Triage di Danis Tanovic apre Roma 2009

Movieplayer.it ha incontrato il regista premio Oscar Danis Tanovic, la bellissima Paz Vega, il mitico cattivo di Hollywood Christopher Lee e Branko Djuric giunti nella Capitale per la presentazione ufficiale di Triage, il dramma bellico che ha aperto le danze di Roma 2009.

Si apre con un film impegnato e intenso la quarta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Si tratta di Triage, il nuovo lungometraggio scritto e diretto dal cineasta bosniaco Danis Tanovic, già vincitore nel 2002 dell'Oscar per il Miglior Film Straniero con No Man's Land, che non appena finito di ritirare premi per il suo film sulla guerra in Bosnia fu subito contattato dai produttori per la proposta di sceneggiare e dirigere Triage. Una proposta che egli accolse con grande entusiasmo in quanto sentiva di essere ancora sintonizzato sul genere, nonostante Triage fosse qualcosa che andasse oltre la semplice storia di guerra ma un racconto appassionato che lo aveva fatto sentire a casa sin dalla prima lettura. Un anno dopo Triage era già diventato anche un po' suo, soprattutto grazie all'aiuto di Scott Anderson, ex-corrispondente di guerra americano in Uganda, Kurdistan, Libano, Cecenia e Bosnia ed autore dell'omonimo romanzo da cui il film è tratto, che ha contribuito alla stesura dello script.
In occasione della prima europea del film a Roma abbiamo incontrato oltre al regista anche tre dei protagonisti del film: il cattivo dei cattivi Christopher Lee (famoso per le sue interpretazioni da malvagio in Star Wars nei panni del Conte Dooku e in quelli di Saruman ne Il Signore degli Anelli) che nel film interpreta la parte di uno psichiatra 86enne con alle spalle una grande esperienza professionale con uomini di guerra, l'attore bosniaco Branko Djuric e la splendida attrice spagnola Paz Vega che nel film interpreta Elena, la compagna del protagonista Mark, interpretato dal grande assente della giornata Colin Farrell. In Triage l'attore irlandese è un fotoreporter inviato in Kurdistan, un professionista ambizioso e sempre alla ricerca dell'inquadratura perfetta che per più di dieci anni ha documentato in giro per il mondo le guerre più sanguinose. Quando viene ferito sul campo e portato in ospedale si rende conto di aver perso le tracce del suo amico e collega David, che gli aveva confessato di voler tornare a casa perchè stufo di tutto quello che i suoi occhi hanno visto in giro. Quando torna a Dublino una notizia sconvolgerà per sempre la sua vita: il suo amico e compagno di viaggio non è mai tornato e nessuno sa dove sia finito. Triage uscirà in sala distribuito da 01Distribution il 27 novembre prossimo.

Ci racconta la genesi di questo film? Quanto l'esperienza bellica che ha vissuto in Bosnia l'ha aiutata nella realizzazione di Triage? Danis Tanovic: Nel 2002 venni contattato dalla Mirage Enterprises, la compagnia di produzione fondata da Sidney Pollack e Anthony Minghella, e invitato a leggere il libro di Scott Anderson. Mi dissero che qualora avessi avuto voglia di farne un film loro sarebbero stati contenti e mi avrebbero lasciato carta bianca su tutto. Dopo aver letto il romanzo dissi loro che avrei scritto la sceneggiatura del film poi rimasi talmente entusiasta della storia e della sua grandezza che decisi anche di dirigerlo. Finita di leggere l'ultima pagina ho capito subito che lo avrei fatto, Triage è uno di quei romanzi che quando li leggi ti viene di dire: "se sapessi scrivere vorrei tanto scrivere un libro così". Avevo appena finito No Man's Land, avevo vissuto la guerra ma mai raccontato il post-guerra, quel che accade una volta che si è smesso di sparare, quando chi ha visto l'orrore torna o cerca di tornare alla vita normale con addosso un peso troppo grande. Volevo affrontare la guerra da un altro punto di vista. Io penso che a cambiare di guerra in guerra sia il panorama, la geografia politica, ma quel che si vede sui campi di battaglia è sempre la stessa cosa.

