confrontato con produzioni USA.

Negli ultimi anni si sono sviluppate molte tecnologie nuove nel campo dell'animazione. Ci può dire qualcosa sulla tecnica del film? Sylvain Chomet: La mia scuola è quella tradizionale che fa capo al Disney degli anni '50 e '60, come Gli Aristogatti. Uso le nuove tecnologie solo dopo che il progetto è stato disegnato su carta, per scansirle e per la composizione finale, per semplificare il lavoro. Nel film c'è anche un po' di 3D, soprattutto per gli oggetti, come le auto, e dettagli particolari come le nuvole, ma tutto il resto è a mano.

Molte differenze rispetto al passato si notano, per esempio, nella gestione delle luci e delle ombre. Sylvain Chomet: Sì, esatto, lavorare sulle ombre è molto più semplice al computer, così come gestire aspetti ambientali come il fumo.

Il film ricorda atmosfere ed emozioni classiche, alla Chaplin. E' un aspetto presente nella sceneggiatura? Sylvain Chomet: Sì, si percepisce un senso di desolazione, atmosfere che ritroviamo anche in Mio zio, per esempio. C'era già tutto nello script. Tati aveva 50 anni quando ha scritto questa storia e credo sia un dettaglio importante, perchè si percepisce un feeling nostalgico, di qualcuno che sta affrontando un'epoca di cambiamenti che non riesce ad affrontare, come la nascita del rock 'n roll.

Questo richiama anche l'ultimo film di Tati, che rappresenta un ritorno alle origini con il richiamo al circo.

Macha Makeieff: Ci mostra le origini di Tati, ma anche la fragilità di questo mondo, con dettagli da alcuni dei suoi film. Con Il circo di Tati infatti si completa il cerchio, sono tematiche di un artista che cerca un posto in questo mondo. Sylvain in The Illusionist ha fatto qualcosa di importante.
Sylvain Chomet: La rivoluzione portata dal rock a cui accennavo prima fa pensare a qualcosa che viene persa in questo cambiamento, ma se ci pensiamo, noi abbiamo realizzato questo film disegnandolo gran parte a mano ed è la dimostrazione che anche con i cambiamenti e l'evoluzione della tecnologie le vecchie arti non vanno perdute. Non si tratta della fine di un mondo, ma di come si può contribuire con la nostra arte ad un nuovo mondo che nasce.

Il linguaggio del film è una lingua che non esiste, fatta in parte di inglese e di francese, ma anche di suoni senza un significato. Ce ne parla? Sylvain Chomet: Il linguaggio del film sottolinea come i due personaggi non possano comunicare tra loro a parole e la musica stessa del film rispecchia questa impossibilità di comunicare, usando diversi generi in contrasto tra loro. Ho scritto io stesso la musica e ne sono orgoglioso perchè lo considero un film musicale a tutti gli effetti, in quanto l'accompagnamento rappresenta una parte fondamentale della storia, perchè esprime i sentimenti dei personaggi. La stessa importanza è data dagli effetti sonori, di cui anche Tati si serviva moltissimo, usandoli in modo creativo. In questo senso credo che sarebbe stato molto affascinato dall'animazione.