Recensione Miss Marzo (2009)

Comicità di grana davvero grossa e ingenuità adolescenziali alla base del film degli esordienti Zach Cregger e Trevor Moore, che vorrebbe riallacciarsi senza successo al filone di "American Pie" e allo stile politically incorrect dei fratelli Farrelly.

Mi(ss) scappa la gag

Il gioco di parole del titolo originale è difficilmente traducibile: Miss March si pronuncia vagamente come mismatch o mismatched, espressione riferita a un insieme di cose o persone fuori posto, male assortite. E davvero male assortiti sono i protagonisti di questo film, Eugene (Zach Cregger) e Tucker (Trevor Moore). Nonostante siano amici inseparabili sin dall'infanzia, infatti, i due sono cresciuti sviluppando un atteggiamento del tutto opposto nei confronti del sesso. Eugene lo si definirebbe il classico ragazzo per bene: carino, un po' timido e imbranato, prova una vera e propria fobia per i rapporti sessuali. Il buffone Tucker, invece, è un erotomane della peggior specie: fin quando da piccolo si imbatte in un volume di Playboy, scatta in lui il chiodo fisso per "quella cosa lì".

Il risultato è che, divenuti adolescenti, entrambi chi per un verso e chi per l'altro maturano un'immagine completamente distorta della figura femminile: "donna angelicata" per Eugene e "donna coniglietta" per Tucker. E la Miss Marzo chiamata in causa nel titolo, Cindi (Raquel Alessi), finirà curiosamente per passare proprio da una condizione all'altra. Cindi è, infatti, la fidanzata di Eugune e - proprio in virtù del sentimento sincero che la lega al ragazzo - decide dapprincipio di condividere il suo approccio "casto" alla relazione di coppia. Ma quel che troppo è troppo e, dopo ben due anni di fidanzamento, giunti ormai alla serata del ballo del college, Cindi intima al suo uomo di "fare il suo dovere". Il represso Eugene è però così nervoso che finisce per precipitare dalle scale, beccandosi una commozione cerebrale e restando in coma per quattro lunghi anni. Dopo un risveglio brusco e agitato, Eugene trova al suo capezzale soltanto il fedele Tucker con la sua altrettanto fedele copia di Playboy sottobraccio. Enorme sarà lo stupore di entrambi quando per caso si accorgeranno che Cindi, un tempo morigerata, fa adesso la sua comparsa tra le pagine della celebre rivista. Incredulo che la sua ex ragazza possa essere divenuta la nuova Playmate di Marzo, Eugene vuole vederci chiaro e parte insieme a un entusiasta Tucker alla volta del mitico maniero di Hugh Hefner, dove tra qualche giorno si celebrerà un raduno di conigliette.

A essere sul serio "male assortiti", purtroppo, sono proprio Zach Cregger e Trevor Moore, non solo come interpreti, ma anche in qualità di registi e sceneggiatori di questa sconclusionata farsa che tenta senza successo di riallacciarsi alla comicità boccaccesca stile American Pie e a quella politically incorrect dei fratelli Farrelly. Su un tema come quello del bigottismo e del puritanesimo - ancora serpeggianti nella società americana molto più di quanto si pensi - aveva ad esempio detto molto meglio (e con ben altro stile) un film come Denti; ma anche una commedia abbastanza incolore e insapore come 40 anni vergine. Sulle distorsioni dell'immaginario erotico adolescenziale è cento volte più profondo e acuto La donna esplosiva, il che è tutto dire.

La comicità, checché se ne dica, è una cosa seria: richiede i ritmi e i tempi giusti, una padronanza notevole del linguaggio e dei codici comunicativi e, soprattutto, classe e stile. Non basta accatastare, in maniera più o meno coerente, una sequela di battute volgari e di situazioni disgustose per provocare il riso. Il "piatto forte" di Miss Marzo sono le scene in cui il protagonista, appena svegliatosi dal coma, dà libero sfogo alle proprie funzioni intestinali (la gag è addirittura ripetuta più volte nel corso del film). Oppure, per fare un altro esempio, la sequenza in cui un cagnolino urina dentro il cocktail di una ragazza.

Quello che urta più di ogni altra cosa, tuttavia, è il riferimento a stereotipi di un'arretratezza culturale imbarazzante (il rapper nero col complesso del pene, la coppia di lesbiche sempre infoiate, il dottore di colore violento). A questo si aggiunge lo sdoganamento di un immaginario erotico patinato e asettico, quello di Playboy, che ha ormai fatto il suo tempo esattamente come il suo decrepito fondatore, il quale compare persino nel film in un cammeo discettando del "vero amore". Se il nuovo corso della commedia americana inaugurato da Judd Apatow è stato definito conservatore, qui bisognerebbe parlare piuttosto non solo di annullamento totale dell'ideologia, ma anche del pensiero.