Come ha conosciuto Christopher Lee e perchè lo ha scelto per il suo film? Danis Tanovic: Conobbi Christopher Lee a Berlino ad una cena, quando mi chiese: "Giovanotto, da dove viene?" e quando gli risposi che venivo dalla Bosnia non ha confuso il nome del mio paese con Boston, come la maggior parte delle persone con cui parlo fa di solito. Lui la Bosnia la conosce, c'è stato nel 1945 l'ultima volta, e quella sera mi raccontò tante cose, aneddoti, particolari dei suoi viaggi e dell'offensiva tedesca, storie sorprendenti. Dal punto di vista di uno come lui e come me è tutto diverso, quando hai vissuto sulla tua pelle certe esperienze in gioco in certi film ci grosse emozioni e non è sempre tutto facile come può sembrare.

Dal suo film emerge quanto la guerra entri nella nostra anima, anche in quella di chi non è in guerra ma come il protagonista va a lavorarci tra le bombe e i cannoni. Nessuno si può considerare innocente solo perchè se ne sta in un pub e fa una vita normale, ha voluto raccontare con Triage la perdita dell'innocenza di tutti noi? Danis Tanovic: Vorrei tanto che fosse così ma non credo. Le guerre esistono ma non toccano tutti e lo fanno a livelli diversi. Come dice il personaggio di Lee nel fillm ognuno reagisce a modo suo, ci sono di mezzo storie personali, alcuni si fanno toccare altri molto meno. Dopo essere sopravvissuto alla guerra nel mio paese mi sento colpito da ogni conflitto da ogni notizia di guerra.

Un'altra storia di guerra dopo No Man's Land, cosa del libro di Anderson l'ha convinta a tornare di nuovo sull'argomento? Danis Tanovic: Nel mio film c'è un decimo di quel che si trova nel libro, i film non vengono mai belli come i libri da cui sono tratti e soprattutto non si può fare un film su queste guerre senza averle prima viste con i propri occhi, non è un'esperienza piacevole confrontarsi con emozioni e ricordi di altre persone che assomigliano così tanto a quello che hai vissuto tu in prima persona. Qualche giorno fa ho trovato una videocassetta nella mia casa di Sarajevo, erano immagini di guerra durante l'assedio, immagini orribili che ad un certo punto ho interrotto e gettato nella spazzatura. E' stata una reazione istintiva di cui poi mi sono pentito ma non potevo credere che ero stato veramente io ad averle girate. Dovevo essere pazzo in quel momento a filmare certe cose, rivederle mi ha ritrascinato in luoghi in cui non avrei mai voluto tornare. Ero stanchissimo dopo No Man's Land, parlarne tanto, girare il mondo per ricevere premi mi dava la sensazione di essere come una macchina, ci voleva una motivazione grossa per farmi tornare su certi argomenti e il libro di Anderson mi ha davvero colpito altrimenti non lo avrei mai fatto.

Cosa ci può dire del romanzo? Cosa ha tralasciato di importante nel suo film che avrebbe voluto invece inserire? Danis Tanovic: Avrei potuto fare cinque film diversi con il materiale fornitomi dal libro di Scott Anderson, pensate che un terzo della storia è basato sulla guerra civile spagnola... non si può confrontare il libro con il mio film, è come confrontare una canzone pop con l'Opera. Quando parlo con un mio amico scrittore gli dico sempre che lui è fortunato a poter scrivere quello che vuole e viaggiare con la mente solo con un foglio davanti o una macchina da scrivere, io mi devo portare dietro centinaia di persone e non ho grande libertà di movimento.

