A Torino il Francis Ford Coppola day

Al Torino Film Festival è arrivato Francis Ford Coppola, l'ospite d'onore più atteso della 27ma edizione che ha incontrato i giornalisti in occasione della presentazione in anteprima del suo nuovo lavoro Segreti di famiglia in uscita nelle sale il 20 novembre prossimo.

"Francis Ford Coppola è Tetro", con queste poche ma incisive parole Emanuela Martini, curatrice della sottosezione del 27° TFF dedicata al regista de Il Padrino, ha aperto stamane l'incontro con la stampa che il maestro ha tenuto in una lussuosa sala dell'Hotel Principi di Piemonte a Torino. Parte l'applauso, poi la Martini si corregge precisando: "Tetro in originale, Segreti di Famiglia è il titolo italiano", ma è ormai troppo tardi. Una gaffe che la dice lunga sul suo stato d'animo oltre che su quello dell'ospite più atteso del festival, che spiega anche il perchè dell'atmosfera un po' sottotono che non ha di certo riservato a Coppola l'accoglienza delle grandi occasioni che avrebbe meritato.

Boicottata da tutti i quotidiani più importanti a causa di una 'misteriosa' intervista saltata fuori stamane su La Stampa di Torino bruciando le altre testate sul tempo, la conferenza stampa di presentazione di Segreti di Famiglia è stata incentrata sull'aspetto tecnico della realizzazione del film, un'opera realizzata da un regista settantenne che ha avuto una brillante carriera ma che si dimostra ancora pieno di entusiasmo, di voglia di sperimentare e di mettersi in gioco anche con i mezzi tecnologici che regaleranno alle prossime generazioni il cinema del futuro. Per questi motivi la American Zoetrope, casa di produzione fondata da Coppola insieme al suo amico George Lucas nel 1969, riceverà domani sera il Gran Premio Torino per il suo impegno nel passaggio dal cinema classico alla 'nuova' Hollywood. Molti i riferimenti durante l'incontro ad un altro dei capisaldi della sua filmografia realizzato sempre in bianco e nero nel 1983, Rusty il selvaggio, e a Scarpette Rosse di Powell e Pressburger. I due film saranno proiettati e presentati in sala dallo stesso Francis Ford Coppola nella serata di domani, giovedì 19 novembre.

Signor Coppola, perche questa bizzarra scelta di rappresentare il passato in bianco e nero e il presente a colori?

Francis Ford Coppola: Trovo che il bianco e nero sia una bellissima forma non solo cinematografica ma anche fotografica per rappresentare le immagini in generale, ancor più per rappresentare il passato. Non ho voluto seguire le regole commerciali dettate dal mercato, ho semplicemente usato l'assenza di colore per raccontare a modo mio una storia per me ricca di contenuti emotivi, ho cercare di narrarla nel modo pià realistico possibile, in modo da restituire al pubblico la magia di un realismo poetico d'altri tempi. E' stata una scelta che si addiceva perfettamente al mio modo di 'staccare' dal presente una vicenda profondamente radicata nel passato. Volevo che lo stile del film ricordasse a tratti un po' quello che ognuno di noi può ritrovare nei vecchi filmini di famiglia.

Anche Rusty il selvaggio fu da lei girato in bianco e nero a testimoniare la coerenza del suo discorso, ma ci sono registi che sono stati costretti a stampare delle copie a colori dei propri film che nella versione originale erano in bianco e nero. Perchè questa voglia di uniformare e appiattire questa forma d'arte da parte dell'industria di Hollywood?

La realtà è questa oggi, non si possono neanche più fare film drammatici ma solo commedie e storie di supereroi, tutte scelte che restringono sempre di più il campo d'azione dei registi per via delle logiche di profitto. Il cinema è espressione, è fatto di generi, di stili diversi, di inventiva, di originalità, è assurdo che sia di fatto limitato dai capitalisti dell'industria cinematografica. Ben presto la pellicola fotochimica scomparirà e resterà solo il digitale. Prendete mia figlia Sofia Coppola, trovo che sia singolare il fatto che lei si rifiuti tassativamente di usare il digitale nei suoi film e che usi usa la pellicola anche al momento della correzione del colore. Forse da parte sua come di molti altri giovani cineasti c'è la voglia di non lasciare andare in fumo cento anni di cinema, il rispetto delle tradizioni. Io che invece sono più vecchio e mi sento più saggio avevo previsto la cosa molto tempo prima di lei e dico che va bene così, i tempi cambiano.

In qualche modo però Segreti di Famiglia è molto vicino a Rusty il selvaggio, se non altro per l'analogia che riguarda il rapporto tra fratelli, il loro bisogno l'uno dell'altro e la cifra stilistica giocata sul contrasto tra ombre e luci. Scelte produttive che hanno un po' seguito lo stesso percorso...

