Recensione Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans (2009)

Un remake atipico, quello diretto da Herzog, in cui il film originale di Abel Ferrara non è che una mera traccia e in cui il regista tedesco inserisce molto delle sue ossessioni e del suo universo autoriale.

Un angelo caduto a New Orleans

E' un remake atipico, questo Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans. Atipico innanzitutto perché alla cabina di regia c'è un regista come Werner Herzog, tedesco trapiantato (da qualche anno) negli Stati Uniti che ha diretto in passato film fondamentali nella storia del cinema come Aguirre, furore di Dio e Nosferatu, il principe della notte. Atipico perché il film originale di Abel Ferrara (l'iracondo italo-americano ha già avuto parole di fuoco per questo progetto, prima ancora che giungesse a compimento) non rappresenta che una mera traccia, e guardando il film c'è in effetti da credere a Herzog quando afferma di non aver mai visto la pellicola del collega. Atipico perché in un film di genere, orientato al mercato, che si inserisce perfettamente nell'onda lunga dei remake che negli ultimi anni hanno rappresentato una parte consistente della produzione hollywoodiana, Herzog inserisce molto delle sue ossessioni e del suo universo autoriale, pur restando sostanzialmente fedele alle regole del genere.

Ha modificato innanzitutto l'ambientazione, il regista tedesco, dalla New York multietnica e rappresentata come costantemente sull'orlo del baratro da Ferrara, a una New Orleans che è sin dall'inizio del film luogo "altro". Fedele al taglio documentaristico e all'attenzione per i luoghi che sono da sempre caratteristiche del suo cinema, Herzog fin dal titolo rende la "nera" città della Louisiana protagonista della sua storia: un luogo di spacciatori e prostitute, ma anche di forze antichissime e ancestrali, di iguane e rettili, e di spiriti che danzano indomiti anche dopo la morte del corpo. Un luogo in cui le paludi vengono lasciate, intelligentemente, appena fuori campo, e in cui malgrado tutto un ragazzino può immaginare un tesoro sotterrato dai pirati, quel tesoro il cui mancato ritrovamento, forse, ha dato origine al suo disagio. Un luogo in cui la purezza sembra una chimera, ma in cui nessuno smette mai di sognarla.

Ci vuole un po' per abituarsi al taglio istrionico e sempre sopra le righe di un Nicolas Cage qui più mattatore che in passato, pur affiancato da validi comprimari come una splendida Eva Mendes e un Val Kilmer qui forse un po' sottoutilizzato.

L'attore californiano nipote di Francis Ford Coppola, comunque, è ingobbito e ha il volto trasfigurato da una luce di follia sin dall'inizio del film, prima ancora che il baratro della dipendenza da stupefacenti lo inghiotta. Il taglio iperrealista che Herzog ha voluto dare alla storia lo fa giocare a carte scoperte con il personaggio sin dalle prime battute, caricando e rendendo da subito esplicita la sua natura borderline. Un taglio iperrealista che fa una consapevole virata verso il grottesco a circa 3/4 di film, con una sorta di twist narrativo sorprendente, beffardo, in cui Herzog sembra volutamente irridere le regole di quel genere che finora aveva comunque, nella sostanza, rispettato. Come se un invisibile deus ex machina (lo spirito della città stessa?) abbia voluto, alla fine, prendere il controllo del destino del protagonista, e lo abbia fatto nel modo che meno ci si aspetta.
Così, l'odissea di questo "angelo caduto" narrata da Herzog, così "laicamente" diversa da quella che ci mostrò Ferrara (che dovrebbe forse vedere il film per riuscire a placare un po' il suo malcontento) diventa riflessione grottesca sui giochi e le ambiguità del destino, portata avanti in modo originale e anticonvenzionale.

Movieplayer.it

4.0/5