Signor Lee, lei entra nel film come un uomo di grande esperienza di guerra in Spagna che prova ad insegnare al protagonista del film a sopravvivere con i suoi ricordi di guerra in serenità. Lei che ha vissuto quegli anni terribili cosa pensa delle storie di guerre di oggi? Si sente un sopravvissuto di Hollywood? Christopher Lee: Sono tantissimi anni che lavoro come attore e devo ammettere che la mia è stata davvero una lotta per la sopravvivenza in quel di Hollywood e lo è ancora, visto che ho sette film in uscita e che grazie a Dio lavoro ancora e non mi fermerò mai fino a quando non sarò costretto. Quello di Danis è uno dei film di guerra più belli che io abbia mai visto, perchè non racconta solo battaglie e uccisioni ma anche il rovescio della medaglia e cioè la guerra dal punto di vista di chi non è in guerra. I due fotografi sono lì per scelta, non sono militari, non hanno protezione né possibilità di difendersi, sono senza dubbio i più coraggiosi di tutti. Poi c'è anche il punto di vista delle famiglie: mogli, figli, madri che vivono un inferno ancora peggiore forse, perchè non sanno cosa accade laggiù, chi sta in guerra sa cosa aspettarsi. Ho visto uomini uccidersi tra loro ma anche una cosa terribile, medici uccidere i pazienti con le loro mani, cose che non si possono dimenticare, cinque anni della mia vita che mi hanno insegnato molto.

Signor Tanovic, perchè ha scelto di dedicare tanto spazio al personaggio di Christopher Lee? Danis Tanovic: Nel libro è ancora più vasto il suo personaggio ma quel che avevo desiderio di fare era parlare di questa sua storia, come quando finì la guerra, non vedevo l'ora di poterne parlare con tutti, dagli ebrei ai palestinesi passando per quelli che erano stati in Rwanda. Con il personaggio di Christopher ho toccato i sentimenti, perchè in certi argomenti e in certe situazioni si ha bisogno di parlare d'amore e di emozioni altrimenti è difficile uscirne fuori in maniera costruttiva.

Altro tema importante affrontato dal film è quello del ruolo dei media nei conflitti di oggi, descritta alla perfezione nella scena in cui il giovane prigioniero vede il fotografo e per correre da lui viene ucciso. Secondo lei i media oggi possono condizionare con la loro sola presenza lo svolgimento degli stessi combattimenti? Danis Tanovic: Assolutamente si, credo nella fisica quantistica e che ci sia interconnessione nel mondo tra tutte le cose che accadono, sempre. Noi bosniaci siamo l'esempio che raffigura questo aspetto, la guerra in Bosnia sarebbe stata molto più terribile se non ci fosse stata la stampa. La CNN ha avuto un grande ruolo, è stata sempre presente ogni giorno a ogni ora. Il grande interrogativo è "quanto si va a fondo alla verità?", per fortuna ci sono ancora persone come Scott Anderson che fanno questo lavoro in questo modo, oggi si è persa l'oggettività e credo che sia solo soggettivo quel che si racconta. Ognuno vede la guerra con i propri occhi e si parla tanto di neutralità, un valore in cu io non ci credo assolutamente. Credo nell'equità, e nella giustizia, ma i media ci guadagnano sulle guerre, sulle pubblicazioni. Io sono per i metodi di una volta, quelli in cui il corrispondente scriveva quel che a lui passava in mente in quel momento, oggi è tutto real time, ma nessuno ti dice nulla, ti lasciano allo sbando, nessuno è in grado di raccontarti quanto è dura questa esperienza, quanto ti tocca profondamente.

A proposito di neutralità, cosa pensa delle Nazioni Unite? Danis Tanovic: Mi ricordo che all'uscita dalla proiezione di No Man's Land sentii il commento di una signora ben vestita che mi chiese: "ma le nazioni unite sono così pessime come fa vedere lei nel film?". No, le risposi, sono molto peggio ma non potevo dire tutto quel che penso nel film, non me lo avrebbero mai fatto fare. Hanno avuto in Bosnia lo stesso ruolo del vicino di casa che entra in casa per legare le mani ad una donna mentre qualcun altro la sta stuprando. Io penso questo, non credo nella neutralità quando un paese viene massacrato ogni giorno, questo significa non voler far nulla, non essere neutrali. Penso che si debba prendere posizione, certo non è facile ma dovrebbero cercare di farlo. Qualcuno dovrebbe intervenire al più presto ma in ogni caso penso che prima o poi le Nazioni Unite scompariranno, non è giusto che pochi paesi decidano il destino del mondo.