Credo che i due film siano cugini più che fratelli, per usare una metafora sulla parentela. Rusty il selvaggio era l'adattamenteo di un romanzo mentre qui la sceneggiatura è originale. E' vero che anche lì c'è un fratello minore che idealizza quello maggiore, confermo che sotto questo aspetto entrambi i film sono molto autobiografici, ho sempre nutrito una profonda ammirazione nei confronti del mio fratello maggiore, ho sempre cercato di essere come lui. Ho inserito questo stesso plot anche in Segreti di Famiglia perchè evidentemente non avevo esaurito l'argomento, tant'è vero che al posto di Vincent Gallo nel film avrebbe dovuto recitare Matt Dillon come protagonista nei panni di Tetro, poi per problemi distributivi non è stato possibile.

Abbiamo assistito a film usciti direttamente su internet o in circuiti distributivi diversi, cosa ne pensa un mito del cinema come Lei di queste nuove vie trasversali?

Mi piace la varietà, accolgo sempre a braccia a perte le scelte innovative, nessuno di noi può prevedere cosa accadrà al cinema tra trent'anni, perchè il cinema è un linguaggio e come tale nel tempo è destinato a cambiare. Pensate allo spagnolo e all'italiano che erano dei dialetti della lingua latina sviluppatisi a tal punto da diventare essi stessi delle lingue. Forse le sale rimarranno per sempre ma si trasformeranno. Io amo scrivere, amo raccontare, e farò sempre in modo da far arrivare al pubblico le mie opere in modo che possano vederle e giudicarle.

Cosa pensa del doppiaggio nei film?

Adoro veder recitare gli attori ma amo ancora di più ascoltare la sua interpretazione originale nella sua lingua madre, ci si diverte di più, si capisce di più. Per lo stesso principio trovo criminale che il direttore di un'emittente tv imponga di non usare il bianco e nero in televisione e non approvo la distribuzione dei film doppiati in America. Prendete un film come La tigre e il dragone, la gente ha fatto la coda per vederlo recitato in mandarino, impedire questa libertà è un'ingiustizia, una proibizione imposta da chi è nemico del cinema.

Quanto c'è di suo padre nel personaggio del padre padrone direttore d'orchestra?

La figura paterna ha una lunghissima tradizione drammatica, nel cinema e ancor più nel teatro, non l'ho di certo inventata io. è una figura di finzione che risale alla mitologia greca in cui nasce il mito del padre onnipotente che a ogni costo il figlio deve arrivare a spodestare per poter emergere. Penso anche a Shakespeare, alla drammaturgia di Tennessee Williams. In questo senso ila figura del grande direttore sinfonico Carlo Tetrocini ha poco a che vedere con mio padre, anche perchè lui non era un compositore così famoso come il personaggio interpretato da Klaus Maria Brandauer, ispirato più a direttori d'orchestra tra i più noti del mondo.

Come ha lavorato sulle musiche del film?

Mio padre è un bravissimo compositore di musica classica ma aveva una formazione che all'epoca impediva le 'contaminazioni' con la musica moderna considerata meno profonda. Per la colonna sonora del film ho scelto un compositore di formazione classica molto famoso in America proprio perchè è interessato a nuove forme di sperimentazione musicale. Nato in Argentina, Osvaldo Golijov è un giovane compositore quarantenne che per Segreti di famiglia ha realizzato due tipi diversi di musiche, una folkloristica incentrata sulla chitarra e sul basso, e poi la parte sinfonica presente durante i concerti. Volevo che si avvertisse il sapore dell'Argentina vera, volevo evitare di realizzare quello che mio padre definiva un concerto alla Gregory Peck. Si riferiva a quei film in cui c'è sempre un giovane compositore squattrinato che si innamora della ragazza che per volere della famiglia è poi costretta a sposare un altro e che terminano con la scena finale del concerto in cui risuona nell'aria una finta musica classica inventata a scopo unicamente cinematografico, scena che di solito vede il protagonista godersi finalmente il meritato successo e lei in lacrime che litiga furiosamente con un marito che non ama.

La sua società di produzione, l'American Zoetrope ha sede a San Francisco, come anche la Pixar di John Lasseter. Possiamo considerare la città come un polo antihollywoodiano? Una sorta di alternativa alla commercialità dei blockbuster?

Si, in parte è così. Quando nacque la American Zoetrope per mano mia e del mio amico George Lucas le fu subito riconosciuto il suo importante contributo a livello di sonoro, l'effetto forse più economico del cinema. Fu coniato addirittura lo 'stile San Francisco' e per la prima volta da noi si sentì parlare della figura del sound designer. Le innovazioni possono nascere ovunque e in qualunque momento. Sono felice che in alcune parti del mondo ci sia una rinascita del cinema, parlo dell'Iran e del Messico ad esempio, e spero che presto anche in Italia avvenga la stessa cosa perchè è storicamente un paese di grandi attori.
La verità è che l'interesse primario dell'industria cinematografica è quello di fare soldi, e non c'è niente di male in questo, anche io ne ho fatti tantissimi col cinema, ma ne ho persi anche tanti. Sono uno a cui piace rischiare, non c'è cinema dove non c'è rischio e novità, e dove non c'è spirito di sacrificio e convinzione non c'è mai soddisfazione.