Recensione Funny People (2009)

L'umorismo si fa necessariamente cupo, ma si sposa a meraviglia con riflessioni argute, cedendo il passo all'approfondimento psicologico dei personaggi, con quelle sortite in territori drammatici che si fanno così ricorrenti da acquistare rilevanza vitale nell'economia della pellicola.

Le persone divertenti sono fatte d'ombre

Che Judd Apatow sia tra le menti più geniali della commedia statunitense di quest'epoca non c'è alcun dubbio. I film da lui prodotti, scritti o diretti sbancano puntualmente i botteghini e la sua fama, oltre che nei numeri, trova un'effettiva giustificazione nella brillantezza della sua vis comica, capace di muoversi tra la demenzialità e un umorismo più cosciente e significativo che si fa veicolo alternativo per parlare dei nostri tempi. Dopo i successi di 40 anni vergine e Molto incinta, per lui è arrivata ora la prova della maturità, con un'opera fiume dal sapore fortemente autobiografico che va ad immergersi sorriso e cuore nell'ambiente dov'è cresciuto: il cabaret. Per farlo chiama a rapporto il suo compagno di stanza ai tempi del liceo, Adam Sandler, affidandogli in Funny People il ruolo di un comico 'bastardo' sulla quarantina, costretto a rivalutare tutto il suo mondo e le sue certezze dopo aver scoperto di essere affetto da una malattia che gli concede ancora poco tempo da vivere. E' lo stratagemma che Apatow usa per smascherare il burlone di successo, mostrando i lati oscuri che ogni comico si porta dentro, e tutto l'incredibile contorno di ammirazione, invidia, amicizie, gioie e dolori di cui pullula questo mondo.

Accanto a Sandler, impegnato in uno dei ruoli più interessanti e meglio interpretati della sua carriera, la new generation della comicità a stelle e strisce, che proprio ad Apatow deve il suo successo, quei Seth Rogen e Jonah Hill, nei ruoli di imbranati comprimari, che hanno avuto la possibilità di scriversi le proprie battute, poi abilmente decostruite e reinventate dal regista che del film è anche sceneggiatore e produttore. Nel rapporto tra il George Simmons di Sandler e l'Ira di Rogen, fondato sulla connessione stella-spalla, c'è l'anima della prima parte del film, un percorso affascinante nell'universo del cabaret, negli eccessi della fama e nelle ombre della solitudine che spesso va a braccetto con la gloria. Messo di fronte allo spauracchio della morte, il mito spocchioso deve mettere da parte il suo egoismo e gli atteggiamenti scellerati per ripensare la vita in un modo più genuino. L'umorismo si fa quindi necessariamente più cupo, ma non soffre mai di pesantezza, sposandosi a meraviglia con riflessioni piuttosto argute su un senso più importante e una maggior attenzione da concedere a ciò che ci circonda. Cede così il passo all'approfondimento psicologico dei personaggi, con quelle sortite in territori drammatici che si fanno così ricorrenti da acquistare rilevanza vitale nell'economia della pellicola. La brillantezza di Funny People trova in questa doppia anima il suo punto più alto e per lo spettatore c'è solo da goderne.
Quando però il film sembra destinato a una naturale conclusione, imbocca invece una strada più lunga e tortuosa, andando ad affrontare il difficile recupero di una storia d'amore ormai finita, che non riesce mai a funzionare appieno, ma anzi affatica il racconto con una serie di improbabili eventi che conducono ad un finale raffazzonato, ma quantomeno verosimile. Ne divengono protagonisti una Leslie Mann che onora il suo compito in maniera dignitosa e un Eric Bana che ritorna alle sue origini di cabarettista, offrendo una performance inedita nella sua carriera di attore cinematografico, sopra le righe ma trascinante. Nelle improvvise e discutibili sterzate dei comportamenti dei personaggi e in una scrittura che dilatata oltre il lecito rivela una colpevole stanchezza stanno i limiti maggiori di questa commedia dolceamara che vibra comunque di grande passione. Quella che accomuna Apatow e Sandler e che trova nell'incipit, un video originale degli scherzi telefonici messi in atto dalle due menti diaboliche in gioventù, la sua più onesta auto-celebrazione. A cesellare l'opera l'apporto di cavalli di razza della comicità, tra i quali il sempre adorabile Jason Schwartzman che qui si diletta anche come compositore delle musiche, e l'aggancio a una realtà tecnopop della nostra epoca internettiana, come il rifiuto del tramonto di Myspace a vantaggio di Facebook, ma su tutto l'incredibile lavoro dietro la performance sul palco dell'artista che Funny People riesce a descrivere in maniera davvero toccante. Questa 'gente divertente' sa il fatto suo, è doveroso riconoscerlo.