Paz Vega aveva un'idea di cosa fosse la guerra in Kurdistan prima di lavorare in Triage? Paz Vega: Non ricordo nulla di quegli anni perchè ero molto giovane, non avevo idea di cosa fosse, ora ne so sicuramente molto di più come dell'Iraq per ovvi motivi, visto che se ne è parlato moltissimo in questi anni.

Come si è preparata al ruolo che interpreta in questo film? Ha letto il libro? Paz Vega: Si, l'ho trovato molto bello e mi è piaciuto moltissimo anche il copione perchè credo ci sia molto della guerra del Kurdistan ma anche moltissimo della guerra che ha vissuto Danis in Bosnia, lui mi ha spiegato molte cose su quella che lui ritiene la 'sua' guerra, ho trovato molte analogie tra la sua esperienza e quella di Anderson. Nel film interpreto una donna innamorata, angosciata in attesa del ritorno del marito dalla guerra, una donna molto sensibile con una mentalità di aiuto verso il prossimo, un aspetto che non viene fuori chiaramente nel film, perchè lei aiuta i profughi come assistente sociale, per questo ha un pessimo rapporto con il nonno e lo ritiene un fascista colpevole di aver aiutato i criminali di guerra a redimersi.

I suoi nonni hanno avuto esperienze simili in Spagna durante il franchismo, cosa le hanno raccontato? Paz Vega: No, fortunatamente i miei nonni non hanno avuto grossi problemi a parte quelli della povertà e di ristrettezze nei periodi peggiori, però ho avuto un bisnonno, il padre di mia madre, che è stato perseguitato perchè era un attivista politico che si occupava del trasporto di merci, ed è stato anche molto tempo in prigione.

Il personaggio di Farrell che fa il fotografo sente come se l'obiettivo fosse un filtro tra lui e la realtà, qualcosa in grado di distoglierlo da quel che accade intorno. Il suo rapporto con la macchina da presa è simile? Danis Tanovic: Quando guardo le riprese di guerra che ho fatto in quei giorni tremendi non riesco a credere di averle girate io stesso, mi fanno sentire male. Quando si ha in mano una macchina fotografica o una cinepresa a volte ci si dimentica che quelli che inquadriamo sono esseri umani. In guerra tutti sono soli, si perde tutto compreso l'orientamento, tutto quello che può definirti e finisci per perdere la tua storia. Io evito e ho sempre evitato di dimenticare chi sono e da dove vengo, e solo attraverso il mio lavoro e le riprese che faccio ed ho fatto ci sono sempre riuscito. Il cinema mi ha aiutato moltissimo durante la guerra, in quel momento aveva un senso quel che facevo e non ero come gli altri che assomigliavano più ad animali selvaggi che a persone.

In che mondo viviamo oggi?
Danis Tanovic: Viviamo in un mondo istantaneo, insensato, che ha perso ogni significato. Per fare un esempio, una volta gli orologi si passavano di generazione in generazione, ora sono usa e getta, come i telefoni, nessuno degli oggetti che abbiamo oggi in tasca ha una storia, non si hanno ricordi, matrimoni e divorzi sono velocissimi, la ricchezza non ha trasformato in meglio questo mondo, siamo in una fase in cui sembra stia sempre per crollare tutto e non so dove stiamo andando, probabilmente verso il collasso. Non so se dico queste cose perchè sto diventando vecchio o perchè non sopporto più quello che vedo intorno a me, ma sta di fatto che lo penso.